Cass. Sez. III n. 43560 del 20 ottobre 2014 (Ud 17 set 2014)
Pres. Mannino Est. Scarcella Ric. Caniglia ed altro
Urbanistica. Scusabilità dell'ignoranza
Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto.
RITENUTO IN FATTO
1. C.S.F. e G.M.G. proponevano ricorso, a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, avverso la sentenza della Corte d'appello di CATANIA emessa in data 7/06/2013, depositata in data 26/07/2013, con cui è stata confermata la sentenza emessa dal tribunale di CATANIA in data 20/05/2011, di condanna alla pena, sospesa per entrambi, di mesi 3 di arresto ed Euro 30.000,00 di ammenda ciascuno, con ordine di demolizione del manufatto abusivo e risarcimento danni in favore della parte civile, Comune di Catania, per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), artt. 64, 65, 71, 93, 94 e 95, e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, (fatti accertati come commessi in data (OMISSIS)).
2. Con il ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista, vengono dedotti quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deducono, con il primo motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), con riferimento all'art. 157 c.p., ss..
In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto i reati sarebbero stati commessi nel (OMISSIS) e, dunque, gli stessi erano estinti per prescrizione alla data del (OMISSIS); in assenza di elementi diversi, deve aversi riguardo, quando all'individuazione del momento in cui cessa la permanenza, alla data affermata dal teste o dall'imputato; in ogni caso, anche a voler considerare la data di accertamento, i reati sarebbero estinti per prescrizione alla data del 12/09/2012.
2.2. Deducono, con il secondo motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riferimento all'art. 27 Cost. e del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), artt. 64, 65, 71, 93, 94 e 95, e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181.
In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto gli imputati non erano a conoscenza della normativa, trattandosi di soggetti con bassa scolarizzazione, che non pensarono di informarsi su quali fossero i vincoli e le autorizzazioni da richiedere, donde difetterebbe l'elemento psicologico dei reati; ai fini della ignoranza inevitabile della legge penale, deve tenersi conto della qualità dei soggetti; in ogni caso si tratterebbe di manufatti precari, in legno e non stabili; le prove non erano sufficienti a fondarne la colpevolezza, sicchè gli stessi dovevano essere assolti.
2.3. Deducono, con il terzo motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riferimento all'art. 27 Cost..
In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto il giudice, ai fini della determinazione della pena o del riconoscimento o diniego delle attenuanti generiche, deve tener conto della condotta serbata dall'imputato dopo la commissione del reato e nel corso del processo; i ricorrenti non hanno commesso ulteriori reati, dimostrando un reale ravvedimento, provando il proprio completo reinserimento nella società civile.
2.4. Deducono, con il quarto motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riferimento all'art. 27 Cost. ed all'art. 62 c.p., nn. 1 e 4.
In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto, ove le attenuanti indicate fossero state applicate, si sarebbe pervenuti ad una pena giusta per i ricorrenti, i quali non hanno commesso delitti di entità tale da meritare una sanzione così elevata.
3. Con atto scritto depositato presso la cancelleria di questa Corte in data 5/09/2014, la parte civile, Comune di Catania, ha chiesto - a mezzo del difensore fiduciario - rigettarsi il ricorso e confermare la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non nei confronti del predetto Comune, oltre al pagamento delle spese processuali come da allegata nota.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile.
4. Seguendo l'ordine imposto dalla struttura dell'impugnazione proposta in sede di legittimità, dev'essere anzitutto esaminato il primo motivo, con cui i ricorrenti si dolgono della mancata dichiarazione dell'estinzione dei reati per prescrizione.
Il motivo è inammissibile per genericità, atteso che i ricorrenti non tengono minimamente conto di quanto argomentato dalla Corte d'appello per rigettare analoga istanza proposta nei motivi di appello. Si legge, infatti, nell'impugnata sentenza che la circostanza che le opere siano state realizzate in epoca antecedente a quella indicata in imputazione è solo labilmente affermata, ma non ancorata ad alcun presupposto di fatto; anzi, si osserva in sentenza, in senso contrario può desumersi dal verbale di accertamento che le opere stesse non erano ancora ultimate al momento del sopralluogo.
E' pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in caso di procedimento per violazione della legge urbanistica, sempre restando a carico dell'accusa l'onere della prova della data di inizio della decorrenza del termine prescrittivo, non basta una mera e diversa affermazione da parte dell'imputato a fare ritenere che il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare l'incertezza sulla data di inizio della decorrenza del relativo termine con la conseguente applicazione del principio "in dubio prò reo", atteso che, in base al principio generale per cui ciascuno deve dare dimostrazione di quanto afferma, grava sull'imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione, data che in tali ipotesi coincide con quella di esecuzione dell'opera incriminata (Sez. 3, n. 10562 del 17/04/2000 - dep. 11/10/2000, Fretto S, Rv. 217575). Analogamente, è ormai consolidato il principio per il quale la cessazione della permanenza del reato di costruzione abusiva va individuato nel momento della ultimazione dell'opera, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne, atteso che la particolare nozione di ultimazione, contenuta nella L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 31, e che anticipa tale momento a quello della ultimazione della struttura, è funzionale ed applicabile solo in materia di condono edilizio e non anche per stabilire in via generale il momento consumativo del reato di costruzione in difetto di concessione (ora permesso di costruire): Sez. 3, n. 33013 del 03/06/2003 - dep. 05/08/2003, Sorrentino ed altro, Rv. 225553).
5. Quanto, poi, al secondo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti si dolgono della mancata valutazione da parte della Corte d'appello del fatto che gli stessi erano soggetti a bassa scolarizzazione, sicchè avrebbero dovuto essere assolti per difetto dell'elemento psicologico richiesto dalla legge.
Anche tale motivo è inammissibile per genericità, non tenendo conto i ricorrenti delle puntuali argomentazioni espresse dalla Corte di merito a confutazione del medesimo nei motivi di appello. In particolare, i giudici di appello hanno escluso l'esistenza di un errore interpretativo, osservando che nel caso di errore in ordine alla necessità dell'autorizzazione amministrativa per l'edificazione di un'opera per la quale il permesso di costruire sia necessario, l'imputato non può fondatamente invocare la scriminante della buona fede.
Tale affermazione è corretta, ponendosi assolutamente in linea con l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte che, sul punto, hanno affermato che, a seguito della sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte Costituzionale, secondo la quale l'ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, scusa l'autore dell'illecito, vanno stabiliti i limiti di tale inevitabilità. Per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una "culpa levis" nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994 - dep. 18/07/1994, P.G. in proc. Calzetta, Rv. 197885). Nella specie i ricorrenti non hanno assolto a quel minimo "dovere di informazione", condicio sine qua per poter prospettare una situazione di buona fede.
5.1. Anche la presunta "precarietà" delle opere, prospettata nel motivo di ricorso in esame, è del tutto destituita di fondamento.
I giudici di appello, infatti, affrontano ex professo la questione, escludendo la natura precaria dei manufatti sia per il loro numero che per la loro difficile amovibilità, tenuto conto della consistenza e delle dimensioni complessive; sotto l'aspetto funzionale, poi, le stesse opere, destinate ad uso abitativo, presentavano caratteristiche di consistenza e valore economico incompatibili con le esigenze temporanee e precarie.
Anche tale argomentazione è conforme ai principi più volte affermati da questa Corte in materia, essendosi infatti precisato che la natura precaria di un manufatto, ai fini della esenzione dalla concessione edilizia, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all'intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti di un manufatto smontabile e non infisso al suolo (Sez. 3, n. 4002 del 18/02/1999 - dep. 26/03/1999, Bortolotti L, Rv. 213270).
6. Non miglior sorte merita il terzo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti si dolgono del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Ed infatti, anche in relazione a tale aspetto il motivo si presta a censure di genericità, non tenendo conto delle argomentazioni svolte dalla Corte territoriale a confutazione dell'analoga istanza proposta nei motivi di appello. Precisano, infatti, i giudici etnei che il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche era motivato dall'assenza di indici favorevoli e, soprattutto, in considerazione della gravità della condotta, data la consistenza delle opere realizzate e la pluralità di violazioni poste in essere.
Sul punto, a conferma della correttezza della soluzione giuridica offerta dalla Corte d'appello, è sufficiente qui ricordare che la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010 - dep. 23/11/2010, Straface, Rv. 248737). Nella specie, il riferimento alla gravità della condotta è, di per sè, sufficiente a far ritenere adempiuto l'onere motivazionale richiesto.
7. Resta, infine, da esaminare l'ultimo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti si dolgono del mancato riconoscimento delle attenuanti di cui all'art. 62 c.p., nn. 1 e 4.
Anche tale motivo presta il fianco a censure di genericità, non tenendo conto delle argomentazioni espresse dalla Corte d'appello sul punto. In particolare, i giudici etnei chiariscono come del tutto eccentrico è il riferimento all'attenuante di cui al n. 4, non trattandosi di delitti contro il patrimonio ovvero determinati da motivi di lucro, nè configurandosi, tanto più attesa la consistenza delle opere, una danno patrimoniale ovvero un lucro di speciale tenuità. Allo stesso modo, quanto all'attenuante di cui al n. 1, la Corte d'appello chiarisce come non sia stato dedotto alcun motivo di particolare valore morale e sociale che avrebbe spinto i ricorrenti a violare la legge.
Si noti, del resto, che l'attenuante prevista dall'art. 62 c.p., n. 1 è applicabile quando la moralità ed utilità sociale del motivo, oltre ad essere tali obiettivamente, implicano una componente altruistica e comunitaria, che si contrappone al soddisfacimento di un personale ed egoistico interesse. Ne deriva che al reato di costruzione abusiva, posto in essere per bisogno abitativo, è inapplicabile la circostanza in oggetto costituendo l'Azione espressione di una pretesa individualistica, non favorevolmente valutabile secondo la concezione e finalità delle comunità organizzate (Sez. 3, n. 11225 del 18/06/1987 - dep. 26/10/1987, CASIRARO, Rv. 176901).
Quanto, invece, all'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, è stato giàaffermato da questa Corte che la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, sia nella previsione della prima che della seconda parte dell'art. 62 c.p., n. 4, è inapplicabile ai reati edilizi in quanto non compatibile con la loro natura contravvenzionale (sez. 3, n. 23872 del 08.04.2009 - dep. 10.06.2009, Santoro, rv. 244081).
8. Il ricorso dev'essere, quindi, dichiarato inammissibile.
Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in Euro 1.000,00 ciascuno.
9. Solo per completezza, si noti, non può peraltro essere dichiarata l'intervenuta estinzione dei reati ascritti per prescrizione, maturata alla data dell'11/092013 (successivamente alla sentenza d'appello, pronunciata in data 7/06/2013), in assenza di cause di sospensione valutabili ex art. 159 c.p..
L'inammissibilità del ricorso per Cassazione dovuta, come nel caso in esame, alla manifesta infondatezza dei motivi non consente infatti il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (Sez. U, n. 32 del 22.11.2000 - dep. 21.12.2000, De Luca, rv. 217266).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2014.