Cass. Sez. III n. 35109 del 19 settembre 2024 (UP 15 mag 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Torre
Urbanistica.Falsità SCIA alternativa al permesso di costruire
Il comma sesto dell’art. 19, comma 6, legge n. 241 del 1990, costituisce norma speciale rispetto a quella prevista dall’art. 76 d.P.R. n. 445 del 2000 con la conseguenza che le false dichiarazioni, attestazioni o asseverazioni a corredo della segnalazione certificata di inizio attività alternativa al (o sostitutiva del) permesso di costruire sono penalmente rilevanti e punibili ai sensi dell’art. 483 cod. pen.
RITENUTO IN FATTO
1. La sig.ra Maria Assunta Torre ricorre per l’annullamento della sentenza del 3 maggio 2023 della Corte di appello di Genova che, pronunciando sulla sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena di due mesi di reclusione irrogata con sentenza del 11 febbraio 2022 del Tribunale di Massa per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma, 483 cod. pen. a lei ascritto per aver attestato, negli atti di notorietà allegati alla SCIA presentata per la realizzazione di un fabbricato, fatti non rispondenti al vero circa la effettiva preesistenza del fabbricato stesso. In particolare, nella dichiarazione datata 7 luglio 2015 attestava che il manufatto oggetto di intervento era anteriore al 1941, in quella datata 4 settembre 2015 che l’immobile era sempre stato adibito ad abitazione dall’anno della sua costruzione all’attualità.
1.1. Con il primo motivo deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 483 cod. pen. e 76 d.P.R. n. 445 del 2000, nonché il vizio di motivazione contraddittoria o manifestamente illogica in ordine alla ritenuta sussistenza del reato.
Per un primo profilo afferma che la dichiarazione sostitutiva di atto notorio non ha natura di atto pubblico, requisito espressamente richiesto ai fini della integrazione del delitto di cui all’art. 483 cod. pen.
Per un secondo profilo deduce il vizio di motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto che sul terreno non fosse presente alcun fabbricato, con conseguente qualificazione dell’intervento come di nuova costruzione, ricavando tale dato da fotografie risalenti agli anni 60/70 e da un’immagine di Google Earth del 2015, negligendo completamente le dichiarazioni testimoniali e del consulente tecnico che attestavano la preesistenza di un piccolo ma funzionale manufatto adibito, d’estate, ad abitazione.
Per un terzo profilo lamenta la mancanza assoluta di motivazione (in senso grafico) relativa alla dedotta insussistenza del falso ideologico contestato come commesso il 4 settembre 2015.
1.2. Con il secondo motivo lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilità per speciale tenuità del fatto e deduce, al riguardo, l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. e il vizio di motivazione contraddittoria, manifestamente illogica, apodittica e apparente sulle ragioni del diniego.
2. Con memoria del 12 aprile 2024, il difensore della ricorrente ha replicato alla richiesta del Procuratore generale di inammissibilità del ricorso insistendo per l’accoglimento dello stesso e il conseguente annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
2. La ricorrente risponde del (residuo) reato di cui agli artt. 81, secondo comma, 483 cod. pen., rubricato al capo C, perché, quale proprietaria e committente dei lavori di ristrutturazione di un immobile sito in località Castagnetola, Via Fossa Cieca, n. 57, di Massa, aveva attestato falsamente nelle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà allegate alla SCIA del 7 luglio 2015 fatti dei quali tali atti erano destinati a provare la verità; segnatamente:
• nella dichiarazione del 7 luglio 2015 aveva attestato, contrariamente al vero, che “il fabbricato oggetto di intervento è legittimato in quanto ante 1941”;
• nella dichiarazione del 4 settembre 2015, presentata a integrazione della precedente, aveva attestato che “il fabbricato oggetto di intervento è da sempre stata abitazione dall’anno della sua costruzione ad oggi e da sempre utilizzata come tale".
2.1. All’esito dell’istruttoria dibattimentale, il Tribunale aveva ritenuto, in fatto, la falsità di entrambe le dichiarazioni dando credito alla testimonianza dell’unica persona “indifferente”, tal Finelli, la cui famiglia aveva posseduto i terreni interessati dall’intervento, venduti nel 1971 alla zia dell’imputata, Armandina Bongiorno; il testimone aveva escluso con certezza che, almeno fino agli anni ’80, sugli stessi insistessero opere stabili. Tale testimonianza si salda, nella valutazione del Tribunale, con quella resa dalla confinante denunziante, Donatella Poletti, secondo cui sul terreno in questione non c’era nulla se non un pollaio, e con le fotografie prodotte dalla stessa denunziante in udienza. Il primo Giudice ha così escluso la credibilità dei testimoni a discarico, siccome legati all’imputata da rapporti di parentela stretta (coniuge e fratello) e di dichiarata amicizia, i quali avevano riferito dell’esistenza, sin dagli anni ’70, e dunque prima della vendita del terreno alla Bongiorno, di una “casina” in muratura utilizzata come locale di appoggio soprattutto nei mesi estivi.
In diritto, il Tribunale aveva osservato che le due dichiarazioni in questione erano state rese dall’imputata ai sensi e per gli effetti dell’art. 76 d.P.R. n. 445 del 2000, trattandosi di attestazione del privato su fatti che sono a sua conoscenza ex art. 47 del d.P.R. cit.
2.2. In appello, l’imputata aveva dedotto, quanto al reato di cui al capo C, la insussistenza del reato sotto il profilo della corrispondenza a vero di quanto dichiarato e, in ogni caso, dell’essersi incolpevolmente affidata al professionista incaricato di compilare la SCIA da lei sottoscritta senza averla letta.
2.3. Nel ribadire la condanna dell’imputata, la Corte di appello ha ulteriormente osservato che del preteso vecchio edificio non si è mai trovata traccia al catasto e che la presenza di tale manufatto non è rilevabile nemmeno dalle foto di Google Earth almeno fino al 2017, anno in cui è perfettamente visibile tramite lo stesso sito web. Ha poi ribadito che le dichiarazioni effettuate dalla ricorrente hanno una valenza probatoria privilegiata.
La Corte territoriale ha infine negato l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. in considerazione della natura e dell’interesse protetto dalla norma e violato che non può ritenersi connotata da minima offensività.
3. Tanto premesso, il primo motivo è manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità.
3.1. La falsità delle asseverazioni della ricorrente è stata accertata dai Giudici di merito in base a dati e considerazioni che non possono essere sindacati in questa sede di legittimità.
3.2. In grado di appello la ricorrente aveva dedotto che il Finelli aveva affermato che la costruzione era stata forse realizzata negli anni successivi alla vendita, probabilmente negli anni ottanta, e che la testimone Berlincioni aveva riferito che negli anni a cavallo tra il 1985 e il 1986 era stata più volte ospite dell’imputata a pranzo presso l’immobile in questione, costituito da una stanzetta, una cucina e un bagno. Ora, se è vero che il Finelli aveva effettivamente circoscritto la sua conoscenza dei fatti ai primi anni ottanta del secolo scorso, è altrettanto vero che il Tribunale aveva escluso la credibilità degli altri testimoni della difesa sia per la inconciliabilità logica delle loro dichiarazioni con quelle rese dal Finelli stesso e dalla denunziante, sia perché quest’ultima aveva prodotto delle fotografie dalle quali risultava con assoluta certezza che negli anni settanta sul terreno venduto alla Bongiorno non insisteva alcun manufatto. Tali elementi di prova non sono mai stati presi in considerazione in sede di appello, sicché la ricorrente non può dolersi, oggi, della mancanza di motivazione in ordine alla rilevanza probatoria delle dichiarazioni rese dagli altri testimoni a discarico.
3.3. Nè può essere condivisa la deduzione difensiva circa il carattere “neutro” della seconda asseverazione, quella secondo la quale, cioè, il fabbricato oggetto di intervento era stato da sempre utilizzato come abitazione sin dall’anno della sua costruzione. Così non è perché il fabbricato oggetto delle due asseverazioni è lo stesso unico immobile oggetto del segnalato intervento di ristrutturazione dichiarato con SCIA del 7 luglio 2015. Sicché, quando la ricorrente attestava la destinazione ad abitazione dell’immobile sin dalla sua costruzione, non aveva certo inteso “postdatare” la data di costruzione ma aveva semplicemente integrato la prima dichiarazione affermando che l’immobile oggetto di intervento era stato realizzato prima del 1941 e che sin dalla sua realizzazione era stato adibito ad abitazione. Di qui la sostanziale irrilevanza della questione relativa alla possibile edificazione dell’immobile negli anni ottanta del secolo scorso. Peraltro, la Corte di appello ha affermato che della preesistenza dell’immobile non v’è traccia non solo nel catasto (pag. 5) ma nemmeno nelle fotografie “Google Earth” del 2015 laddove dalle stesse foto del 2017 l’immobile è perfettamente visibile. L’inconciliabilità del dato documentale con la testimonianza della Berlincioni non è affatto spiegata dalla ricorrente che con questa specifica informazione probatoria non si confronta affatto, limitandosi a dolersi della sua omessa considerazione.
3.4. La questione di fatto si salda con quella, di diritto, delle ragioni della asseverazione.
3.5. L’art. 207, legge reg. Toscana 10 novembre 2014, n. 65, intitolato: “Sanzioni per opere ed interventi edilizi abusivi anteriori al 1° settembre 1967”, applicabile ratione temporis, prevedeva un regime di possibile sanatoria per gli immobili abusivi costruiti prima del 1967 diversificandone le sorti a seconda che l’opera ricadesse o meno all’interno della perimetrazione urbana (rimessione in pristino o pagamento di una sanzione nel caso di immobile costruito all’interno del perimetro; sanabilità tout court dell’intervento nel caso contrario). L'avvenuta ultimazione delle opere e degli interventi entro il 1 settembre 1967, nonché la loro collocazione all’interno o all’esterno della perimetrazione dei centri abitati, dovevano essere comprovate, ai sensi del comma quinto, dal proprietario o altro soggetto avente titolo mediante adeguata documentazione, quali riprese fotografiche, estratti cartografici, planimetrie catastali, documenti d'archivio, o altro mezzo idoneo. Non avevano valore le prove testimoniali. Nel caso in cui il comune, anche alla luce delle risultanze istruttorie dei competenti uffici, avesse ritenuto che la documentazione prodotta dall'interessato contenesse in tutto o in parte dati ed elementi non corrispondenti al vero e tali da determinare la violazione delle disposizioni di cui all’art. 207, ne avrebbe dovuto dare contestuale notizia all'autorità giudiziaria.
3.6. Le asseverazioni oggetto di imputazione, dunque, soddisfacevano l’esigenza probatoria richiesta dalla norma in questione (richiamata, peraltro, nell’editto accusatorio) ed erano chiaramente finalizzate ad attestare un fatto di diretta conoscenza della ricorrente: la preesistenza dell’immobile del quale si preannunciava la ristrutturazione.
3.7. Si tratta, dunque, di fatto che, postulato come a diretta conoscenza dell’interessata, poteva essere astrattamente oggetto di dichiarazione sostitutiva di notorietà ai sensi dell’art. 47, comma 1, d.P.R. n. 445 del 2000. Peraltro, le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica non necessariamente devono essere sottoscritte dall'interessato in presenza del dipendente addetto potendo, in alternativa, essere sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore anche via fax o per via telematica (art. 38 d.P.R. n. 445 cit.). Il successivo art. 76, comma 3, chiarisce che tutte le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 sono considerate come fatte a pubblico ufficiale e punisce ai sensi del codice penale chiunque rilascia dichiarazioni mendaci (comma 1). La giurisprudenza della Corte di cassazione ha da tempo chiarito che integra il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.) la condotta di colui che dichiara il falso in sede di dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa ai sensi dell'art. 47 d.P.R. n.445 del 2000 (cfr. per tutte, Sez. 5, n. 7857 del 26/10/2017, Marchetti, Rv. 272277 - 01).
3.8. Nel caso di specie, come detto, l’intervento è stato realizzato in base a SCIA.
3.9. L’art. 19, comma 1, legge n. 241 del 1990, recante disposizioni in materia di Segnalazione certificata di inizio attività - Scia, stabilisce, per quanto di interesse, che «[o]gni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria. La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nonché, ove espressamente previsto dalla normativa vigente, dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell’amministrazione».
3.10. Il sesto comma presidia la veridicità delle asseverazioni, attestazioni o dichiarazioni con la reclusione da uno a tre anni nei confronti di chi, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1.
3.11. La SCIA di cui all’art. 19, legge n. 241, cit., non si applicano però alle denunzie che, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative al (o sostitutive del) permesso di costruire (art. 5, comma 2, lett. c, d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106).
3.12. Trattandosi, nel caso di specie, di nuova costruzione, la SCIA doveva considerarsi alternativa al permesso di costruire ai sensi dell’art. 23 d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente non applicabilità del regime sanzionatorio previsto dal sesto comma dell’art. 19, legge n. 241, cit.
3.13. Non ha fondamento, dunque, la deduzione difensiva secondo la quale l’art. 483 cod. pen. non è applicabile agli atti e alle autocertificazioni allegate alla SCIA alternativa al permesso di costruire. E’ piuttosto vero il contrario: la falsità delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà allegate alla SCIA ex art. 19 legge n. 241 del 1990 sono punite addirittura più severamente di quelle generalmente sanzionate ai sensi dell’art. 76 d.P.R. n. 445 del 2000; ma questo non equivale a sostenere che, in caso contrario, la condotta non è penalmente rilevante. E’ conclusione che non può essere condivisa visto che il primo comma dell’art. 19 legge n. 241 cit. prevede espressamente la possibilità di corredare la segnalazione con dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 d.P.R. n. 445 del 2000, dichiarazioni il cui statuto penale, come visto, era già assicurato dall’art. 76, ma che in questi casi è specificamente e più gravemente punito dal sesto comma dell’art. 19 legge n. 241 cit.
3.14. Ne consegue che il comma sesto dell’art. 19, comma 6, legge n. 241 del 1990, costituisce norma speciale rispetto a quella prevista dall’art. 76 d.P.R. n. 445 del 2000 con la conseguenza che le false dichiarazioni, attestazioni o asseverazioni a corredo della segnalazione certificata di inizio attività alternativa al (o sostitutiva del) permesso di costruire sono penalmente rilevanti e punibili ai sensi dell’art. 483 cod. pen.
6. Il secondo motivo è fondato (e comunque non è manifestamente infondato).
6.1. Con motivazione oggettivamente assertiva e insufficiente, la Corte di appello ha negato l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto osservando che «la condotta di falso in questione, per la natura dell'interesse protetto dalla norma e violato, non può ritenersi connotata di minima offensivi idonea a configurare un fatto di particolare continuità che consenta l'applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p.».
6.2. Come correttamente stigmatizza la ricorrente, la natura dell’interesse violato non può costituire di per sé motivo di inapplicabilità della norma trattandosi di valutazione già compiuta dal legislatore in sede di selezione dei reati cui la speciale causa di non punibilità è astrattamente applicabile. E’ un dato di fatto che, trattandosi di reato punito con pena edittale non superiore, nel minimo, a due anni di reclusione, la Corte di appello, espressamente e specificamente sollecitata con il terzo motivo di impugnazione, non ha preso in considerazione nessuno degli indici indicati dall’art. 133, primo comma, cod. pen.
6.3. La fondatezza (e comunque la non manifesta infondatezza) del ricorso giova alla corretta instaurazione del rapporto processuale di impugnazione e alla rilevazione d’ufficio del tempo necessario a prescrivere maturato, pur considerando le sospensioni del dibattimento, il 9 dicembre 2023.
6.4. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il residuo reato di cui al capo C è estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il residuo reato di cui al capo C è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 15/05/2024.