 Cass. Sez. III n. 6591 del 17 febbraio 2012 (Ud. 24 nov. 2011)
Cass. Sez. III n. 6591 del 17 febbraio 2012 (Ud. 24 nov. 2011)
Pres. Teresi Est. Andronio Ric. D'onofrio
Urbanistica. Piscine e disciplina antisismica
Gli artt. 83 e seguenti del d.P.R. n. 380 del 2001 devono essere interpretati nel senso che non escludono le piscine. Tali disposizioni si applicano, infatti, a tutte le costruzioni la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità, a nulla rilevando la natura dei materiali usati e delle strutture realizzate, stante l'esigenza di massimo rigore nelle zone dichiarate sismiche, che rende necessari i controlli e le cautele prescritte anche quando si impiegano elementi strutturali meno solidi e duraturi rispetto alla muratura ed al cemento armato. Né alcun rilievo può assumere il carattere eventualmente precario della costruzione, proprio in considerazione delle prevalenti esigenze di sicurezza alla tutela delle quali la normativa antisismica si correla.
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:          Udienza pubblica
 Dott. TERESI    Alfredo            - Presidente  - del 24/11/2011
 Dott. FIALE     Aldo               - Consigliere - SENTENZA
 Dott. AMORESANO Silvio             - Consigliere - N. 2494
 Dott. GAZZARA   Santi              - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. ANDRONIO  Alessandro M. - rel. Consigliere - N. 13604/2011
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) D'ONOFRIO PAOLO N. IL 11/09/1967;
 avverso la sentenza n. 1321/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del  			29/06/2010;
 visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
 udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2011 la relazione fatta dal  			Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;
 Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Lettieri Nicola  			che ha concluso per il rigetto del ricorso;
 Udito il difensore avv. Tretola Gianluca.
 RITENUTO IN FATTO
 1. - Con sentenza del 29 giugno 2010, la Corte d'appello di Napoli,  			ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Santa  			Maria Capua Vetere in data 12 dicembre 2008, assolvendo l'imputato  			dal reato di cui all'art. 81 c.p., comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001,  			artt. 64, 71, 65, 72 con la formula "perché il fatto non sussiste",  			confermando quanto agli altri reati oggetto di condanna (di cui al  			D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 83 e 95 e L.R. n. 9 del 1983, art. 2,  			nonché al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 44, comma 1, lett. c), art.  			181, in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001) la sentenza di primo  			grado, rideterminando la pena in diminuzione, e revocando l'ordine di  			rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
 2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il  			difensore, ricorso per cassazione, deducendo in primo luogo la  			violazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 146 e 181. Rileva la  			difesa che l'imputato ha ottenuto il permesso di costruire in  			sanatoria, previo rilascio del nullaosta paesaggistico da parte della  			competente autorità preposta alla gestione del vincolo, la quale  			avrebbe riconosciuto la mancanza di qualunque violazione pregressa,  			escludendo la rilevanza penale della condotta.
 Si lamenta, in secondo luogo, la violazione del D.P.R. n. 380 del  			2001, artt. 83 e 95, sul rilievo che la natura dell'opera realizzata  			(una piscina prefabbricata) non potrebbe farla rientrare nel novero  			di quelle per le quali si pongono problemi di staticità, in  			relazione all'uso del cemento armato, e di pericolo per la pubblica  			incolumità, per quanto riguarda la normativa antisismica.  			Si deduce, in terzo luogo, la carenza di motivazione circa la  			determinazione della pena, rilevando che la Corte d'appello avrebbe  			tralasciato di considerare il relativo motivo di appello, limitandosi  			a ricalcolare la pena stessa, in conseguenza dell'avvenuta  			assoluzione dal reato di cui al capo B) dell'imputazione.  			CONSIDERATO IN DIRITTO
 3. - Il ricorso deve essere rigettato.
 3.1. - Il primo motivo di impugnazione - con cui si deduce la  			violazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 146 e 181, sul rilievo  			che l'imputato ha ottenuto il permesso di costruire in sanatoria,  			previo rilascio del nullaosta paesaggistico da parte della competente  			autorità preposta alla gestione del vincolo, la quale avrebbe  			riconosciuto la mancanza di qualunque violazione pregressa,  			escludendo la rilevanza penale della condotta - è infondato.  			Correttamente, infatti, la Corte d'appello ha richiamato e applicato  			alla fattispecie il principio, enunciato dalla giurisprudenza di  			questa Corte, secondo cui il rilascio del nullaosta paesaggistico,  			pur se correlato al successivo rilascio del permesso di costruire in  			sanatoria, non estingue il reato ambientale, perché si tratta di  			provvedimento dotato di efficacia ex nunc; efficacia limitata, cioè,  			all'esecuzione delle opere descritte nella domanda di accertamento  			edilizio di conformità, non essendo l'effetto estintivo del reato  			paesaggistico espressamente previsto da alcuna disposizione  			legislativa (Sez. 3^, 24 marzo 2010, n. 17535; 24 maggio 2007, n.  			34746; 26 novembre 2002, n. 2109/2003).
 3.2. - Il secondo motivo di ricorso - con cui si lamenta la  			violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 83 e 95, sul rilievo che  			la natura dell'opera realizzata (una piscina prefabbricata) non  			potrebbe farla rientrare nel novero di quelle per le quali si pongono  			problemi di staticità, in relazione all'uso del cemento armato, e di  			pericolo per la pubblica incolumità, per quanto riguarda la  			normativa antisismica - è del pari infondato.
 Deve premettersi che, secondo il costante orientamento di questa  			Corte, sono da considerare lavori di costruzione edilizia per i quali  			occorre la concessione non soltanto quelli di realizzazione di  			manufatti che si elevano al di sopra del suolo ma anche quelli aventi  			ad oggetto opere in tutto o in parte interrate, che comunque  			trasformano durevolmente l'area impegnata (ex plurimis, Sez. 3^, 29  			aprile 2003, n. 26197; Sez. 3^, 27 settembre 2000, n. 12288). In  			particolare, la realizzazione di una piscina implica, ordinariamente,  			la creazione di nuove volumetrie, perché comporta l'esecuzione di  			lavori di scavo, rivestimento ed installazione di impianti  			tecnologici (Sez. 3^, 22 ottobre 1999, n. 12104).
 Ne consegue, con specifico riferimento alla disciplina antisismica,  			che - contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente - il D.P.R. n.  			380 del 2001, artt. 83 e segg., devono essere interpretati nel senso  			che non escludono le piscine. Tali disposizioni si applicano,  			infatti, a tutte le costruzioni la cui sicurezza possa interessare la  			pubblica incolumità, a nulla rilevando la natura dei materiali usati  			e delle strutture realizzate, stante l'esigenza di massimo rigore  			nelle zone dichiarate sismiche, che rende necessari i controlli e le  			cautele prescritte anche quando si impiegano elementi strutturali  			meno solidi e duraturi rispetto alla muratura ed al cemento armato  			(Sez. 3^, 25 gennaio 2011, n. 15412; 24 ottobre 2001, n. 38142). Nè  			alcun rilievo può assumere il carattere eventualmente precario della  			costruzione, proprio in considerazione delle prevalenti esigenze di  			sicurezza alla tutela delle quali la normativa antisismica si correla  			(Sez. 3^ 10 ottobre 2007, n. 37322; 19 dicembre 2003, n. 48684; 4  			ottobre 2002, n. 33158).
 Tali principi sono stati puntualmente applicati nel caso in esame, in  			cui la Corte d'appello ha rilevato che l'oggetto del capo di  			imputazione è limitato al profilo della violazione della normativa  			antisismica; profilo sul quale la stessa Corte correttamente afferma  			che la realizzazione di un esteso scavo in zona sismica, non limitato  			alle sole dimensioni della piscina, ma ad altro spazio intorno ad  			essa per consentire l'interramento, è sicuramente oggetto della  			normativa in questione, anche perché incide notevolmente sul  			territorio, tenuto conto della sua vicinanza con l'abitazione  			principale dell'imputato.
 3.3. - Infondato è anche il terzo motivo di ricorso, con cui si  			deduce la carenza di motivazione circa la determinazione della pena,  			rilevando che la Corte d'appello ha tralasciato di considerare il  			relativo motivo di appello, limitandosi a ricalcolare la pena è in  			conseguenza dell'avvenuta assoluzione dal reato di cui al capo B)  			dell'imputazione.
 Va, infatti, osservato che la Corte distrettuale afferma che la pena  			da essa ricalcolata appare, ai sensi dell'art. 133 c.p., del tutto  			equa rispetto alla personalità dell'imputato e al fatto in  			contestazione, e che tale motivazione deve essere considerata  			sufficiente, perché integrata dagli analitici rilievi già svolti in  			relazione alla descrizione dei fatti per i quali è intervenuta la  			condanna.
 4. - Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente  			al pagamento delle spese del procedimento.
 P.Q.M.
 Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese  			processuali.
 Così deciso in Roma, il 24 novembre 2011.
 Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2012
 
                    




