Cass. Sez. III n. 45817 del 23 novembre 2012 (Ud. 23 ott. 2012)
Pres. Fiale Est. Ramacci Ric. Del Vecchio
Urbanistica. Violazione di sigilli e configurabilità in caso di inefficacia o illegittimità del sequestro
Avuto riguardo alle finalità perseguite dall'art. 349 cod. pen., appare evidente che l'esigenza di assicurare la conservazione e l'identità di una cosa va intesa come tutela della intangibilità del bene da ogni intervento di disposizione o manomissione assicurata dai sigilli per ordine dell'autorità o perché stabilito dalla legge, tanto è vero che il reato si configura anche in caso di inefficacia o illegittimità di un provvedimento di sequestro o di apposizione dei sigilli, in quanto il vincolo, una volta apposto, non può essere violato dal privato sino a quando non sia formalmente rimosso dall'autorità competente
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell'1.7.2011, la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza in data 24.2.2009 del Tribunale di Lucca - Sezione Distaccata di Viareggio appellata da D.V.G., il quale era stato ritenuto responsabile del reato di violazione di sigilli e conseguentemente sanzionato ai sensi dell'art. 349 c.p., comma 1.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione dell'art. 349 cod. pen., rilevando la insussistenza del reato per la mancanza di un reato-fine.
Osserva, a tale proposito, che i concorrenti reati contravvenzionali, relativi all'esecuzione di un intervento edilizio in zona vincolata in assenza dei prescritti titoli abilitativi, erano stati oggetto di archiviazione da parte del Pubblico Ministero e che tale circostanza era stata ignorata dal giudice del merito e, riproposta in appello, è stata disattesa anche dalla Corte territoriale, la quale ha escluso che il reato in questione sia finalizzato alla commissione di altri reati ed ha ritenuto che la condotta contestata, sebbene posta in essere per espletare un'attività lecita di manutenzione straordinaria di un manufatto, era comunque idonea a configurare il reato in esame.
3. Con il secondo motivo di ricorso rileva un ulteriore violazione dell'art. 349 cod. pen., osservando che, se come affermato dalla giurisprudenza, l'applicazione dei sigilli assolve anche alla conservazione della cosa, l'intervento di manutenzione ordinaria eseguito coinciderebbe con le finalità della norma e la condotta posta in essere non avrebbe alcun rilievo in sede penale.
4. Con un terzo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche, giustificata dalla Corte territoriale per i precedenti penali dell'imputato, senza tener conto che lo stesso era stato più volte assolto.
5. Con un quarto motivo di ricorso rileva la intervenuta prescrizione del reato.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
6. Il ricorso è infondato.
Del tutto destituito di fondamento risulta, infatti, il primo motivo di ricorso, perchè, come è noto, la violazione di sigilli si colloca tra i delitti contro la pubblica amministrazione, nell'interesse della quale garantisce la custodia di cose mobili o immobili da eventuali atti di disposizione o manomissione da parte di soggetti non autorizzati.
Se dunque è questa la finalità perseguita dalla disposizione in esame, è del tutto irrilevante l'esistenza o meno di un reato-fine, poichè il reato, come già osservato da questa Corte, si consuma per il solo fatto della rimozione, rottura, apertura, distruzione dei sigilli, ovvero con la realizzazione di qualsiasi comportamento idoneo a frustrare l'assicurazione della cosa mediante i sigilli medesimi pur lasciandoli intatti (Sez. 3 n. 13147, 12 aprile 2005. V. anche SS. UU. n. 5385, 10 febbraio 2010).
Di ciò ha tenuto correttamente conto la Corte territoriale nell'impugnato provvedimento, richiamando anche una specifica pronuncia di questa Corte, ancorchè risalente nel tempo, nella quale, tenuto conto della funzione assolta dall'apposizione dei sigilli e dell'ininfluenza delle ragioni e dalle finalità per le quali essa è stata disposta, si è affermato che, per la sussistenza del reato non rileva la eventuale assoluzione dell'imputato, successivamente alla commissione del reato di violazione dei sigilli, dal reato-fine addebitatogli e in occasione del quale furono applicati i sigilli (Sez. 6 n. 6171, 20 giugno 1985).
Ne consegue che la decisione impugnata è, sul punto, del tutto immune da censure.
7. A conclusioni analoghe deve poi pervenirsi per quanto attiene al secondo motivo di ricorso, poichè avuto riguardo alle suindicate finalità perseguite dall'art. 349 cod. pen., appare evidente che l'esigenza di assicurare la conservazione e l'identità di una cosa va intesa come tutela della intangibilità del bene da ogni intervento di disposizione o manomissione assicurata dai sigilli per ordine dell'autorità o perchè stabilito dalla legge, tanto è vero che il reato si configura anche in caso di inefficacia o illegittimità di un provvedimento di sequestro o di apposizione dei sigilli, in quanto il vincolo, una volta apposto, non può essere violato dal privato sino a quando non sia formalmente rimosso dall'autorità competente (Sez. 3 n. 47443, 11 dicembre 2003; Sez. 3 n. 8643, 25 luglio 1998; Sez. 3 n. 3954, 29 aprile 1997; Sez. 6 n. 9797, 13 ottobre 1992; Sez. 6 n. 6929, 28 giugno 1991).
Alla luce di tali considerazioni appare evidente che l'esecuzione di interventi di manutenzione straordinaria sull'immobile sequestrato costituisce plateale violazione dell'art. 349 cod. pen. ed a nulla rileva la natura conservativa dell'intervento, poichè la mera violazione del vincolo imposto, indipendentemente dal suo scopo, essendo rivolta ad eludere la volontà manifestata con l'apposizione dei sigilli, è di per sè idonea al perfezionamento del reato.
8. Anche l'infondatezza del terzo motivo di ricorso risulta di macroscopica evidenza.
Va osservato, a tale proposito, che in tema di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v.
Sez. 2 n. 3609, 1 febbraio 2011; Sez. 6 n. 34364, 23 settembre 2010), con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell'imputato (Sez. 6 n. 42688, 14 novembre 2008; Sez. 6 n. 7707, 4 dicembre 2003).
Nella fattispecie, la Corte territoriale non è venuta meno agli obblighi motivazionali ed ha chiaramente individuato le ragioni del mancato riconoscimento nella circostanza che il ricorrente risulta gravato da plurimi precedenti penali.
A fronte di tale precisa indicazione, il ricorrente oppone infondate considerazioni sulla genericità del riferimento ai precedenti penali ed alla circostanza che sarebbe stata documentalmente dimostrata in dibattimento l'assoluzione con formula ampia in numerosi processi penali.
L'assunto è totalmente infondato, essendo la condizione di pregiudicato del ricorrente ampiamente dimostrata dal fatto che allo stesso è stata contestata la recidiva reiterata infraquinquennale e da sola sufficiente, come si è già detto, a giustificare il diniego.
9. Infine, nel quarto motivo di ricorso, il ricorrente laconicamente eccepisce l'intervenuta prescrizione del reato senza null'altro aggiungere.
Anche in questo caso la doglianza è di tutto priva di consistenza, risultando il reato commesso il (OMISSIS), cosicchè il termine massimo di prescrizione ad oggi non risulta maturato.
10. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2012.