Consiglio di Stato Sez. VII n. 2017 del 1 marzo 2024
Urbanistica.Condono edilizio e modifiche del manufatto successive alla domanda
Il Comune, in sede di valutazione della domanda di condono, è vincolato a considerare esclusivamente la consistenza del manufatto esistente alla data stabilita dal legislatore tra i presupposti della sanabilità dell’intervento abusivo. La ratio dell’istituto del condono edilizio si rivolge a condizioni di fatto già esistenti, con opere già eseguite, e pertanto qualunque modificazione nelle more intervenuta non può che determinare la conclusione del procedimento avviato nel senso della sua archiviazione o dell’emissione di un provvedimento di diniego, ferma restando la possibilità di instaurare un nuovo procedimento, ove ne ricorrano le condizioni normative, fondato sulla nuova realtà di fatto.
Pubblicato il 01/03/2024
N. 02017/2024REG.PROV.COLL.
N. 04050/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4050 del 2023, proposto da
Renzo Turrini, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefania Cavallo, Giulio Pasquini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Peschiera del Garda (Vr), non costituito in giudizio;
nei confronti
Agenzia del Demanio - Direzione Regionale Veneto, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) n. 01632/2022, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista la nota depositata in data 14 febbraio 2024 con la quale la parte appellante ha chiesto il passaggio in decisione della causa senza preventiva discussione;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2024 il Cons. Marco Valentini, nessuno presente per le parti;
Viste, altresì, le conclusioni della parte come da verbale.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Avanti il giudice di prime cure, l’originario ricorrente, odierno appellante, ha chiesto l’annullamento:
a) del provvedimento 24 marzo 2011 prot. n. 4853, con cui il Comune di Peschiera del Garda ha denegato l'autorizzazione paesaggistica, relativa al condono edilizio richiesto con istanza 30 novembre 1994 prot. n. 5217;
b) del provvedimento 25 marzo 2011 prot. n. 4979, con cui il Comune di Peschiera del Garda ha negato il permesso di costruire in sanatoria, relativo alla domanda di condono sub a);
c) dell'ordinanza 28 marzo 2011 prot. n. 5011, con cui il Comune di Peschiera del Garda ha ordinato al ricorrente la demolizione di fabbricato ad uso commerciale in località Marina su area catastalmente identificata alla Sez. unica Foglio 9° Mapp. n. 229 e la rimessa in pristino dei luoghi.
In fatto, il ricorrente ha riferito di aver gestito per oltre vent’anni una piccola stazione di servizio per natanti sulle sponde del fiume Mincio, lungo il canale Mercantile di Peschiera del Garda.
Oltre al distributore, un tempo l’attività veniva svolta anche con un chiosco prefabbricato in legno, adibito ad ufficio, punto vendita e deposito.
Tale struttura era ubicata su un terreno privato condotto in locazione.
Dopo l’esecuzione di uno sfratto, il chiosco è stato spostato in adiacenza alla pompa di carburante sul terreno demaniale. I
In data 30 novembre 1994, il ricorrente ha presentato domanda di condono del chiosco in cui erano ubicati un bar, un ufficio ed un deposito.
A tal fine ha acquisito il parere favorevole delle Amministrazioni coinvolte.
Tuttavia, il Comune con provvedimento prot. n. 2653 del 1° marzo 2001, ha negato il condono sotto il profilo ambientale, visto il parere contrario della commissione edilizia.
Con sentenza n. 3337/2007 il TAR adito avverso il citato provvedimento ha accolto il ricorso per l’assenza, nella commissione edilizia integrata, al momento della deliberazione, dei due esperti in materia di beni ambientali.
Con provvedimento prot. n. 4853 del 24 marzo 2011, l’amministrazione comunale ha nuovamente negato l’autorizzazione paesaggistica, confermando nel merito quanto osservato nel parere annullato, relativamente all’incongruenza di tipologia e materiali del manufatto abusivo rispetto alle preesistenze edilizie storiche di Peschiera.
Con provvedimento prot. n. 4979 del 25 marzo 2011 è stata quindi respinta la domanda di condono presentata in data 30 novembre 1994.
Il TAR adito ha respinto il ricorso.
Avverso la sentenza di primo grado in data 10 maggio 2023 è stato depositato ricorso in appello, con la richiesta di riformare la sentenza impugnata e, conseguentemente, dichiarare l’illegittimità dei provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo del giudizio.
Non si sono costituite le parti appellate.
In data 19 gennaio 2024 ha depositato memoria la parte appellante.
Nell’udienza pubblica del 20 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
In sede di appello, sono stati dedotti cinque motivi:
- Erroneità, contraddittorietà, travisamento, incongruità, carenza di motivazione nonché violazione ed errata interpretazione di legge da parte della sentenza impugnata in ordine alla affermata infondatezza del primo motivo del ricorso
Con il primo motivo, argomenta l’appellante che il giudice di primo grado ha respinto il ricorso di primo grado sostenendo in primo luogo l’infondatezza dei primi tre motivi di gravame proposti, dopo averli esaminati congiuntamente.
In realtà, ad avviso dell’appellante, la sentenza impugnata va presa in esame rispetto ad ogni singolo motivo del ricorso di primo grado.
Quanto al primo di questi, secondo l’appellante risultano violati l’art. 6 della l.r. n. 63/94 e successive modifiche, gli artt. 146 e segg. del d. lgs. n. 42/2004, nonché gli artt. 3 e 10 della legge n. 241/90.
L’istruttoria comunale risulterebbe, infatti, erronea e carente rispetto alla normativa relativa all’autorizzazione paesaggistica, per non aver tenuto conto delle integrazioni progettuali depositate nel 2004 dall’odierno appellante, integrazioni espressamente richieste dal Comune stesso.
Il tutto senza tenere in alcuna considerazione né la documentazione prodotta dall’odierno appellante né la circostanza che il manufatto prefabbricato era stato debitamente autorizzato dal Comune ed era stato solo spostato di pochi metri, su area demaniale, con parere favorevole degli enti competenti.
L’appellante contesta poi quanto affermato nella sentenza impugnata relativamente alla circostanza che le proposte tecniche integrative presentate dall’odierno appellante non potevano essere prese in considerazione dal Comune perché successive allo stato di fatto esistente al momento della presentazione del condono edilizio, osservando che trattasi nella fattispecie di un manufatto prefabbricato, realizzato ad esclusivo servizio del distributore di carburante, inalterato rispetto alla concessione edilizia rilasciata nel 1979 dal Comune, solo dislocato nel 1993 in posizione differente di circa sei metri rispetto a quella originaria.
Considerato che il manufatto era regolarmente autorizzato dal Comune, che si trattava solo di adeguarlo con materiali e colori idonei e che lo stesso era stato traslato solo di pochi metri, vi erano secondo l’appellante tutti i presupposti perché il condono edilizio venisse accolto.
- Erroneità, contraddittorietà, travisamento, incongruità, carenza di motivazione nonché violazione ed errata interpretazione di legge da parte della sentenza impugnata in ordine alla affermata infondatezza del secondo motivo del ricorso di 10 primo grado. – Violazione del principio del legittimo affidamento
Con il secondo motivo, richiama l’appellante che con il secondo motivo del ricorso in primo grado è stato ritenuto che i provvedimenti impugnati fossero illegittimi per violazione del principio del legittimo affidamento, in quanto egli era stato indotto a confidare nell’approvazione della domanda di condono edilizio, essendosi scrupolosamente conformato a quanto richiestogli.
Nella fattispecie, per l’appellante, sussistevano tutti i requisiti del legittimo affidamento come enucleati dalla giurisprudenza.
Vi sono infatti vari provvedimenti c.d. favorevoli, nel senso che giustificavano la presenza ed il mantenimento del manufatto prefabbricato in questione: la concessione edilizia n. 104 del 1979, la richiesta comunale di adeguamento del giugno 2003, l’allacciamento del manufatto già spostato alla pubblica fognatura comunale.
Le descritte circostanze rappresentano chiaramente la sussistenza della buona fede dell’appellante, in quanto lo stesso ha diligentemente adempiuto a quelle che erano le richieste del giugno 2003 del Comune e si è sempre fidato delle “promesse” del Comune.
Sussiste infine il requisito del decorso del tempo: la domanda di condono edilizio è del 1994, i provvedimenti impugnati sono del 2011, quindi a distanza di oltre 16 anni.
- Erroneità, contraddittorietà, travisamento, incongruità, carenza di motivazione nonché violazione ed errata interpretazione di legge da parte della sentenza impugnata in ordine alla affermata infondatezza del terzo motivo del ricorso di primo grado. – Manifesta illogicità
Con il terzo motivo, l’appellante richiama il terzo motivo del ricorso di primo grado, con il quale aveva contestato i tre provvedimenti impugnati per eccesso di potere, sotto il profilo della manifesta illogicità, ipotizzando o che la Commissione edilizia ed il responsabile dell’area tecnica abbiano di proposito ignorato l’esistenza di una regolare concessione edilizia, di una specifica richiesta del Comune, dell’adempimento da parte dell’appellante a tale richiesta e dei pareri favorevoli degli altri enti competenti, così agendo con arbitrarietà, irragionevolezza ed irrazionalità nell’esercizio della discrezionalità amministrativa; ovvero che la Commissione edilizia ed il responsabile dell’area tecnica abbiano omesso di considerare le suindicate circostanze di fatto, per errore e/o dimenticanza, caso in cui emergerebbe un macroscopico travisamento dei fatti che comporterebbe anche in questa ipotesi l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per illogicità manifesta oltre che per violazione delle norme della legge n. 241/90.
- Erroneità, contraddittorietà, travisamento, incongruità, carenza di motivazione nonché violazione ed errata interpretazione di legge da parte della sentenza impugnata in ordine alla affermata infondatezza del quarto motivo del ricorso di primo grado
Con il quarto motivo, l’odierno appellante richiama il quarto motivo del ricorso in primo grado, con il quale sono stati contestati i tre provvedimenti impugnati per difetto di istruttoria e carenza di motivazione, in violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90.
Le affermazioni della Commissione edilizia, riprodotte pedissequamente dal responsabile dell’area tecnica nei tre provvedimenti impugnati, sono infatti, per l’appellante, estremamente generiche e contraddittorie.
La Commissione edilizia, all’esito della seduta del 14.10.2009, da un lato si limita a richiamare il precedente parere del 2001, dall’altro enuncia valutazioni spropositate e contrastanti rispetto a tale precedente parere, parlando di alterazione e compromissione drastiche della bellezza del territorio circostante, come se il piccolo manufatto prefabbricato in questione, già debitamente concessionato, si fosse improvvisamente trasformato in un “ecomostro”, tale da compromettere la bellezza del territorio circostante. Il parere della Commissione edilizia del 2009 è per l’appellante palesemente generico e spropositato e senza alcun concreto fondamento motivazionale.
- Erroneità, contraddittorietà, travisamento, incongruità, carenza di motivazione nonché violazione ed errata interpretazione di legge da parte della sentenza impugnata in ordine alla affermata infondatezza del quinto motivo del ricorso di primo grado. – Eccesso di potere per sviamento.
Con il quinto motivo, l’appellante richiama il quinto motivo del ricorso di primo grado con il quale ha contestato i tre provvedimenti impugnati in quanto viziati per eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento.
Ritiene infatti l’odierno appellante che in realtà i tre provvedimenti impugnati facciano parte di un “disegno”, da parte del Comune, per avere la disponibilità dell’area demaniale in questione, in danno dell’odierno appellante, utilizzando l’autorizzazione paesaggistica ed il suo diniego come strumento per addivenire a tale scopo.
Tante sono le circostanze documentali, argomenta l’appellante, che militano a supporto di tale sviamento, come ad esempio la asseritamente anomala rapidità con cui il Comune è pervenuto ad emettere i tre provvedimenti impugnati ed in particolare l’ordinanza di demolizione, a soli quattro giorni di distanza dal diniego di autorizzazione paesaggistica.
Ed inoltre, rileva l’appellante che mentre il parere della Commissione edilizia del 2001 era un “ordinario” parere negativo sotto il profilo ambientale, “possibilista” verso nuove soluzioni, il parere del 2009 è assai significativo anche nella sua struttura formale, in quanto la Commissione edilizia non esprime più un mero parere negativo sotto il profilo ambientale, ma direttamente un parere favorevole all’emissione del provvedimento di rigetto dell’istanza di condono ed alla conseguente emissione di ordinanza di demolizione e rimessa in pristino dei luoghi.
L’appello è infondato.
Osserva il Collegio, preliminarmente, che l’atto di appello riproduce i motivi di ricorso proposti in primo grado; tuttavia, l’esame degli atti di causa e dei motivi proposti in appello non evidenzia persuasivi motivi di censura circa quanto argomentato dal giudice di prime cure nella sentenza impugnata, che va integralmente condivisa.
In particolare, quanto al primo motivo, ha ragione il primo giudice ad affermare il principio, valido e applicabile nella fattispecie all’esame, che il Comune, in sede di valutazione della domanda di condono, fosse “vincolato a considerare esclusivamente la consistenza del manufatto esistente alla data stabilita dal legislatore tra i presupposti della sanabilità dell’intervento abusivo”.
La ratio dell’istituto del condono edilizio, come correttamente richiamato dal primo giudice, si rivolge a condizioni di fatto già esistenti, con opere già eseguite, e pertanto qualunque modificazione nelle more intervenuta non può che determinare la conclusione del procedimento avviato nel senso della sua archiviazione o dell’emissione di un provvedimento di diniego, ferma restando la possibilità di instaurare un nuovo procedimento, ove ne ricorrano le condizioni normative, fondato sulla nuova realtà di fatto.
In tal senso, non appare fondato il riferimento alle presunte violazioni di legge evocate (ed anzi, a comprova della inaccoglibilità della tesi dell’appellante, può, per eadem ratio, richiamarsi la costante giurisprudenza amministrativa che ha affermato che - vedasi da ultimo ex plurimis Cons. St., sez. II, 28/09/2022, n. 4699; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 22/09/2022, n. 5885)-è preclusa la modifica del manufatto abusivo per il quale pende la domanda di condono edilizio, al di fuori della procedura di cui all'art. 35, l. n. 47/1985. (L. 28 febbraio 1985 n. 47, art. 35, e gli analoghi orientamenti della giurisprudenza di legittimità penale: Cassazione penale sez. III, 21/01/2021, n.7404),..
Quanto al secondo motivo, non si ravvisano elementi tali da giustificare l’evocato legittimo affidamento dell’appellante, in primo luogo perché l’istituto non potrebbe comunque trovare applicazione in costanza di espressi divieti normativi, come nel caso di specie, in secondo luogo poiché sono indimostrate le richiamate “promesse” dell’amministrazione comunale e peraltro smentite dai provvedimenti di diniego nel tempo intervenuti: in ogni caso, generiche “manifestazioni di disponibilità” dell’amministrazione, non culminate in formali provvedimenti, non possono costituire valida premessa di un consapevole affidamento sulla sanabilità di un opera perdipiù ubicata in area di pregio.
Quanto al terzo motivo, i dedotti motivi di erroneità, contraddittorietà, travisamento, incongruità, carenza di motivazione nonché violazione ed errata interpretazione, non possono essere accolti e sono da ritenersi assorbiti alla luce di quanto detto con riferimento al primo motivo di appello.
Relativamente al quarto motivo, con il quale si denuncia un difetto di istruttoria e motivazionale, non si ravvisano motivi di censura circa quanto argomentato dal primo giudice, che va condiviso nel senso dell’infondatezza delle ragioni di contestazione dedotte dall’appellante, ritenendosi pienamente esaustivo, sotto il profilo motivazionale, l’espresso richiamo contenuto nel parere della commissione edilizia al d.m. 20 gennaio 1956, da cui, per diretto ed esplicito riferimento alla pertinente normativa, si evincono le circostanze del diniego.
Quanto all’ultimo motivo, ha ragione il primo giudice a ritenere infondata la doglianza di sviamento, con motivazioni che vanno integralmente condivise, tenuto in particolare conto che risulta al Collegio totalmente indimostrato e definibile come mera illazione l’esistenza di un “disegno” del Comune di appropriarsi dell’area per cui è causa, e che non sussiste alcun elemento per ritenere che i provvedimenti adottati abbiano perseguito fini diversi dall’interesse pubblico.
L’appello, pertanto, va respinto.
Nulla per le spese, in quanto le parti appellate non risultano costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
respinge l 'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado.
Nulla per le spese del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Fabio Taormina, Presidente
Fabio Franconiero, Consigliere
Raffaello Sestini, Consigliere
Marco Morgantini, Consigliere
Marco Valentini, Consigliere, Estensore