TAR Piemonte Sez. II n. 791 del 27 giugno 2018
Urbanistica.Adempimento dell’ordine di demolizione del debitore dell’immobile sottoposto a pignoramento trascritto
Il creditore che un bene immobile abusivo è legittimato a proporre ricorso avverso il provvedimento di acquisizione dello stesso al patrimonio comunale in seguito a mancata ottemperanza all’ordine di demolizione. La sussistenza di un pignoramento immobiliare trascritto non osta a che il debitore, di norma anche custode ex lege, si attivi per adempiere ad un ordine di demolizione, non essendo tale attività annoverabile tra gli “atti di disposizione” quanto, piuttosto, una attività dovuta ascrivibile alla diligente custodia.
Pubblicato il 27/06/2018
N. 00791/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00184/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 184 del 2017, proposto da
Massimo Cucinotta in qualità di titolare della ditta individuale Edil Cucinotta di Cucinotta Massimo, rappresentato e difeso dall'avvocato Monica Bacin, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, c.so Re Umberto I, 44;
contro
Comune di Giaveno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Scaparone, Cinzia Picco, con domicilio eletto presso lo studio Paolo Scaparone in Torino, via San Francesco D'Assisi 14;
per l'annullamento
• dell'atto/comunicazione di accertamento di inottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 139 del 29/07/2015 ed acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva sita in Via Beale, su area distinta al C.T. al F. 94, particella nn. 918 e 789, pronunciata dal Responsabile dell'Area Urbanistica del Comune di Giaveno in data 12/12/2016, comunicata il 20 dicembre 2016;
nonché, se necessario,
• di ogni altro atto o provvedimento (ancorché non noto) allo stesso presupposto, conseguente e comunque connesso;
in via di subordine, per il risarcimento del danno.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Giaveno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 giugno 2018 la dott.ssa Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente ha impugnato l’atto con il quale il Comune di Giaveno ha accertato l’inottemperanza della Giada costruzioni s.r.l. all’ordine di demolizione n. 139/2015, con acquisizione al patrimonio comunale dell’opera abusiva sita in via Beale, su area distinta a catasto al foglio n. 94 particelle nn. 918 e 789.
Ha dedotto di essere titolare di ditta creditrice della Giada costruzioni s.r.l. e di aver provveduto, con riferimento all’immobile oggetto dell’atto di accertamento impugnato, ad un pignoramento immobiliare trascritto presso l’Ufficio provinciale di Torino – servizio di pubblicità immobiliare di Susa in data 12.5.2016.
La procedura esecutiva è in corso ed il debitore è stato costituito custode.
Il provvedimento qui impugnato veniva comunicato dal Comune di Giaveno anche ai creditori procedenti, incluso il ricorrente.
Con riferimento ai beni in contestazione, realizzati in totale assenza di permesso di costruire, l’amministrazione aveva dapprima emesso un ordine di sospensione lavori; la società Giada costruzioni aveva presentato una istanza di permesso di costruire in sanatoria, respinta dall’amministrazione.
Con ordinanza n. 139/2015 veniva ingiunto alla Giada Costruzioni s.r.l. di demolire le opere abusive; in data 24.9.2015 la società comunicava una intervenuta parziale demolizione e formulava una nuova istanza di accertamento di conformità.
In data 9.8.2016 il Comune di Giaveno emetteva provvedimento di diniego di accertamento di conformità, notificato alla società il 5.9.2016, richiamando l’ordine di demolizione già precedentemente formulato.
In data 6.12.2016 veniva constatata la mancata ottemperanza all’obbligo di demolizione e veniva pronunciata l’ordinanza di acquisizione qui impugnata.
Lamenta parte ricorrente la violazione dell’art. 31 del d.p.r. n. 380/2001 e l’eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà e difetto di motivazione. Il diniego di accertamento di conformità è stato emesso in data 9.8.2016, cioè in epoca successiva all’avvio della procedura esecutiva; in detto momento il debitore sarebbe stato impossibilitato ad ottemperare all’ordine, sicchè non gli sarebbe imputabile alcun inadempimento e non si sarebbe verificato l’effetto di acquisizione in favore del Comune.
Lamenta infine parte ricorrente la violazione dell’art. 7 della l. n. 241/90, per omessa comunicazione di avvio del procedimento di acquisizione nei confronti dei creditori procedenti dell’esecuzione immobiliare.
La parte ha formulato domanda di annullamento del provvedimento impugnato e, in subordine, domanda risarcitoria volta a condannare il comune a rifondere alla società la somma di € 642.808,42.
Si è costituito il comune di Giaveno, contestando in fatto e diritto gli assunti di cui al ricorso e preliminarmente eccependo l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse e legittimazione ad agire in capo al ricorrente.
Con ordinanza n. 132/2017 l’istanza cautelare è stata respinta.
All’udienza del 13.6.2018 la causa è stata discussa e decisa nel merito.
DIRITTO
Deve essere respinta l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e/o legittimazione ad agire in capo alla ditta ricorrente.
La ditta è creditrice procedente nell’ambito di una procedura esecutiva che ha comportato il pignoramento dell’immobile oggetto del provvedimento di acquisizione impugnato.
Essa vanta un interesse alla conservazione della garanzia patrimoniale che il bene rappresenta, garanzia che, rispetto alla mera garanzia patrimoniale generica offerta da tutto il patrimonio del debitore e prevista dall’art. 2740 c.c, si è attualizzata e specificata in relazione al bene in contestazione proprio con il pignoramento.
Tanto comporta sia un interesse ad agire della ricorrente che un legame sufficientemente qualificato della stessa con il bene che la legittima all’azione.
Neppure può trovare accoglimento l’istanza di integrazione del contraddittorio nei confronti della ditta Giada costruzioni s.r.l. (già proprietaria dell’immobile acquisito) che, secondo parte resistente, si renderebbe necessaria in quanto il presente giudizio comporterebbe un “accertamento circa la proprietà del bene”. L’invocato “necessario accertamento” della proprietà esula dall’oggetto del contendere (che attiene unicamente alla legittimità dell’ordine di acquisizione), in quanto il giudizio non può estendersi a questioni di opponibilità dell’acquisto ad ulteriori soggetti, che vantino pretese ad altro titolo sul medesimo bene, domanda estranea al ricorso introduttivo e financo alla giurisdizione di questo TAR.
Il ricorso ha in definitiva ad oggetto la legittimità amministrativa del provvedimento di acquisizione impugnato, alla luce delle censure dedotte; spetta al giudice ordinario dirimere controversie di possibile conflitto tra più titoli vantati sul medesimo bene.
Rispetto alla presente impugnativa la Giada costruzioni assume, al più, il ruolo di cointeressato a caducare l’acquisto del bene a titolo originario pronunciato da parte del comune in suo danno.
Nel merito il ricorso è infondato.
Il bene pignorato è pacificamente interamente abusivo e non sanabile; la proprietà si è già vista respingere due diverse istanze di sanatoria. Nell’ambito dello stesso procedimento esecutivo, il perito del Tribunale ha qualificato il bene abusivo ed insanabile, attribuendogli un valore commerciale inesistente (come si evince dall’ordinanza del G.E. dell’11.7.2017, in atti sub doc. b) di parte ricorrente, allegata all’istanza di prelievo).
La disciplina eccezionale che rende suscettibile di vendita in sede di esecuzione forzata i beni abusivi (ex lege ordinariamente incommerciabili) ha la finalità di evitare che eventuali procedure esecutive restino paralizzate dalla (non rara) inerzia dell’amministrazione che, ad esempio, ometta o ritardi nel pronunciarsi su una istanza di sanatoria ovvero che, pur a fronte dell’inottemperanza ad ordini di demolizione, non ne tragga le doverose conseguenze di legge; in mancanza della disciplina speciale la mera inerzia dell’amministrazione potrebbe, in tesi, paralizzare sine die una eventuale procedura esecutiva.
Ciò non di meno la disciplina del procedimento esecutivo non muta la natura sostanzialmente abusiva dell’immobile, né modifica i presupposti di una sua eventuale sanatoria; le previsioni di cui agli artt. 40 co. 6 della l. n. 47/85 e 31 co. 5 del d.p.r. n. 380/01 consentono a colui che abbia acquistato dalla procedura esecutiva un immobile abusivo di essere rimesso in termini per proporre una istanza di sanatoria, senza, come detto, modificare la disciplina sostanziale dell’abuso. Ne consegue che, se la struttura non è sanabile, tale resta anche per l’acquirente in sede esecutiva, finendo per rappresentare, rispetto al prezzo di vendita, un onere e non un valore.
D’altro canto, come l’inerzia dell’amministrazione non può di per sé paralizzare un’azione esecutiva, in un contemperato bilanciamento di interessi, la pendenza di una azione esecutiva su iniziativa privata non può a sua volta essere di ostacolo alla doverosa e vincolata azione di repressione dell’abusivismo edilizio, che risponde ad un superiore interesse pubblico e si intesta alla pubblica amministrazione; diversamente opinando il titolare di un bene abusivo ben potrebbe strumentalmente porsi nella condizione di pignorato, con ciò solo sottraendosi al procedimento di repressione dell’abusivismo edilizio.
Né risulta dirimente che, nel caso di specie, il pignoramento sia stato trascritto antecedentemente alla definizione dell’istanza di sanatoria (che conteneva rinnovo dell’ordine di demolizione, cfr. doc. 14 di parte resistente) e prima dell’adozione del provvedimento di acquisizione qui impugnato.
Quanto alla definizione dell’istanza di sanatoria è evidente come l’amministrazione sia tenuta a concludere il procedimento in corso, il quale ha finalità del tutto autonome rispetto all’esecuzione forzata; d’altro canto, non potendosi a priori escludere un accoglimento dell’istanza di sanatoria che finirebbe per giovare alla procedura esecutiva apprezzando il valore del bene pignorato, non è certo sostenibile che la procedura abbia interesse ad ostacolare una chiara (ed in ipotesi potenzialmente favorevole) definizione dell’inquadramento giuridico del bene da parte dell’amministrazione. Tanto meno potrebbe immaginarsi che sia possibile per l’amministrazione, pendente il pignoramento, concludere il procedimento solo qualora lo stesso sia favorevole al debitore.
L’amministrazione non è qualificabile “creditore” del debitore pignorato ma, come detto, persegue vincolanti finalità del tutto avulse dall’esecuzione le quali, fatta salva la già evidenziata eccezionale commerciabilità del bene, restano opponibili anche all’eventuale acquirente dalla procedura esecutiva.
Ove poi, come nel caso di specie, l’esito dalla domanda di sanatoria sia negativo e comporti, ex lege e senza alcuna discrezionalità, l’applicazione delle sanzioni previste, tra cui l’ordine di demolizione (per la natura vincolata e necessaria dell’intero procedimento di repressione degli abusi edilizi si veda, per tutte, Cons. St. ad. plen. n. 9/2017), non si condivide l’assunto secondo cui il debitore pignorato sarebbe per ciò solo “impossibilitato” ad eseguire l’ordine di demolizione.
A differenza di quanto avviene in caso di fallimento (in cui il fallito è interamente spossessato del suo patrimonio, perdendone in ogni caso la gestione) o in caso di sequestri disposti dal giudice penale che perseguono esigenze pubblicistiche (talvolta esplicitamente conservative e talvolta non dissimili dal procedimento sanzionatorio amministrativo), il pignoramento è disposto nell’interesse privato del/dei creditori procedenti/intervenienti ed ha l’unico effetto di far prevalere costoro rispetto ad eventuali ulteriori creditori o aventi causa (tra i quali non si colloca in nessun caso l’amministrazione) inducendo, in favore dei creditori procedenti, l’inefficacia relativa di successivi atti di disposizione.
Gli atti di disposizione restano certamente inibiti al debitore.
Pare tuttavia al collegio che la doverosa esecuzione di un ordine di demolizione (che non ha alcunchè di volontario, trattandosi di adempimento ad un ordine esecutivo dell’autorità) non sia annoverabile tra gli atti di disposizione (che, per definizione, implicano una più o meno remota origine volontaria della disposizione).
D’altro canto, che l’inottemperanza all’ordine di demolizione non subisca i limiti di “opponibilità” indotti dal pignoramento è coerente con il meccanismo di acquisto che a tale inottemperanza consegue (acquisto a titolo originario, art. 31 d.p.r. n. 380/01), per definizione estraneo ai criteri di opponibilità dettati dalla trascrizione, che caratterizzano invece tanto il pignoramento che gli acquisti a titolo derivativo ai quali il primo deve restare insensibile.
Ancora, a differenza di quanto accade nel fallimento, il debitore pignorato, nel pignoramento immobiliare, è costituito ex lege di norma custode (art. 559 c.p.c, che fa salva esplicita diversa disposizione del giudice dell’esecuzione, non verificatasi nel caso di specie quantomeno sino al momento di adozione dell’atto qui impugnato) e per tale ragione assume anche la qualità di ausiliario del giudice, mantenendo il possesso del bene a diverso titolo, con dovere e responsabilità di amministrazione secondo criteri propri del buon padre di famiglia (art. 65 c.p.c.); nel corso del pignoramento immobiliare possono fisiologicamente verificarsi, in capo al custode, esigenze di gestione (quale l’acquisizione dei frutti civili, cui si estende il pignoramento) e persino di conservazione del bene immobile.
Escluso dunque che l’ottemperanza ad un ordine di demolizione sia annoverabile tra gli atti di disposizione, essa risulta piuttosto ascrivibile agli atti di diligente conservazione del bene.
Il debitore custode ha l’onere, da un lato, previe eventuali necessarie autorizzazioni, di coltivare ipotesi plausibili di sanatoria (condotta che, come già evidenziato, avrebbe in astratto potuto recare beneficio alla procedura ma che resta esclusa nel caso di specie, alla luce delle plurime valutazioni effettuate dall’amministrazione e della coerente valutazione del perito nominato nell’ambito della procedura esecutiva) e, in subordine, di ottemperare all’eventuale ordine di demolizione che “libera” la procedura di un bene definitivamente privo di valore economico, ancorchè suscettibile di esecuzione forzata, ed evita l’evidente pregiudizio derivante dalle conseguenze di legge di acquisizione del bene e del terreno al patrimonio comunale.
L’irrilevanza nel procedimento pubblicistico sanzionatorio dell’abuso edilizio dei vincoli derivanti da, anche pregresse, iscrizioni ipotecarie o pignoramenti è stata sancita dal giudice di legittimità nell’ordinanza Cass. sez. III n. 23453/17 in cui si legge: “va ribadito quanto già osservato da questa Corte: l'ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio indisponibile del Comune della costruzione eseguita in totale difformità o assenza della concessione, che si connota per la duplice funzione di sanzionare comportamenti illeciti e di prevenire perduranti effetti dannosi di essi, dà luogo ad acquisto a titolo originario, con la conseguenza che l'ipoteca e gli altri eventuali pesi e vincoli preesistenti vengono caducati unitamente al precedente diritto dominicale, senza che rilevi l'eventuale anteriorità della relativa trascrizione e/o iscrizione. La fattispecie è assimilabile al perimento del bene, ipotesi nella quale si estingue l'ipoteca, giacché l'immobile abusivo è destinato al "perimento giuridico", normalmente conseguente alla demolizione, salva l’eccezionale acquisizione al patrimonio comunale, che lo trasforma irreversibilmente in res extra commercium sotto il profilo dei diritti del debitore e dei terzi che vantino diritti reali limitati sul bene (Cass. sez. 3, sentenza n. 1693 del 26/01/2006)”.
Non può quindi accedersi alla tesi di parte ricorrente, secondo cui il provvedimento doverosamente adottato dall’amministrazione troverebbe ostacolo nella presunta impossibilità del debitore di ottemperarvi.
Neppure è fondato l’assunto secondo cui il diniego di accertamento di conformità non sarebbe sufficiente a far decorrere i termini per la demolizione e, conseguentemente, a cristallizzare l’inadempimento che fonda l’ordine di acquisizione.
La maggioritaria e più recente giurisprudenza del giudice d’appello, per evitare reiterate e strumentali istanze di sanatoria volte unicamente a paralizzare l’azione pubblica, è orientata a ritenere che il rigetto delle rinnovate istanze di sanatoria comporta l’immediata e nuova efficacia dei precedenti ordini di demolizione, nelle more paralizzati dalla presentazione delle nuove istanze di sanatoria (in tal senso Cons. St. sez. VI, n. 2979/2018; Cons. St. sez. VI, n. 1171/2018; Cons. St. sez. VI, n. 1565/2017); in ogni caso l’effetto di “inefficacia” dell’ordine di demolizione invocato in ricorso è stato, con dovizia di argomenti, limitato alle sole istanze di condono, escludendo i casi di accertamento di conformità, quale è quello per cui è causa (Cons. St., sez. VI, n. 466/2015). Tanto premesso si osserva ulteriormente che, nel caso di specie, il provvedimento di rigetto della domanda di accertamento di conformità richiama l’intero e complesso iter procedimentale precedente ed in specifico l’ordinanza di demolizione n. 139/2015, con ciò esplicitamente rinnovando la volontà dell’amministrazione in tal senso.
Il primo motivo di ricorso deve quindi essere integralmente respinto.
Con il secondo motivo di ricorso si contesta che la ricorrente avrebbe dovuto essere destinataria di una comunicazione di avvio del procedimento di acquisizione; premesso che l’atto di acquisizione non integra un autonomo procedimento ma la fase finale del complesso procedimento che ha avuto inizio con l’accertamento dell’abuso, come eccepito da parte resistente la repressione dell’abusivismo edilizio è attività vincolata per legge e priva di discrezionalità, rispetto alla quale, l’azione dell’amministrazione (che ha consentito ampi margini di partecipazione procedimentale al proprietario) non avrebbe potuto adottare una soluzione differente.
Anche il secondo motivo di ricorso deve quindi essere respinto.
Risulta altresì infondata la domanda risarcitoria, non sussistendo nel caso di specie alcuna condotta illegittima dell’amministrazione ma, al più, una non diligente custodia del bene da parte del debitore pignorato, fermo restando che resta incomprensibile anche la quantificazione proposta nella domanda risarcitoria a fronte della perdita di un bene stimato privo di valore commerciale.
Il ricorso deve essere integralmente respinto.
La novità della questione giustifica la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
respinge il ricorso;
compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2018 con l'intervento dei magistrati:
Carlo Testori, Presidente
Silvia Cattaneo, Consigliere
Paola Malanetto, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Paola Malanetto Carlo Testori