TAR Lombardia (MI) Sez. IV n. 2821 del 22 ottobre 2024
Urbanistica.Le norme che prevedono l’esenzione dal contributo di costruzione vanno interpretate restrittivamente

L’art. 16, comma 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 prevede che «Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo». Nello specifico, il menzionato art. 17 (comma 3, lett. c) sancisce che il contributo di costruzione non è dovuto «per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici». Dal combinato disposto delle enunciate disposizioni emerge quindi che il permesso di costruire ha tendenzialmente natura onerosa e, pertanto, tutte le norme che prevedono esenzioni sono eccezionali e devono essere interpretate restrittivamente.

Pubblicato il 22/10/2024

N. 02821/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00845/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 845 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Istituti Clinici Zucchi s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Bertacco e Federico Barbara, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avvocato Paolo Bertacco, con studio in Milano, via San Damiano, 9;

contro

Comune di Monza, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Annalisa Bragante, Giancosimo Maludrottu e Paola Giovanna Brambilla, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

per l'accertamento

- del diritto della società ricorrente all’esenzione totale dal contributo di costruzione richiesto per il rilascio del permesso di costruire n. 7/2020 e della conseguente declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dal comune di Monza sull’istanza di restituzione del contributo di costruzione del 28 febbraio 2020;

- della nota prot. 22884 del 30 gennaio 2020 avente a oggetto «Avviso di avvenuta emissione del Permesso di Costruire ai sensi dell'art. 38 comma 7 della Legge Regionale n. 12/2005. Bolla n. 2BC/20», con cui il comune di Monza ha richiesto alla società ricorrente il pagamento di un importo complessivo di 501.142,37 euro a titolo di “contributo di costruzione” per il rilascio del permesso di costruire richiesto;

- di ogni altro atto o provvedimento comunque connesso o presupposto, ancorché non conosciuto;

nonché per la condanna

- dell'Amministrazione resistente alla restituzione dell'importo pagato, maggiorato degli interessi di legge, nonché allo svincolo dell’ulteriore quota di contributo di costruzione versato.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti, presentati dalla ricorrente il 16 ottobre 2020:

per l’annullamento:

- della nota, prot. 106647 del 10 luglio 2020, con cui il comune di Monza ha respinto la richiesta di restituzione dell'importo versato a titolo di contributo di costruzione in relazione al permesso di costruire n. 7/2020;

- della, nota prot. n. 85673/2020 del 29 maggio 2020, con cui il comune di Monza ha comunicato l'avvio del procedimento di rigetto dell’istanza di restituzione dell’importo versato a seguito dell'emissione del permesso di costruire n. 7/2020;

- di ogni altro atto o provvedimento comunque connesso o presupposto, ancorché non conosciuto;

nonché per la condanna

dell'Amministrazione resistente alla restituzione dell'importo pagato, maggiorato degli interessi di legge nonché allo svincolo dell’ulteriore quota di contributo di costruzione versato;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune di Monza;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del 3 ottobre 2024 il dott. Luca Pavia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. Il 6 luglio 2018 la società ricorrente, che gestisce tra l’altro una struttura sanitaria accreditata con il SSN nel comune di Monza, ha chiesto il rilascio di un permesso di costruire in deroga per realizzare una serie di lavori funzionali a mantenere il proprio accreditamento.

2. Il 30 gennaio 2020 il Comune ha comunicato alla ricorrente di aver provveduto a emanare il provvedimento richiesto e le ha contestualmente chiesto il versamento della somma complessiva di euro 501.142,37 a titolo di contributo di costruzione (216.176,88 euro a titolo di “oneri di urbanizzazione”; 159.965,49 euro per il “contributo commisurato al costo di costruzione” e 125.000,00 euro a titolo di “quota ex art. 16, c. 4, lett. d-ter”).

3. Il 27 febbraio 2020 la ricorrente, al solo fine di evitare l’irrogazione di eventuali sanzioni, ha versato il 50% della somma richiesta, ribadendo, al contempo, di avere diritto all’esenzione totale dal contributo.

4. Con ricorso, notificato il 17 aprile 2020 e depositato il successivo 14 maggio, la ricorrente ha impugnato il permesso di costruire ottenuto nella parte in cui le è stato richiesto il versamento del contributo di costruzione in quanto, a suo dire, essa sarebbe esentata dalla contribuzione.

5. Il 29 maggio 2020 l’amministrazione ha chiesto la restituzione di quanto versato, ma il procedimento si è concluso, 10 luglio 2020, con il rigetto dell’istanza.

6. Nelle more del giudizio la ricorrente ha provveduto a versare l’intero importo richiesto.

7. Il 7 dicembre 2020 si è costituita l’amministrazione resistente con una comparsa di mero stile e, in prossimità dell’udienza di merito, le parti hanno depositato documenti, memorie conclusionali e di replica nei termini di rito.

8. All’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del 3 ottobre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

9. In via preliminare, il Collegio è tenuto a vagliare la fondatezza delle eccezioni di rito sollevate dall’amministrazione resistente.

9.1. In primo luogo, il Comune sostiene l’inammissibilità del secondo motivo del ricorso introduttivo e del ricorso per motivi aggiunti a causa della loro genericità.

L’eccezione è infondata.

Per giurisprudenza costante, infatti, «in tema di inammissibilità del ricorso introduttivo per genericità delle censure, al di là ed a prescindere dalla adozione di specifiche formule sacramentali, ciò che rileva ai fini della specificità ed ammissibilità dei mezzi di gravame è il loro carattere perspicuo, inteso come idoneità a rendere comprensibile e percepibile la critica che si muove alla azione dei pubblici poteri, sia in punto di conformità alle fonti normative che ne governano il concreto dispiegarsi nella fattispecie, sia in punto di ragionevolezza, logicità e coerenza dell'iter procedimentale seguito, ovvero della insussistenza dell'eccesso di potere nelle sue disparate forme sintomatiche» (ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 18 settembre 2023, n. 2095).

Ebbene, come meglio si vedrà nel prosieguo della presente decisione, l’iter argomentativo della ricorrente è del tutto comprensibile, tant’è che deve essere scrutinato nel merito.

9.2. L’amministrazione procedente sostiene, poi, l’inammissibilità del quarto motivo del ricorso introduttivo (e del terzo motivo dei motivi aggiunti) in quanto essa non avrebbe violato i termini di conclusione del procedimento e, comunque, anche se ciò fosse avvenuto, lo sforamento dei termini non rileverebbe nel caso di specie.

Per la tesi in esame, inoltre, i motivi de quibus sarebbero comunque improcedibili in quanto il procedimento si sarebbe concluso con l’emanazione di un provvedimento espresso di rigetto.

L’eccezione è fondata.

A prescindere, infatti, dalla violazione dei termini di conclusione del procedimento e dalla rilevanza della questione nel caso di specie, l’amministrazione procedete si è determinata nel merito emanando un espresso provvedimento di rigetto dell’istanza.

Come noto, infatti, «la condanna dell'amministrazione a provvedere ai sensi dell'art. 117 c.p.a. presuppone che al momento della pronuncia del giudice perduri l'inerzia e che dunque non sia venuto meno l'interesse del privato istante ad ottenere una pronuncia dichiarativa dell'illegittimità del silenzio-inadempimento; trattandosi di una condizione dell'azione, questa deve persistere fino al momento della decisione; pertanto, l'emanazione di un provvedimento (o l'adozione di un comportamento) esplicito in risposta all'istanza dell'interessato o in ossequio all'obbligo di legge, rende il ricorso inammissibile per carenza originaria dell'interesse ad agire o improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, a seconda se il provvedimento (o il comportamento conforme all'interesse del privato) intervenga prima della proposizione del ricorso o nelle more del giudizio conseguentemente instaurato» (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 8 aprile 2024, n. 3206).

Si rammenta, inoltre, che, anche qualora fossero stati effettivamente violati i termini di conclusione del procedimento, l’emanazione di un provvedimento espresso, ancorché tardivo, non configura un vizio di legittimità in quanto, per giurisprudenza altrettanto pacifica, «in assenza di una specifica disposizione che espressamente preveda il termine come perentorio, comminando la perdita della possibilità di azione da parte dell'Amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione della decadenza, il termine stesso deve intendersi come meramente sollecitatorio o ordinatorio; il suo superamento non determina, perciò, l'illegittimità dell'atto, ma una semplice irregolarità non viziante, poiché non esaurisce il potere dell'Amministrazione di provvedere» (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 19 aprile 2024, n. 3569).

Per tali ragioni, il quarto motivo del ricorso introduttivo e il terzo dei motivi aggiunti devono essere dichiarati improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse.

10. Tanto premesso, con i primi tre motivi del ricorso introduttivo nonché con il primo motivo dei motivi aggiunti, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro stretta interconnessione, la ricorrente censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 17 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 nonché l’eccesso di potere dell’amministrazione procedente in quanto essa avrebbe diritto dall’esonero totale dal contributo di costruzione, anche perché avrebbe realizzato un’opera di urbanizzazione secondaria in attuazione di strumenti urbanistici.

A suo dire, inoltre, essa dovrebbe essere comunque considerata un concessionario della P.A., in quanto erogherebbe servizi socio sanitari ed assistenziali in regime di accreditamento con il Servizio Sanitario Nazionale.

Né tali considerazioni potrebbero essere inficiate dal fatto che il permesso di costruire richiesto sarebbe stato concesso in deroga, posto che l’aumento di SLP sarebbe necessario per rispettare i requisiti strutturali e tecnologici necessari mantenere l’accreditamento della struttura.

A dire della ricorrente, inoltre, l’amministrazione avrebbe agito contraddittoriamente in quanto, da un lato, avrebbe ritenuto sussistenti i presupposti per il rilascio del titolo edilizio richiesto (riconoscendo, quindi, la necessità di accordare anche una superficie aggiuntiva pur di garantire la piena attuazione dello strumento urbanistico) mentre, dall’altro, avrebbe richiesto il pagamento di un contributo di costruzione, omettendo di considerare la natura dell’intervento e la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 17, comma 3 del D.P.R. n. 380/2001.

A ciò si aggiungerebbe che il comune di Monza non avrebbe neppure ottemperato al proprio obbligo di motivazione, enunciando le ragioni di fatto e di diritto poste alla base della richiesta.

Le censure sono infondate.

Come noto, l’art. 16, comma 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 prevede che «Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo».

Nello specifico, il menzionato art. 17 (comma 3, lett. c) sancisce che il contributo di costruzione non è dovuto «per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici».

Dal combinato disposto delle enunciate disposizioni emerge quindi che il permesso di costruire ha tendenzialmente natura onerosa e, pertanto, tutte le norme che prevedono esenzioni sono eccezionali e devono essere interpretate restrittivamente.

Sul punto, è stato, infatti, precisato che la ratio «dell'esenzione in argomento è finalizzata, da un lato, ad agevolare l'esecuzione di opere dalle quali la collettività possa trarne utilità, dall'altro, ad evitare che il soggetto che interviene per l'istituzionale attuazione del pubblico interesse corrisponda un contributo che verrebbe a gravare, sia pure indirettamente, sulla stessa comunità che dovrebbe avvantaggiarsi dell'opera, atteso che il beneficio dello sgravio si traduce in un abbattimento dei costi a cui corrisponde un minore aggravio di oneri per gli utenti» (ex multis Consiglio di Stato, sez. II, 12 marzo 2020, n. 1776). Ne consegue che l’esenzione «è subordinata alla dimostrazione della sussistenza di due requisiti, l'uno di carattere oggettivo, rappresentato dalle opere pubbliche o di interesse pubblico da cui la collettività possa trarre un utile, ovvero la cui fruizione, in via diretta o indiretta, soddisfi interessi generali, e l'altro di carattere soggettivo, costituito dalla presenza di un ente “istituzionalmente competente”, in qualità di soggetto realizzatore delle opere medesime» (ex multis Consiglio di Stato, sez. II, 12 marzo 2020, n. 1776).

Si tratta di un’impostazione che è stata recentemente ribadita anche da questo Tribunale il quale ha evidenziato che l’art. 17, comma 3, lett. c, del d.P.R. 380/01 «esenta dal contributo di costruzione gli interventi che presentino la duplice caratteristica della pubblica rilevanza dell'opera (presupposto oggettivo) e della natura pubblica del soggetto che la esegue (requisito soggettivo). In tal senso, ex plurimis: La consolidata giurisprudenza ha posto l'accento sulla necessità di verificare, per ammettere l'esenzione dal pagamento del contributo, la sussistenza sia del requisito oggettivo che soggettivo: il primo ricorre allorquando si realizzano opere pubbliche o di interesse generale, mentre il secondo si configura laddove sia un ente pubblico a costruire l'opera. Nondimeno si è ritenuto possibile riconoscere l'esenzione anche alle opere di interesse generale realizzate da privati; tuttavia, detta esenzione spetta soltanto se lo strumento contrattuale utilizzato consenta formalmente di imputare la realizzazione del bene direttamente all'ente per conto del quale il privato abbia operato, ovvero solo se il privato abbia agito quale organo indiretto dell'Amministrazione, come appunto nella concessione o nella delega» (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 3 maggio 2024, n. 1345 e giurisprudenza ivi richiamata, in terminis anche Consiglio di Stato, sez. IV, 17 maggio 2023, n. 4907).

È, quindi, necessario che l'opera pubblica o di interesse pubblico sia realizzata da un soggetto privato per conto di un ente pubblico di cui ne rappresenti, in buona sostanza, la longa manus, come nell'ipotesi di concessione di opera pubblica (Consiglio di Stato, sez. II, 12 marzo 2020, n. 1776), e, dunque, sulla base di un rapporto strutturale e non potenzialmente transeunte (Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2006, n. 51).

Nello specifico, con riferimento alle strutture sanitarie, è stato precisato che l’atto di accreditamento rappresenta un provvedimento abilitativo-concessorio (Consiglio di Stato, sez. III, 27 febbraio 2018, n. 1206), che si colloca a metà strada tra la concessione di servizio pubblico e l'abilitazione tecnica idoneativa (ex multis Cons. Stato, III, 18 ottobre 2021, n. 6954, 30 aprile 2020, n. 2773 e 3 febbraio 2020, n. 824) ed è, pertanto, inidoneo a integrare il predetto requisito soggettivo in quanto il soggetto rimane un privato (che opera a fine di lucro) e non una longa manus della pubblica amministrazione.

A ciò si deve aggiungere che «la transitorietà dell'accreditamento, la verificabilità della permanenza dei requisiti per l'accreditamento in corso d'opera, la rispondenza dell'accreditamento alla programmazione regionale costituiscono tutti elementi che testimoniano la transitorietà, almeno potenziale, dell'accreditamento a fronte, invece, della tendenziale definitività del vantaggio conseguente all'esonero del pagamento degli oneri di costruzione» (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 24 aprile 2023, n. 4159). Del resto, appare evidente che una casa di cura privata non può mai «essere equiparata ad un ente pubblico atteso che, diversamente da quest'ultimo, potrebbe in ogni momento dismettere l'attività o indirizzarla a diversi fini» (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 7 maggio 2021, n. 402).

Del pari, non è neppure possibile escludere «che nella struttura accreditata si effettuino, legittimamente peraltro, anche prestazioni professionali non soggette al convenzionamento; in una tale evenienza l'esenzione del pagamento degli oneri di costruzione rappresenterebbe un vantaggio ulteriore per il soggetto privato […] che non rientra nell'equilibrio sinallagmatico di cui all'accordo contrattuale e che quindi non trova giustificazione» (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 24 aprile 2023, n. 4159).

Né si può sostenere che l'intervento in questione sia stato posto in essere in attuazione di una puntuale previsione urbanistica.

La fattispecie è, infatti, integrata solo se le opere vengono «realizzate "in attuazione di strumenti urbanistici", ossia che vi sia una previsione specifica e puntuale di un'opera di urbanizzazione la cui realizzazione sia consentita anche a privati. In altri termini, deve rilevarsi la essenziale distinzione tra la conformità dell'opera alla destinazione di zona, e attuazione di destinazione, e quindi di previsione, specifica di piano» (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 17 ottobre 2018, n. 5942; anche IV, 31 maggio 2023, n. 5375). La semplice riconduzione all'astratta tipologia di opera di urbanizzazione secondaria non può, quindi «considerarsi sufficiente ai fini dell'esenzione dal contributo, essendo necessario altresì che l'intervento sia attuativo di una specifica previsione di piano» (ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 3 novembre 2016, n. 2011).

Ebbene, nel caso di specie non solo lo strumento urbanistico non prevedeva alcun obbligo di realizzare, o ampliare, la struttura de qua ma l’art. 9 del Piano dei servizi del PGT vigente ratione temporis prevedeva espressamente che «Le aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale/servizi di carattere generale (aree S) corrispondono alle aree di pertinenza di servizi esistenti (edifici o complessi edilizi) ed alle aree destinate alla localizzazione di nuovi servizi che possono comportare il consumo di suolo, quali servizi di istruzione, culturali, ricreativi, assistenziali, sanitari, sportivi, amministrativi e giudiziari e relative pertinenze» e che, tra i vari parametri edificatori da rispettare, vi era anche quello di utilizzazione fondiaria (0.80 mq/mq), che è stato espressamente derogato nel caso in esame.

L’articolo menzionato prevedeva inoltre, che «Le strutture sanitarie e/o assistenziali di proprietà privata, realizzate o gestite da imprese individuali, società di persone ovvero da persone giuridiche soggette all’imposta per le società, con esclusione dei soggetti che agiscono come concessionari della pubblica amministrazione, sono assimilate alle destinazioni terziarie e direzionali, per quanto riguarda gli obblighi di cui all’art. 5 e quelli di compensazione ambientale previsti dal PdR per interventi di nuova edificazione».

Ne consegue che, anche qualora l’opera fosse riconducibile nel novero delle opere di urbanizzazione secondaria, ciò non sarebbe comunque sufficiente per determinare l’esenzione dal pagamento del contributo in quanto l'intervento non è affatto attuativo di una specifica previsione di piano.

Né assume rilevanza il fatto che l’ampliamento sia necessario per mantenere l’accreditamento in quanto, anche qualora tale circostanza fosse stata dimostrata dalla ricorrente, essa sarebbe comunque irrilevante ai fini dell’esonero richiesto.

Per quanto concernente, infine, l’onere motivazionale posto in capo all’amministrazione, basti rilevare che, per giurisprudenza pacifica, anche di questo TAR, «i provvedimenti che statuiscono sul calcolo degli oneri di costruzione non richiedono una puntuale motivazione dovendosi far riferimento ai parametri legali degli stessi costi contenuti nelle relative tabelle comunali. Inoltre la procedura amministrativa volta alla liquidazione ed al pagamento del contributo di costruzione attiene ad attività non autoritativa, che si fonda sull'applicazione automatica di regole di calcolo previste da fonte normativa, senza alcun contenuto di discrezionalità per l'Amministrazione» (ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 4 aprile 2023, n. 844).

In conclusione, alla luce di quanto esposto, le cesure esaminate sono infondate e devono essere respinte.

11. Con il quarto motivo dei motivi aggiunti la ricorrente sostiene la correttezza della notifica del ricorso introduttivo, che sarebbe stata messa in dubbio dal provvedimento impugnato.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse, posto che tale asserzione non è stata formalmente eccepita dall’amministrazione procedente; senza contare che, dall’esame degli atti di causa, emerge che l’impugnazione è stata notificata entro il prescritto termine decadenziale.

12. Alla luce di quanto esposto, il ricorso è in parte improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse e infondato nella restante parte.

13. In virtù delle peculiarità della controversia, il Collegio ritiene che sussistano giustificati motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse e infondato nella restante parte.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2024, svoltasi da remoto ex art. 87 comma 4-bis cod. proc. amm., con l'intervento dei magistrati:

Gabriele Nunziata, Presidente

Antonio De Vita, Consigliere

Luca Pavia, Referendario, Estensore