 TAR Sicilia (CT) Sez. I n. 4099 del 12 ottobre 2010
TAR Sicilia (CT) Sez. I n. 4099 del 12 ottobre 2010
Urbanistica. Ricostruzone con varianti e distanze legali
La ricostruzione che contempla varianti rispetto all’edificio preesistente deve sempre essere rispettosa delle distanze legali dagli edifici limitrofi prescritte dal D.M. 1444/1968 e dalle NN.TT.AA., venendo in rilievo prescrizioni rivolte a tutela di imprescindibili interessi pubblici quali quelli della salubrità, dell’igiene, della viabilità, che non possono naturalmente essere compressi in via convenzionale o in forza di una (illegittima, ancorché diffusa) prassi amministrativa.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 04099/2010 REG.SEN.
 N. 02649/2009 REG.RIC.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
 
 sezione staccata di Catania (Sezione Prima)
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 Sul ricorso numero di registro generale 2649 del 2009, proposto da:
 Maria Lucia Cusmà Dovico Lupo, Isidoro Mollica, Maria Meroni, rappresentati e  difesi dall'avv. Rosaria Segreto, con domicilio eletto presso Tar Catania  Segreteria in Catania, via Milano 42a;
 contro
 Comune di Piraino, rappresentato e difeso dall'avv. Gaetano Artale, con  domicilio eletto presso avv. Carmelo Guerrera, in Catania, p.zza Jolanda, 1;
 
 nei confronti di
 
 Maria Cusmà, nella qualità, rappresentata e difesa dall'avv. Salvatore Librizzi,  con domicilio eletto presso la Segreteria del Tar;
 
 per l'annullamento
 
 previa sospensione dell'efficacia,
 
 Del provvedimento prot. 12/AUM/2009 del 30.07.2009 con il quale il Comune di  Piraino ha disposto l’annullamento in autotutela – limitatamente ai lavori  riguardanti il piano secondo ed il piano sottotetto - della concessione edilizia  n. 24/2002 precedentemente rilasciata ai ricorrenti;
 
 e per il risarcimento
 dei danni patrimoniali subiti;
 
 
 Visto il ricorso con i relativi allegati;
 Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Piraino;
 Visto l'atto di costituzione in giudizio di Maria Cusmà;
 Viste le memorie difensive;
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 giugno 2010 il dott. Francesco  Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 FATTO
 
In data 24.05.2002 il Comune di  Piraino rilasciò la C.E. n. 24/2002 a favore di Cusmà Dovico Lupo Giuseppe, per  la demolizione e ricostruzione di un suo preesistente fabbricato sito nella  particella n. 119, fg. 2, del catasto.
 
 I relativi lavori furono avviati solo nell’anno 2008 su iniziativa dei signori  Cusmà Dovico Lupo Maria Lucia, Mollica Isidoro e Meroni Maria, medio tempore  divenuti eredi del precedente proprietario dell’immobile e titolare della  concessione.
 
 Tuttavia, poco dopo, il sig. La Monica Natale – in qualità di proprietario  dell’immobile confinante con quello oggetto di ricostruzione – intimò al Comune  di sospendere i lavori adducendo quale ragione l’avvenuta decadenza della C.E.  rilasciata nel 2002, e richiese di verificare la conformità dei lavori in corso  rispetto al progetto approvato.
 
 Sotto questo secondo profilo, il Comune – rilevato che nelle more era in parte  mutato lo stato dei luoghi per effetto della demolizione di altro fabbricato  limitrofo – prescrisse al concessionario di prolungare il marciapiede per tutto  lo sviluppo dell’erigendo edificio. Sotto il primo profilo (concernente la  presunta decadenza della concessione), invece, non fu adottata alcuna  statuizione; sicchè il richiedente propose ricorso al Tar ai sensi dell’art. 21  bis L. 1034/1971.
 
 A seguito della sentenza n. 678/2009 (favorevole al ricorrente) emessa da questo  Tar, il Comune ha riesaminato il progetto ed ha conseguentemente annullato in  autotutela la C.E. 24/2002 sul presupposto che questa fosse stata - a suo tempo  – rilasciata in base ad una rappresentazione infedele della situazione dei  luoghi: in particolare, sarebbe mancata la rappresentazione delle due aperture  (porta, e finestra con grata) presenti sull’edificio confinante di proprietà del  sig. La Monica, con conseguente compromissione del diritto di quest’ultimo a  vedere rispettata la distanza dal fabbricato. Va precisato, però, che  l’annullamento in autotutela ha riguardato solo il secondo piano ed il piano  sottotetto che i ricorrenti si accingevano ad edificare in sopraelevazione al  piano originario, avendo gli stessi ricorrenti lasciato intatto il muro  preesistente che contornava il piano terreno.
 
 Avverso il provvedimento di parziale annullamento sono insorti col ricorso in  epigrafe gli odierni ricorrenti, che denunciano i seguenti vizi:
 
 1.- violazione e falsa applicazione dell’art. 17 delle NTA del PRG del Comune di  Piratino – eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti,  contraddittorietà con precedenti provvedimenti e determinazioni, illogicità  manifesta;
 
 Sostengono in sintesi i ricorrenti che l’intervento in corso di realizzazione  costituisce mera demolizione e ricostruzione, eseguita nei limiti di cubatura  consentiti dalle NTA vigenti, e rispettosa delle servitù preesistenti.  Aggiungono, inoltre, che la presenza delle segnalate aperture nell’edificio del  controinteressato era già nota al Comune sin dal momento del rilascio della  concessione edilizia ora – per tale ragione – annullata, precisando che tale  circostanza di fatto aveva costituito oggetto di approfondimento istruttorio  nella fase di rilascio della originaria concessione, sebbene il Comune abbia poi  disconosciuto l’esistenza del relativo carteggio, dichiarando di non averlo  rinvenuto agli atti;
 
 2. - violazione e falsa applicazione dell’art. 15 della L. 47/1985 – eccesso di  potere – inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto – difetto di  motivazione – travisamento;
 
 Col motivo in esame i ricorrenti contestano una seconda e diversa motivazione  posta dal Comune a corredo del proprio atto di ritiro: la asserita violazione  della destinazione d’uso del piano terra; posto che l’originaria destinazione a  parcheggio prevista nella C.E. n. 24/2002 è stata poi modificata in destinazione  a garage/deposito con richiesta di variante presentata nel giugno 2008;
 
 3.- violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. 241/90 – difetto di  motivazione;
 
 Si denuncia qui la mancata esternazione dell’interesse pubblico perseguito  mediante l’adozione dell’atto di ritiro, e la mancata comparazione fra questo e  gli altri interessi privati coinvolti nella vicenda, anche tenuto conto dello  stato evolutivo dei lavori e del tempo intercorso dal loro avvio.
 
 Si è costituita in giudizio, per resistere, la controinteressata Cusmà Maria,  nella qualità di erede di La Monica Natale.
 
 Si è anche costituito per opporsi all’accoglimento del ricorso l’intimato Comune  di Piraino.
 
 Alla pubblica udienza del 10 giugno 2010 la causa è stata assunta per la  decisione.
 DIRITTO
 In primo luogo, si impone una precisazione in punto di fatto che riverbera  effetti rilevanti sul piano del diritto. Come già detto, il provvedimento di  annullamento in autotutela descritto in premessa si fonda essenzialmente sulla  mancata rappresentazione - in sede di deposito del progetto allegato alla  domanda di concessione edilizia - di una circostanza rilevante: il fatto che il  limitrofo fabbricato appartenente al controinteressato, situato a distanza di  soli due metri dall’edificio oggetto di demolizione/ricostruzione, fosse munito  di due aperture (una porta, ed una finestra lucifera) che non risultavano negli  allegati grafici depositati ai fini del rilascio del titolo edilizio. Questa  circostanza, appurata dal Comune solo in epoca successiva, ha reso applicabile  l’art. 17 delle NTA del vigente PRG cittadino, nella parte in cui prescrive  l’obbligo di rispetto della distanza di m. 10 tra fabbricati che abbiano pareti  finestrate.
 
 Premesso quanto detto, si passa all’esame delle singole censure:
 
 1.- Richiamando quanto sinteticamente esposto nell’illustrare il primo motivo di  ricorso, si può affermare che i ricorrenti lamentino in sostanza l’illegittimità  del provvedimento di annullamento in autotutela asserendo che il presunto vizio  rilevato dal Comune nella concessione edilizia non costituisce un quid novi,  trattandosi di circostanza già nota al momento di rilascio del titolo.
 
 Quanto detto presuppone l’assenza di ogni contestazione delle parti in causa in  ordine alla effettiva sussistenza delle due aperture sulla parete del fabbricato  di proprietà La Monica; ciò che divide le contrapposte tesi è, invece,  costituito dalla consapevolezza e conoscenza ab origine di tale circostanza di  fatto: secondo la tesi dei ricorrenti, tali particolari architettonici erano già  stati illustrati a suo tempo dal progettista agli uffici comunali a seguito di  espressa richiesta istruttoria, sicchè essi non possono essere ora elevati ad  elemento di novità idoneo a fondare l’annullamento in autotutela del titolo  edilizio ormai rilasciato. Secondo la tesi sostenuta dall’ente resistente e  dalla contro interessata resistenti, invece, l’elemento in questione non sarebbe  stato evidenziato in sede progettuale, ed il Comune ne sarebbe venuto a  conoscenza solo a seguito delle rimostranze sollevate dalla controinteressata  nel luglio 2008, e solo in quel momento quindi si sarebbe acquisita la  consapevolezza che la concessione edilizia era stata rilasciata sulla scorta di  una rappresentazione infedele (in quanto incompleta) dello stato dei luoghi.
 
 Per supportare la propria argomentazione, i ricorrenti allegano un documento  contenente una convocazione del progettista, emessa dal Sindaco in data  19.08.1996, avente lo scopo di effettuare un approfondimento istruttorio della  pratica edilizia sotto diversi profili, tra i quali (per quanto qui rileva)  anche quello dell’esistenza delle aperture sull’edificio La Monica. A seguito di  tale invito – proseguono i ricorrenti - il progettista avrebbe reso dei  chiarimenti orali e documentali sulla natura delle aperture, idonei a  rassicurare gli uffici comunali ed a consentire il rilascio della concessione  richiesta.
 
 Tuttavia, osserva il Collegio che la ricostruzione dei fatti riportati dai  ricorrenti – per quanto plausibile ed astrattamente credibile – non raggiunge la  sufficienza probatoria necessaria per poter considerare comprovata in sede  giudiziaria la sussistenza di un fatto. Come è noto, benché nel processo  amministrativo viga un onere probatorio attenuato, che si ritiene assolto anche  attraverso la semplice allegazione di un “principio di prova” da parte del  ricorrente, nella fattispecie in esame non risulta superata questa soglia  probatoria minima, posto che non viene fornita alcuna prova documentale (o,  quantomeno, un indizio) attestante il fatto che l’esistenza delle aperture fosse  stata già ab origine messa nella dovuta evidenza; ne costituisce dimostrazione  il fatto che non è stata rinvenuta agli archivi comunali, né prodotta, alcuna  comunicazione o documento utile al riguardo. Si deve, quindi, concordare con la  difesa della controinteressata, nella parte in cui afferma che solo al momento  di procedere alla revisione in autotutela del titolo edilizio il Comune ha avuto  cognizione della perpetrata violazione delle norme sulle distanze tra edifici  richiesta dall’art. 17 della NTA in conformità all’art. 9 del D.M. 1444/1968. Ne  consegue ulteriormente che l’atto di ritiro in autotutela oggi impugnato è  legittimamente fondato su una circostanza di fatto non conosciuta dall’ente  all’epoca del rilascio della concessione edilizia: ossia, la evidente violazione  delle norme sulle distanze legali tra edifici, che rende illegittimo sotto lo  specifico profilo il titolo edilizio all’epoca emesso.
 
 Né può attribuirsi rilievo dirimente all’ulteriore profilo evidenziato dai  ricorrenti nel motivo in esame, laddove si sostiene che in precedenza la prassi  amministrativa comunale è sempre stata orientata a consentire le operazioni di  demolizione/ricostruzione di fabbricati preesistenti alla sola condizione che  venissero rispettati i limiti di cubatura consentiti nel lotto e le servitù  preesistenti. In senso contrario, al Collegio appare ovvio che – al di là delle  minimali ipotesi in cui la ricostruzione di un edificio venga effettuata nel  preciso rispetto della sagoma e volumetria originaria (circostanza diversa da  quella qui in esame) – la ricostruzione che contempla (come nel caso di specie)  varianti rispetto all’edificio preesistente deve sempre essere rispettosa delle  distanze legali dagli edifici limitrofi prescritte dal D.M. 1444/1968 e dalle  NN.TT.AA. (cfr. nello stesso senso Tar Genova, 3566/2009; Cass. civ., II,  22689/2009), venendo in rilievo prescrizioni rivolte a tutela di imprescindibili  interessi pubblici quali quelli della salubrità, dell’igiene, della viabilità,  che non possono naturalmente essere compressi in via convenzionale o in forza di  una (illegittima, ancorché diffusa) prassi amministrativa.
 
 La censura in esame risulta, per quanto chiarito, infondata.
 
 2.- Il secondo motivo di ricorso, come descritto nella parte in “fatto” deve  essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse processuale.
 
 Infatti, sebbene corrisponda a verità la circostanza che un organo comunale  abbia riscontrato anche la asserita illegittima trasformazione della  destinazione d’uso dei locali siti al piano terra dell’erigendo edificio, va  anche rilevato che tale aspetto risulta del tutto ininfluente sul contenuto  dispositivo del provvedimento impugnato. Questo, infatti, si limita ad annullare  la già rilasciata concessione edilizia con limitato riguardo al piano secondo ed  al piano sottotetto, ordinando anche la demolizione in parte qua dei lavori  eseguiti, senza disporre alcunché in ordine alla conformazione e destinazione  del piano terra. Si deve quindi concludere che i ricorrenti non hanno alcun  interesse processualmente rilevante a chiedere ed ottenere in sede  giurisdizionale l’annullamento di un provvedimento amministrativo fondato su  argomentazioni in punto di fatto e di diritto che la PA ha inserito nell’atto  solo con finalità descrittive della fattispecie esaminata (o ad colorandum), ma  senza far derivare dalle predette considerazioni alcuna conseguenza sfavorevole  per il destinatario del provvedimento.
 
 3.- Con l’ultimo motivo i ricorrenti censurano il provvedimento impugnato sotto  il profilo della insufficiente motivazione in ordine all’interesse pubblico  perseguito con l’atto di ritiro della concessione edilizia, da comparare e  bilanciare con l’affidamento ingenerato nei privati concessionari.
 
 La censura non ha pregio.
 
 Come già chiarito in precedenza, sebbene la concessione edilizia oggetto di  annullamento in autotutela risalga al lontano 2002, va messo nella dovuta  evidenza il fatto che l’elemento invalidante il titolo edilizio sia stato  accertato dal Comune solo recentemente, a seguito della segnalazione effettuata  dal proprietario dell’edificio limitrofo. Si può quindi pacificamente affermare  che non è trascorso un irragionevole lasso di tempo nell’esercizio  dell’autotutela e che, sotto altro angolo visuale, non sussisteva in capo ai  ricorrenti un affidamento tutelabile posto che il loro titolo edilizio è  risultato essere basato su di una rappresentazione progettuale (non importa se  dolosamente, o colposamente) imprecisa.
 
 In relazione alle circostanze sopra descritte, appare adeguata e confacente allo  scopo la motivazione sottoscritta dal Comune nel proprio provvedimento di  ritiro, che intende rimediare alla illegittimità riscontrata sia per rispetto di  cogenti principi pubblicistici, sia in risposta alla legittima istanza avanzata  dal privato controinteressato.
 
 Per quanto esposto anche il motivo in rassegna non assume pregio e determina  quindi il rigetto del gravame. E’ il caso di precisare, tuttavia, che  l’annullamento parziale del titolo edilizio disposto con il provvedimento  gravato deve essere coordinato con l’esame del progetto di variante presentato  dai ricorrenti (il cui contenuto è ignoto al Collegio) e che potrebbe, in  ipotesi, condurre al rilascio di un nuovo titolo, ove risultassero rispettate le  norme di legge e regolamentari vigenti.
 
 In conclusione, il ricorso non può essere accolto, ma si stimano sussistenti  giuste ragioni per compensare tra le parti le spese processuali.
 P.Q.M.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – sezione staccata di  Catania (sezione interna I^) – rigetta il ricorso in epigrafe.
 
 Spese compensate.
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
 Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2010 con  l'intervento dei Magistrati:
 
 Vincenzo Zingales, Presidente
 Salvatore Schillaci, Consigliere
 Francesco Bruno, Primo Referendario, Estensore
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 12/10/2010
 
                    




