Principi di tutela penale ed amministrativa del Paesaggio

di Francesco MAGNOSI

 

L’articolo 155 del Codice dei beni culturali e del paesaggio stabilisce che le funzioni di vigilanza, di carattere amministrativo e preventivo sono esercitate congiuntamente dalle Regioni e dal Ministero dei beni culturali ed hanno ad oggetto tutti i beni paesaggistici, sia quelli individuati ex lege, sia quelli individuati tramite provvedimento amministrativo di imposizione del vincolo.

Il Codice, pur conferendo alle Regioni le funzioni amministrative relative alla tutela dei beni paesaggistici, conformandosi al principio generale sancito dall’articolo 5, tende per altro verso a riattribuire al Ministero un indefinito potere di vigilanza sulle funzioni esercitate dalle Regioni nonché il potere di sostituirsi ad esse nell’esercizio di tali competenze in caso di inottemperanza o persistente inerzia nello svolgimento delle funzioni assegnate.

La vigilanza del Ministero e delle Regioni si inserisce nella complessa attività di controllo tecnico-amministrativo avente funzione preventiva in ordine alla esatta applicazione del procedimento autorizzatorio ed alla corretta gestione burocratica del vincolo. Sul territorio, poi, vi sono altre strutture che esercitano un’attività di vigilanza più penetrante, rivolta alla repressione degli illeciti amministrativi ed anche penali commessi in violazione delle norme poste a tutela dei beni paesaggistici.

Al fine di garantire una efficace ed effettiva protezione delle bellezze naturali, la normativa di tutela prevedeva, sin dalle origini, misure cautelari e temporanee finalizzate ad inibire, anche in assenza del vincolo, l’esecuzione di opere che avrebbero potuto irrimediabilmente comprometterne il contesto. Il potere di intervenire con misure cautelari, prima che l’area o l’immobile fossero stati individuati formalmente come beni paesaggistici, già previsto dall’articolo 8 della legge 1497/1939, fu conservato dalle successive norme in materia, e mantenuto dall’articolo 150 del Codice.

Nelle successive riscritture del Codice, giova sottolineare che anche nella parte dedicata alla vigilanza ed alle sanzioni, il legislatore ha introdotto delle significative modificazioni. Nello specifico, con il d. lgs. 157/2006, è stata sostituita l’espressione «pregiudicare il bene» con «recare pregiudizio al paesaggio», intendendosi ampliare, in tal modo, il campo della tutela, individuando nel paesaggio complessivamente inteso, e non già nei singoli beni paesaggistici, l’oggetto della vigilanza.

In base alla normativa vigente, i lavori sprovvisti dell’autorizzazione perché effettuati su beni oggetto di vincoli protettivi, possono essere interrotti prima che abbiano avuto inizio attraverso un ordine di inibizione oppure, se già in stato di avanzamento, possono essere sospesi, anche in difetto della preventiva emanazione del provvedimento inibitorio.

Difformemente da quanto avviene in materia edilizia, dove la sospensione dei lavori rappresenta il necessario presupposto procedimentale dell’ordine di demolizione delle opere abusivamente realizzate, il provvedimento di sospensione per abusi paesaggistici è assolutamente autonomo1, potendo seguire o meno l’ordine di demolizione.

Passando all’analisi dello specifico sistema sanzionatorio, si rileva che il Codice ha mantenuto la distinzione e l’autonomia tra il regime delle sanzioni amministrative per illeciti paesaggistici, rispetto a quello delle sanzioni penali predisposte per la repressione delle condotte poste in essere a danno dei valori paesaggistici, che era originariamente previsto dalla legge del 1939.

Le condotte sanzionate, in entrambi i sistemi, vengono in evidenza nel momento in cui il soggetto agente realizza le opere in una zona vincolata, in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica. Le differenze ci sono, invece, sia in relazione alle ipotesi di regolarizzazione successiva degli interventi, sia in ordine alla previsione, o meno, di ulteriori condotte comunque estintive del regime sanzionatorio.

Le sanzioni amministrative, nel sistema delineato dall’articolo 15 della legge 1497/1939, potevano alternativamente prevedere l’irrogazione di misure ripristinatorie ovvero di misure afflittive prevalentemente pecuniarie verso il responsabile della condotta illecita. Il carattere alternativo dei rimedi e l’amplissima discrezionalità che caratterizzava la natura delle valutazioni in ordine alla misura da applicarsi, favoriva certamente la scelta dei rimedi ripristinatori su quelli demolitori. Ciò perché l’esigenza di tutela del paesaggio impone di prediligere il ripristino dello stato dei luoghi ogni volta che esso appaia possibile ed utile, evitando di stravolgere ulteriormente l’integrità paesaggistica su cui si è già inciso. La possibilità di optare tra differenti sanzioni esprimeva la consapevolezza del legislatore in ordine alla peculiare natura, in sé dinamica e mutevole del paesaggio, che richiede maggior grado di elasticità nella modulazione delle misure repressive2.

Nella sua formulazione originaria, l’articolo 167 del Codice riproduceva il testo dell’articolo 164 del T.U. del 1999, il quale a sua volta aveva accolto il sistema sanzionatorio alternativo presente nell’articolo 15 legge del 1497/1939. La sanzione paesaggistica irrogata dal Comune è dunque quella di cui all’articolo 164 del d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, il quale rimette alla Regione, in caso di violazione della normativa sui beni paesaggistici e ambientali, la scelta tra l’ordine di rimessione in pristino ed il pagamento di una sanzione pecuniaria proporzionata al danno arrecato.

Con riguardo alla natura della sanzione pecuniaria irrogabile in caso di accertamento dell’illecito paesistico, è stato definitivamente chiarito che l’indennità prevista dall’articolo 15 della legge 1497/1939 è una sanzione amministrativa e non già una forma di risarcimento del danno, in quanto non si è riusciti a stabilire un criterio uniforme per definire economicamente l’ammontare del danno paesistico. Alla luce di tanto, il pagamento della sanzione si concreta in un atto dovuto, che prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale il quale, unitamente al profitto conseguito, rileva solo come parametro alternativo per la commisurazione del quantum della sanzione, che deve avvenire in via sostanzialmente equitativa ed essere ricollegata ad una stima tecnica di carattere generale, insuscettibile di una dimostrazione articolata ed analitica, sfuggendo il danno paesistico, per la sua intrinseca natura, ad una indagine dettagliata3.

Con riferimento alla sanzione ripristinatoria, l’ordine di demolizione originariamente previsto, è stato sostituito nel Codice dal più ampio e generale ordine di «rimessione in pristino» dello stato dei luoghi, che si configura come un concetto più ampio di quello di demolizione originariamente previsto dal richiamato articolo 15 della legge 1497/1939 come alternativa al pagamento dell’indennità4.

La rimessione in pristino si caratterizza per essere una sanzione più appropriata della demolizione, soprattutto con riferimento all’obiettivo che la sanzione si prefigge, ossia la tutela e la conservazione del paesaggio, che appaiono più proficuamente assicurate attraverso la reintegrazione delle condizioni visuali e panoramiche preesistenti alla realizzazione dell’opera abusiva. Inoltre, atteso che non è consentita nessuna sanatoria delle opere poste in essere in violazione o in difformità dall’autorizzazione o delle altre imposizioni di legge, con le eccezioni in relazione alle infrazioni più lievi, il legislatore ha inteso evitare che le trasgressioni delle norme paesistiche diventassero un motivo di guadagno per gli enti locali, incentivando le pratiche di sanatoria a livello locale, con pesanti ricadute sull’integrità e la conservazione del paesaggio.

È giustificato quindi, il favore delle amministrazioni nei confronti dei rimedi ripristinatori, ed anche verso la concessione delle autorizzazioni postume, purché le opere non abbiano avuto un impatto eccessivamente incisivo sul contesto e si tengano in debito conto i valori paesaggistici5. Ed infatti la giurisprudenza, si è dimostrata inflessibile e tutt’altro che permissiva nei confronti degli abusi commessi in aree tutelate che hanno comportato aumenti di volumi o di superfici, negando la sanatoria e confermando gli ordini di demolizione emessi dal Comune. Infatti, giusta il chiaro combinato disposto degli articoli 146, comma 4 e 167, comma 4 del Codice, è stato ribadito con decisa convinzione che nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico non sono suscettibili di sanatoria gli abusi che abbiano comportato aumenti di volumi e/o superfici utili.

Infatti, anche l’intervenuta presentazione della domanda di accertamento di conformità delle opere già eseguite non paralizza i poteri sanzionatori comunali e non determina alcuna inefficacia sopravvenuta o caducazione dell’ingiunzione di demolizione, dovendo la domanda di sanatoria ritenersi assoggettata al regime del silenzio-diniego trascorsi 60 giorni dalla sua presentazione6.

Del resto, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, il provvedimento di demolizione è atto dovuto e vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare7. Per mera completezza, si deve aggiungere che la giurisprudenza, in modo assolutamente uniforme, ha stabilito l’inapplicabilità dell’articolo 7 della legge 241/1990 alle vicende sanzionatorie riguardanti gli illeciti paesaggistici, sancendo che «l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive non deve essere preceduto dall’avviso ex articolo 7 della legge 241/1990, trattandosi di un atto dovuto, che viene emesso quale sanzione per l’accertamento della inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e conseguentemente disciplinato rigidamente dalla legge»8.

In generale quindi, tutti gli atti sanzionatori in materia edilizia, attesa la loro natura rigidamente vincolata, non risultano viziati ove non siano preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento9.

Al fine di ridurre il pregiudizio a carico del contesto vincolato ed i rischi connessi all’esecuzione del ripristino, l’autorità preposta alla tutela del vincolo può anche prescrivere, con il provvedimento sanzionatorio, particolari accorgimenti ed attenzioni a cui attenersi nell’effettuazione di tale intervento. Compatibilmente con le finalità di salvaguardia del valore paesaggistico, è stata ammessa nel tempo la possibilità della verifica ex post circa la compatibilità paesistica dell’intervento, la quale, si è detto, non contraddice i principi generali sottesi alla disciplina sanzionatoria in tema di paesaggio10.

Sulla scia di queste tendenze, la giurisprudenza ha accolto un orientamento che ormai può dirsi consolidato, secondo cui è preferibile evitare la sanzione demolitoria quando sia possibile e non precluso dalla legge.

La concessione dell’autorizzazione postuma in favore del trasgressore, quando è ammessa, ha però il solo effetto di escludere la demolizione dell’immobile e non anche quello di preservare l’autore dell’illecito dal pagamento della sanzione pecuniaria che, come visto, la normativa paesaggistica prevede in alternativa rispetto alla demolizione e che in ipotesi di autorizzazione postuma deve ritenersi doverosa11.

Il provvedimento con cui si concede l’autorizzazione postuma presenta delle questioni che si intrecciano e coinvolgono altri temi riguardanti gli illeciti paesistici, in particolare quello della prescrizione degli illeciti paesaggistici, e tutte le conseguenza che da questo evento giuridico possono derivare in favore dell’autore dell’illecito.

 

  1. Il dies a quo della decorrenza della prescrizione degli illeciti paesaggistici

 

La più recente giurisprudenza amministrativa che ha avuto modo di misurarsi con questa problematica, soprattutto con riferimento al dies a quo della decorrenza della prescrizione. È dato per certo che l’articolo 15 della legge 1497/1939, divenuto poi, come visto, articolo 164 del d. lgs. 490/1999, ed oggi articolo 167 del Codice va interpretato nel senso che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce vera e propria sanzione amministrativa e non già una forma di risarcimento del danno, che come tale prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale, e che è altrettanto incontestata l’applicabilità a tale sanzione del principio di cui all’articolo 28, legge 689/198112.

Detta norma stabilisce, infatti, che «il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione». Disposizione quest’ultima applicabile, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria.

Nell’applicare tale regola, tuttavia, con riguardo all’individuazione del dies a quo della decorrenza della prescrizione, occorre tener conto della particolare natura degli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, i quali, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni ed autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni.

Inoltre, per la decorrenza della prescrizione dell’illecito amministrativo permanente, trova applicazione il principio relativo al reato permanente sancito dall’articolo 158, comma 1 del codice penale, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza.

Pertanto, per gli illeciti amministrativi in materia paesistica la prescrizione quinquennale di cui all’articolo 28, legge 689/1981 inizia a decorrere solo con la cessazione della permanenza, con la conseguenza che, vertendosi in materia di illeciti permanenti il potere amministrativo repressivo, come la determinazione di applicare la sanzione pecuniaria, può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell’esercizio del potere13.

Nello specifico, è stato rilevato che per quanto concerne il momento in cui può dirsi cessata la permanenza per gli illeciti in materia paesistica, mentre per il diritto penale rileva la condotta commissiva, sicché la prescrizione del reato inizia a decorrere dalla sua ultimazione, per il diritto amministrativo si è in presenza di un illecito di carattere permanente, caratterizzato dall’omissione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, con l’ulteriore conclusione che se l’autorità emana un provvedimento repressivo di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria, non emana un atto “a distanza di tempo” dall’abuso, ma reprime una situazione antigiuridica contestualmente contra jus ancore sussistente.

Dalle considerazioni che precedono si ricava, dunque, che nel campo dell’illecito amministrativo, che come quello degli illeciti paesistici può riguardare l’omessa richiesta della preventiva autorizzazione paesaggistica, la permanenza cessa – e il termine quinquennale di prescrizione comincia a decorrere – o con l’irrogazione della sanzione pecuniaria o con il conseguimento dell’autorizzazione che, secondo pacifico e consolidato orientamento giurisprudenziale, può essere rilasciata anche per via postuma ed in casi specifici14.

L’altra questione fondamentale che è si pone all’attenzione degli operatori riguarda l’autonomia della violazione urbanistica rispetto a quella paesistica, e se sia possibile che la prescrizione dell’illecito paesaggistico possa determinare la sanatoria della violazione urbanistica e viceversa, nel caso in cui il responsabile della violazione abbia realizzato opere edili in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, incorrendo nella doppia violazione, edilizia e paesistica.

A tal proposito si sono confrontate diverse opinioni giurisprudenziali. In alcuni casi, attesa l’autonomia della violazione paesaggistica rispetto a quella urbanistica, il conseguimento della concessione edilizia in sanatoria non farebbe venire meno la potestà sanzionatoria dell’amministrazione per la violazione del vincolo paesistico, assumendosi che, sempre in virtù dell’autonomia e separatezza dei due procedimenti sanzionatori, neanche il parere di compatibilità paesaggistica rilasciato dall’autorità preposta al vincolo nell’ambito del procedimento di condono, essendo un mero atto endoprocedimentale all’interno del ben diverso procedimento relativo alla violazione edilizia, non sarebbe idoneo a far cessare la permanenza della violazione paesaggistica15.

Altra parte della giurisprudenza ha ritenuto invece che laddove risulti che il responsabile della violazione non si è limitato a munirsi del predetto parere endoprocedimentale, ma abbia concluso positivamente la procedura di condono, il provvedimento di concessione in sanatoria non può non determinare la cessazione della permanenza anche dell’illecito paesaggistico. Secondo questa opinione, a cui qui si ritiene di aderire, non è del tutto vero che il parere favorevole reso dall’autorità preposta alla tutela del vincolo nell’ambito del procedimento per la sanatoria di abusi edilizi realizzati in zona vincolata costituisca un atto meramente interno a tale procedimento, privo di ogni riflesso sulla diversa violazione paesaggistica. Ciò si ricava anche dalla disposizione dell’articolo 32, legge 47/1985, secondo cui, una volta ottenuto il predetto parere, da cui non può prescindersi per il conseguimento del condono, la successiva concessione in sanatoria determina l’estinzione non solo del reato edilizio, ma anche del reato per la violazione del vincolo.

È evidente che la convergenza all’interno di un unico procedimento di sanatoria del detto parere e delle conclusioni specifiche degli uffici comunali in merito alla violazione più specificatamente urbanistica, non può non determinare delle conseguenze ai fini dell’eliminazione contestuale di entrambi gli illeciti, quello edilizio e quello paesaggistico.

Ne discende che, una volta ottenuta la concessione in sanatoria, il responsabile dell’illecito null’altro è tenuto a fare, né può fare, con riferimento all’ulteriore violazione di natura paesaggistica, atteso che l’autorità preposta al vincolo ha già compiutamente e definitivamente espresso il proprio avviso rilasciando il parere di compatibilità, che costituisce presupposto imprescindibile per il condono delle opere abusive eseguite in zona vincolata. Una soluzione diversa implicherebbe l’obbligo del responsabile dell’abuso, il quale abbia ottenuto il condono e intenda rimuovere anche la violazione paesaggistica, di richiedere alla Soprintendenza un nuovo parere di compatibilità destinato a duplicare quello già rilasciato nel procedimento di sanatoria edilizia dalla stessa Soprintendenza.

Pertanto, posto che un tale aggravio procedimentale non trova alcun riscontro nella normativa vigente in materia, e contrasta con i principi di economicità, efficienza e ragionevolezza del procedimento amministrativo, l’alternativa sarebbe ritenere che la permanenza della violazione paesaggistica sia destinata a perdurare indefinitamente, con conseguente impossibilità per l’autore dell’illecito che ha ottenuto le prescritte autorizzazioni in sanatoria di provvedere alla definitiva regolarizzazione dell’immobile, avendo come unica possibilità per sottrarsi alla potestà sanzionatoria dell’amministrazione di procedere alla demolizione dell’opera realizzata.

Ciò sarebbe del tutto assurdo a fronte di opere ormai in possesso di regolari titoli abilitativi, sia sotto il profilo edilizio che paesaggistico.

In conclusione, il principio di autonomia delle due tipologie di violazioni va rettamente inteso nel senso che l’intervenuta sanatoria dell’abuso edilizio non fa venir meno ex se la potestà sanzionatoria per la diversa violazione paesaggistica, anche perché in contrario si affermerebbe un principio di inesigibilità della sanzione che non è ammissibile, ma in ogni caso essa spiega una influenza fondamentale sulla permanenza di quest’ultima. Ne consegue che il momento del rilascio della sanatoria edilizia costituisce il dies a quo della prescrizione della sanzione pecuniaria, ai sensi dell’articolo 28 delle legge 689/198116.

L’ordine di ripristino deve essere adempiuto entro il termine assegnato al trasgressore dall’autorità giudiziaria che ha accertato l’illecito, sotto pena della sua esecuzione d’ufficio da parte dell’autorità preposta alla difesa del vincolo, che porrà naturalmente le spese a carico del trasgressore.

Nel caso in cui l’autorità che ha irrogato la sanzione resti inattiva non dando seguito all’esecuzione d’ufficio del provvedimento, l’articolo 1, comma 36, lett. a) della legge n. 308 del 2004, ha previsto un potere sostitutivo in capo al Direttore regionale della Direzione per i beni architettonici e paesaggistici del Ministero per i beni e le attività culturali, il quale, su richiesta della stessa autorità competente, ovvero, decorsi 180 giorni dall’accertamento dell’illecito, dopo aver diffidato l’autorità stessa a provvedere nei successivi 30 giorni, procederà direttamente al ripristino avvalendosi delle modalità operative sancite dall’articolo 41 del T.U.E. contenuto nel d.p.r. n. 380/2001.

Passando alle sanzioni pecuniarie previste, esse sono irrogabili per quei casi di violazione piuttosto lievi delle prescrizioni a tutela del paesaggio, in modo da consentire il rilascio di una dichiarazione di compatibilità postuma rispetto ai lavori già eseguiti.

In particolare, il nuovo sistema introdotto a seguito delle novella del 2006, pur mantenendo entrambe le misure sanzionatorie, ne ha eliminato l’alternatività connettendole a differenti tipologie di illeciti paesaggistici. L’articolo 167 comma 1 del Codice, innovato dal d. lgs. 157/2006 precisa che il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese, fatto salvo quanto previsto dal successivo comma 4, che indica le sole ipotesi in cui sia consentita l’autorizzazione paesaggistica postuma, cui abbiamo accennato in precedenza, con riguardo alle infrazioni più lievi che consentono di ricorrere a questo rimedio.

In tali ipotesi, ed al verificarsi delle condizioni previste dal comma 4, dell’articolo 146 del Codice, il trasgressore può conseguire l’autorizzazione paesaggistica postuma presentando, ai sensi del comma 5 dell’articolo 167 una apposita domanda all’autorità preposta alla tutela del vincolo, la quale, assunto il parere della Soprintendenza, dovrà provvedere a pronunciarsi entro il termine perentorio di 180 giorni.

L’esito favorevole dell’accertamento comporterà l’applicazione della sola sanzione pecuniaria, commisurata al maggiore importo tra il danno arrecato ed il profitto conseguito all’esito della trasgressione; in caso di rigetto, o di mancata presentazione dell’istanza, troverà invece applicazione la sanzione demolitoria o di rimessione in pristino di cui all’articolo 167, comma 1.

Quanto alla specifica tutela penale del paesaggio apprestata dal Codice, l’articolo 181 punisce qualsiasi modificazione del paesaggio eseguita in assenza di autorizzazione rilasciata dall’autorità competente. Sono esclusi dalla punibilità gli interventi indicati nell’articolo 149 del Codice; quelli previsti dall’articolo 143, comma 5, sempre che il piano paesaggistico sia stato elaborato congiuntamente dalle Regioni, dal Ministero per i beni e le attività culturali e dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e gli strumenti urbanistici dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Province siano stati ad esso adeguati; le attività di coltivazione di cave e torbiere; i cartelli e gli altri mezzi pubblicitari.

Rientrano poi nella fattispecie penale anche gli interventi effettuati dopo la scadenza quinquennale dell’autorizzazione, mentre non rileva la violazione di prescrizioni e modalità esecutive del provvedimento priva di concreta incidenza sul bene protetto nonché quelle condotte materiali, pur non trascurabili, che non possono essere ricondotte al concetto di «lavori di qualsiasi genere» eseguiti su beni paesaggistici.

L’articolo 181 del Codice non innova la disciplina dettata dall’articolo 20 della legge n. 47/1985, come sostituita dall’articolo 44 del T.U.E., aggiungendovi quanto disposto dalla legge 308/2004 e dalle ulteriori modifiche apportate dal d. lgs. 157/2006.

Le sanzioni penali previste per coloro che realizzano interventi di modifica o distruzione su beni paesaggistici vincolati in difetto di autorizzazione, o in difformità da quanto con essa prescritto, sono le medesime disposte per chi attua lavori edili in assenza dei relativi titoli edilizi. Recita l’articolo 44 del d.p.r. 380/2001 che, «salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica l’ammenda fino a 10.329 euro per l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire; l’arresto fino a 2 anni e l’ammenda da 5.164 a 51.645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione; l’arresto fino a 2 anni e l’ammenda da 15.493 a 51.645 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell’articolo 30. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso»17.

Accanto alle sanzioni che sono state trasfuse nel Codice dal previgente regime, la legge 308/2004 ed il d. lgs. 157/2006 hanno inasprito ulteriormente il sistema sanzionatorio.

Con il comma 1-bis aggiunto all’articolo 181, il Codice ha introdotto un nuovo delitto paesaggistico, configurabile ogniqualvolta venga accertato che sono state eseguite opere di distruzione o modifica su beni su cui già esiste un vincolo paesaggistico e sono stati dichiarati di notevole interesse pubblico prima dell’inizio dei lavori, e a tutti quei casi in cui gli interventi abbiano comportato un aumento considerevole delle superfici della volumetria degli edifici, tanto da non poter essere considerato intervento lieve ai sensi della normativa vigente.

Il Codice prevede anche espressamente la possibilità di estinguere i reati paesaggistici così commessi, sia con riguardo alle infrazioni lievi di cui si è prima accennato, e per la quali come visto è possibile ottenete l’autorizzazione paesaggistica postuma che comporta la sola applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.

In questi casi, il trasgressore, attivando la medesima procedura diretta a far rilevare la compatibilità del proprio intervento con le norme paesaggistiche, si sottrae anche alla eventuale all’applicazione delle sanzioni penali dell’ammenda e dell’arresto.

Una ulteriore causa di estinzione del reato è prevista dal comma 1 quinques dell’articolo 181 del Codice, il quale prevede una sorta di ravvedimento da parte del trasgressore, il quale, se procede spontaneamente alla rimessione in pristino dei beni prima che venga emesso un provvedimento di condanna del giudice penale, o se provvede alla rimessione a seguito dell’intimazione pronunciata dall’autorità amministrativa evitando così che il procedimento penale si avvii, può beneficiare della estinzione del reato.

L’articolo 181, comma 1-quinques del Codice prevede infatti una forma di estinzione del reato paesaggistico conseguente alla spontanea rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa e, comunque, prima che intervenga la condanna.

Relativamente all’onere probatorio, la Suprema Corte ha precisato che, trattandosi di causa estintiva di un reato già perfezionatosi in tutti i suoi elementi essenziali, il relativo onere probatorio incombe sull’imputato18.

 

1 La giurisprudenza, sebbene con riferimento al previgente regime, il quale come visto è stato sostanzialmente riconfermato dal Codice, ha, infatti chiarito che «l’ordine di sospensione dei lavori edilizi in aree sottoposte a vincolo paesistico può essere legittimamente impartito, ai sensi dell’articolo 8 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, indipendentemente dall’inclusione della località nell’arco delle zone vincolate, nel caso in cui essi siano iniziati senza autorizzazione, mentre quando quest’ultima è intervenuta e i lavori sono stati eseguiti in conformità o in difformità di tale autorizzazione, il citato articolo 8 della legge 1497/1939 non è applicabile e l’ordine di demolizione può essere impartito, ai sensi del successivo articolo 15 della legge 1497/1939, senza che esso debba essere preceduto dall’ordine di sospensione». Così Cons. Stato, sez. VI, 9 aprile 1999, n. 429.

 

2 Così Ciaglia G., La nuova disciplina del paesaggio. Tutela e valorizzazione dei beni paesaggistici dopo il d. lgs. 63/2008, per il quale «si possono ammettere anche le sanzioni pecuniarie alternativamente al rimedio ripristinatorio, quando in tale modo venisse adeguatamente perseguito l’interesse pubblico alla tutela del paesaggio. Pertanto, la scelta della sanzione pecuniaria, nel sistema risalente alla legge n. 1497, non era in alcun modo indice di minore gravità della violazione; né l’irrogazione di detta sanzione, in vece di quella demolitoria, implicava che si vertesse in ipotesi in cui l’interesse pubblico alla piena conservazione del bene vincolato poteva dirsi affievolito». In Giornale di diritto amministrativo, diretto da Sabino Cassese, n. 19/2009, cit., Wolters Kluwer Italia, Milano, 2009

 

3 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2083.

 

4 Cfr. Firmiani P., Gli illeciti in tema di paesaggio: tutela penale ed amministrativa, in Banca Dati De Agostini – Leggi d’Italia Professionale, luglio 2000.

 

5 La giurisprudenza è costante nel non considerare in modo tassativo le tipologie di interventi per cui si può essere ammessi ad ottenere l’autorizzazione paesaggistica postuma, e la conseguente possibilità di sanare l’illecito commesso con il pagamento di una sanzione pecuniaria. In questo senso, TAR Liguria, Genova, Sez. I del 2 gennaio 2008.

 

6 Cfr. TAR Campania, Napoli, sez. III, 17 settembre 2010, n. 17441. Questa sentenza del giudice amministrativo partenopeo si segnala anche per avere affrontato il problema relativo alla demolizione delle opere quando sia trascorso un generoso lasso di tempo tra la commissione dell’abuso e l’esecuzione della demolizione. Come noto agli esperti, sul punto si sono confrontati due orientamenti opposti: il primo più permissivo nei confronti dell’autore dell’illecito, fa leva sul principio generale dell’affidamento del privato, il quale ha diritto nei confronti dell’amministrazione che intenda procedere alla demolizione quando sia trascorso un lungo lasso di tempo tra l’abuso e l’ordine di demolizione, ad una congrua motivazione da parte dell’amministrazione in grado di comparare l’interesse del privato alla conservazione dell’abuso con l’interesse pubblico alla repressione dell’illecito, avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia dell’abuso, ed indichi il pubblico interesse evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, che sia idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (Cons. Stato, sez. IV, 14 maggio 2007, n. 2441; TAR Piemonte, sez. I, 26 marzo 2010, n. 1603; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 9 aprile 2010, n. 1890). L’altro orientamento, più severo e rigoroso, afferma invece che, anche nel caso di abuso risalente nel tempo, e sempre che il lasso di tempo trascorso non sia tanto ampio da aver determinato un assetto territoriale urbanistico tanto consolidato da escludere ogni profilo dell’interesse pubblico all’osservanza dell’assetto normativo delineato, l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive costituisce atto dovuto, non potendo il semplice trascorrere del tempo giustificare il legittimo affidamento del contravventore, poiché il potere di ripristino dello status quo non è soggetto ad alcun termine di prescrizione, né è tacitamente rinunciabile, poiché il semplice trascorrere del tempo non può legittimare una situazione di illegalità, né imporre all’amministrazione la necessità di una comparazione dell’interesse del privato alla conservazione dell’abuso con l’interesse pubblico alla repressione dell’illecito (TAR Puglia, Lecce, sez. III, 8 aprile 2010, n. 907; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 20 febbraio 2008, n. 377).

 

7 Cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 aprile 2011, n. 2527.

 

8 Cfr. Tar Campania, Napoli, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 15871.

 

9 Così Con. Stato, sez. IV, 26 settembre 2008, n. 4659

 

10 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 ottobre 2000, n. 5373.

 

11 Cfr. Antoniol M., La prescrizione degli illeciti paesaggistici, 12 ottobre 2009, in www.urbium.it.

 

12 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1464; Cons. Stato, sez. VI, 28 luglio 2006, n. 4690; Cons. Stato, sez. IV, 12 novembre 2002, n. 6279.

 

13 Cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2006, n. 4420.

 

14 Cfr. Cons. Stato, Ad. Gen., 11 aprile 2002, n. 4; Cons Stato, sez. VI, 12 maggio 2003, n. 2653.

 

15 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7405; Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2004, n. 395.

 

16 Cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. I, 25 marzo 2010, n. 938.

 

17 Cfr. Gentile E., Le sanzioni penali dell’edilizia. L’art. 44 del d.P.R. 380/2001, Exeo, 2011.

 

18 Cfr. Cass. Penale, sez. III, 10 marzo 2011, n. 9690, dove si specifica che, per quanto concerne le opere eseguite in assenza di autorizzazione amministrativa, «lo spontaneo ripristino non può essere preventivamente comunicato alle competenti autorità amministrative, non solo perché le effettive finalità potrebbero essere equivocate prima del completamento delle opere di ripristino, ma anche perché chi vi provvede ha sicuro interesse alla documentazione certa della spontaneità e tempestività dell’azione riparatoria, considerate le conseguenze favorevoli che, per legge, ne derivano».