Cass. Sez. III n. 40555 del 5 novembre 2024 (CC 18 lug 2024)
Pres. Liberati Rel. Noviello Ric. Minieri
Ecodelitti.Associazione per delinquere e art. 452-quiaterdecies codice penale
Per il concorso tra il reati di cui all'art. 452-quaterdecies c.p. e quello punito dall'art. 416 c.p. è necessaria la sussistenza degli elementi costitutivi di entrambi, cosicché la sussistenza del reato associativo non può ricavarsi dalla mera sovrapposizione della condotta descritta nel primo con quella richiesta per la configurabilità dell'associazione per delinquere, richiedendo tale ultimo reato la predisposizione di un'organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi, funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza, da parte di singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare nel tempo per l'attuazione del programma criminoso comune, che non può certo essere individuata nel mero allestimento di mezzi e attività continuative organizzate e nel compimento di più operazioni finalizzate alla gestione abusiva di rifiuti indicate dall'art. 452 quaterdecies c.p. richiedendosi, evidentemente, un'attiva e stabile partecipazione ad un sodalizio criminale per la realizzazione di un indeterminato programma criminoso. Laddove per il reato qui in parola, inerente la materia dei rifiuti, i profili caratterizzanti sono l'allestimento di mezzi e attività continuative e per il compimento di più operazioni finalizzate alla gestione abusiva di rifiuti, così da esporre a pericolo la pubblica incolumità e la tutela dell'ambiente
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza del 26 marzo 2024 il tribunale del riesame di Catanzaro, adito nell’interesse di Minieri Giuseppe avverso l’ordinanza del Gip del tribunale di Catanzaro del 22.2.2024 con cui era stata applicata a carico del Minieri la misura cautelare personale della custodia in carcere in relazione a molteplici contestazioni relative ai capi 1, 13, 14, 18, 20, 21, con particolare riferimento ai delitti di cui agli artt. 416 commi 1 2 3, 452 octies commi 1 2 3 356 c.p., 452 bis c.p. 356 c.p.452 quaterdecies, sostituiva la predetta misura con quella degli arresti domiciliari
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso Minieri Giuseppe mediante il suo difensore, proponendo tre motivi di impugnazione.
3. Deduce con il primo, il vizio di violazione di legge in relazione al reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. non emergendo un traffico di rifiuti atteso che riguardo al capo 20 in assenza di un effettivo conferimento di rifiuti il reputato traffico sarebbe solo simulato e non vi sarebbe offensività. Altri episodi sulla falsificazione di formulari non integrerebbero il traffico. Analoghe critiche si muovono per il capo 21. Si osserva altresì che sarebbe irrilevante ai fini del traffico la effettuazione di trasporti solo simulati, e la realizzazione di scarichi di liquami, ed inoltre le società riconducibili al ricorrente erano comunque autorizzate alla movimentazione di rifiuti. Si aggiunge che l’abusività richiesta per il reato presupporrebbe una gestione totalmente difforme da quanto autorizzato, circostanza insussistente nel caso di specie, e che anche in caso di assenza di autorizzazione il reato potrebbe non sussistere ove la carenza abbia una rilevanza solo formale e non sia causalmente connessa con altri elementi tipici del reato. .
4. Con il secondo motivo rappresenta il vizio di violazione di legge in relazione al reato ex art. 356 c.p. di cui ai capi 13 e 14. Mancherebbero gli elementi costitutivi della fattispecie connotata da frode laddove invece il tribunale avrebbe solo evidenziato il doloso inadempimento anche trascurando le doglianze difensive in punto di assenza di frode. Al più la frode potrebbe rinvenirsi per i capi 4 e 11 che ove comunque “resistenti” alle critiche imporrebbero l’annullamento della ordinanza in rapporto alla rivalutazione della adeguatezza e proporzionalità della misura. Poiché poi si contesta la fase esecutiva gli eccessivi ribassi rilevati in fase di aggiudicazione degli appalti esorbiterebbero dall’area di operatività delle incolpazioni.
5. Con il terzo motivo deduce il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 452 bis c.p. in ordine all’inquinamento ambientale. Il tribunale avrebbe confermato la ricostruzione del delitto in forma omissiva impropria, ed inoltre avrebbe solo richiamato l’astratta compatibilità della fattispecie con il dolo eventuale – che si scontrerebbe con gli elementi costitutivi del delitto ex art. 452 bis c.p. - affermando in maniera apodittica che l’indagato avrebbe posto coscientemente in essere le condotte inquinanti. Il tribunale poi avrebbe selezionato un elemento esterno alla fattispecie, la serialità dei comportamenti, che peraltro sarebbe solo “tangente” rispetto ai profili di evento e danno rilevanti per il delitto. Si contesta poi che il tribunale abbia affermato il deterioramento dell’ambiente sulla mera scorta della temporanea inutilizzabilità della risorsa naturale sebbene il deterioramento sia connotato da una condizione di squilibrio strutturale connesso al decadimento dello stato o della qualità delle matrici o degli ecosistemi. Inoltre facendo leva sui limiti della fase il tribunale, in maniera che si contesta, avrebbe trascurato di sviluppare un giudizio di gravità indiziaria su tutti gli elementi costitutivi del reato con particolare riferimento al tema della misurazione dell’inquinamento essendosi assunta la sufficienza della mera osservazione.
6. Con il quarto motivo deduce vizi di violazione di legge in relazione al reato ex art. 416 c.p. di cui al capo 1 e vizi ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125 cod. proc. pen. e 416 c.p. Si contesta il ritenuto concorso tra il reato associativo e e quello ex art. 452 quaterdecies c.p. osservandosi che esso presupporrebbe la realizzazione di un disegno criminoso indeterminato con conseguente individuazione di reati diversi e ulteriori rispetto a quello ex art. 452 quaterdecies citato oltre che rispetto a quelli ad esso strettamente connessi. Con incidenza anche sulla diversa ricostruzione del dolo rispetto al quale il tribunale non avrebbe operato alcuna distinzione pur necessaria per l’ontologica differenziazione rispetto ai reati in parola dell’elemento soggettivo. E si osserva come tali principi non siano stati rispettati dal collegio della cautela.
7. Con il quinto motivo deduce la violazione degli artt. 292 e 125 cod. proc. pen. Si osserva che diversamente da quanto sostenuto dal tribunale la difesa nei motivi nuovi depositati all’udienza avrebbe illustrato i vuoti motivazionali fondanti la violazione dell’art. 292 comma 2 lett. c) cod. proc. pen. con evidenziazione della assenza grafica circa il pericolo di inquinamento probatorio e apparenza di motivazione quanto al pericolo di reiterazione. E il tribunale in tale contesto avrebbe svolto una inammissibile opera di supplenza quanto alla individuazione dei pericula libertatis. Non conforterebbe poi la tesi della sussistenza di una autonoma motivazione sostenuta dal tribunale, l’avvenuta valorizzazione della circostanza della applicazione da parte del Gip di misure diverse rispetto a quelle chieste dal P.M.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Si deve preliminarmente esaminare il quarto motivo. In proposito deve premettersi che la possibilità di concorso tra il delitto di cui all'art. 416 cod. pen. e quello contemplato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 (attualmente 452 quaterdecies), è stata più volte riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. anche in motivazione, Sez. 3, n. 5773 del 17/01/2014 Rv. 258906 – 01). In proposito, si rammenta che il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti è ascrivibile a "chiunque", assumendo così la natura di reato comune. Quale elemento soggettivo si richiede il dolo specifico e si tratta di reato di pericolo presunto.
I requisiti della condotta sono stati così individuati, in primo luogo, nel compimento di più operazioni; nell’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate che con le operazioni predette devono essere strettamente correlate, posto che il legislatore utilizza la congiunzione "e" (v. Sez. 3 17 gennaio 2002). Si è anche precisato (Sez. 3 n. 40827 del 10 novembre 2005) che tale requisito può sussistere a fronte di una struttura organizzativa di tipo imprenditoriale, idonea ed adeguata a realizzare l'obiettivo criminoso preso di mira, anche quando la struttura non sia destinata, in via esclusiva, alla commissione di attività illecite, cosicché il reato può configurarsi anche quando l'attività criminosa sia marginale o secondaria rispetto all'attività principale lecitamente svolta (conf. Sez. 3 n. 47870, 22 dicembre 2011). Si tratta, peraltro, di reato abituale in quanto integrato necessariamente dalla realizzazione di più comportamenti della stessa specie (Sez. 3 n. 46705 del 3 dicembre 2009) e rispetto al quale l'apprezzamento circa la soglia minima di rilevanza penale della condotta deve essere effettuato non soltanto attraverso il riferimento al mero dato numerico, ma, ovviamente, anche considerando gli ulteriori rimandi, contenuti nella norma, a "più operazioni" ed all'"allestimento di mezzi e attività continuative organizzate" finalizzate alla abusiva gestione di ingenti quantità di rifiuti (Sez. 3 n. 47229 del 6 dicembre 2012). Sul punto si è precisato altresì, che quale reato abituale il delitto si perfeziona soltanto attraverso la realizzazione di più comportamenti non occasionali della stessa specie, finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo (Sez. 3, n. 52838 del 14/07/2016 Rv. 268920 – 01) e in tale quadro consegue che esso si consuma nel luogo in cui avviene la reiterazione delle condotte illecite (ez. 3, n. 48350 del 29/09/2017) Rv. 271798 – 01). Il reato riguarda l'espletamento di attività di cessione, ricezione, trasporto, esportazione, importazione, o comunque gestione abusiva di rifiuti le quali, già sanzionate penalmente nella Parte Quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006, vengono agevolate dalle azioni propedeutiche descritte in precedenza e deve avere ad oggetto un quantitativo "ingente" di rifiuti (rispetto alla determinazione del quale v. Sez. 3 n. 47229 del 6 dicembre 2012, cit.) oltre che essere finalizzato al perseguimento di un ingiusto profitto, non necessariamente consistente in un ricavo patrimoniale, potendosi ritenere integrato anche dal mero risparmio di costi o dal perseguimento di vantaggi di altra natura senza che sia necessario, ai fini della configurazione del reato, l'effettivo conseguimento di tale vantaggio (Sez. 3 n. 40827 del 10 novembre 2005 V. anche Sez. 3 n. 40828 del 10 novembre 2005).
Il bene giuridico protetto va inoltre individuato nella tutela della pubblica incolumità.
Dall’altra parte, con riguardo alla associazione per delinquere, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che elementi tipici del reato sono la sussistenza un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati, l'indeterminatezza del programma criminoso, che distingue il reato associativo dall'accordo caratterizzante il concorso di persone nel reato e l'esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira (così, da ultimo, Sez. 2 n. 16339, 10 aprile 2013). Si è ulteriormente chiarito che la partecipazione all'associazione, distinguendosi da quella del concorrente nel reato di cui all'art. 110 cod. pen., implica, a differenza di quest'ultima, l'esistenza di un "pactum sceleris", con riferimento alla consorteria criminale e della "affectio societatis", in relazione alla consapevolezza del soggetto di inserirsi in un'associazione vietata (Sez. 2 n. 47602, 7 dicembre 2012).
La sussistenza del delitto di associazione per delinquere è indipendente dalla concreta realizzazione dei reati-fine, poiché l'art. 416 cod. pen. sanziona la mera associazione di tre o più persone allo scopo di commettere più delitti, senza subordinare la condanna all'effettiva commissione dei singoli reati fine, la cui effettiva realizzazione non resta conseguentemente assorbita da quella concernente il reato associativo (così Sez. 3 n. 18351, 7 maggio 2008, non massimata sul punto. V. anche Sez. 3 n. 40945, 19 novembre 2010; Sez. 3 n. 45057, 4 dicembre 2008; Sez. 3 n. 25207, 20 giugno 2008).
Si tratta, peraltro, di reati, quali i due qui in esame, aventi oggettività giuridiche diverse, l'uno riguardando l'ordine pubblico e l'altro, come si è detto, la pubblica incolumità e la tutela dell'ambiente.
Tanto precisato, la tematica della possibilità di concorso tra le due suindicate fattispecie è stata da tempo risolta da questa Corte, che ne ha ammesso la possibilità ed ha precisato che, in proposito, è necessaria la sussistenza degli elementi costitutivi di entrambi, cosicché la sussistenza del reato associativo non può ricavarsi dalla mera sovrapposizione della condotta descritta nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 con quella richiesta per la configurabilità dell'associazione per delinquere, richiedendo tale ultimo reato la predisposizione di un'organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi, funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza, da parte di singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare nel tempo per l'attuazione del programma criminoso comune, che non può certo essere individuata nel mero allestimento di mezzi e attività continuative organizzate e nel compimento di più operazioni finalizzate alla gestione abusiva di rifiuti indicate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 (rectius 452 quaterdecies c.p.) richiedendosi, evidentemente, un'attiva e stabile partecipazione ad un sodalizio criminale per la realizzazione di un indeterminato programma criminoso. Laddove per il reato qui in parola, inerente la materia dei rifiuti, i profili caratterizzanti sono l'allestimento di mezzi e attività continuative e per il compimento di più operazioni finalizzate alla gestione abusiva di rifiuti, così da esporre a pericolo la pubblica incolumità e la tutela dell'ambiente (Sez. 3 - , n. 19665 del 27/04/2022 Rv. 283172 – 01) ed inoltre, giova evidenziarlo, esso non ha necessariamente natura plurisoggettiva (Sez. 3, n. 15630 del 12/01/2011 Rv. 249984 – 01) atteso che, come è stato già stabilito rispetto alla previgente fattispecie ex art. 53 bis del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, primigenea ed analoga a quella qui in esame, per l’attività organizzata per il traffico illecito dei rifiuti, non è richiesta una pluralità di soggetti agenti, trattandosi di fattispecie monosoggettiva, mentre è richiesta una pluralità di operazioni in continuità temporale relative ad una o più delle diverse fasi in cui si concretizza ordinariamente la gestione dei rifiuti (Sez. 3, n. 4503 del 16/12/2005 (dep. 03/02/2006 ) Rv. 233292 – 01) .
Da tutto cio’ è seguita anche la puntualizzazione per cui è insussistente un rapporto di specialità tra il delitto di cui all'art. 416 cod. pen. e quello previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260, ovvero 452 quaterdecies c.p. ( cfr. anche Sez. 3 - n. 19665 del 27/04/2022 Rv. 283172 – 01) che possono, va ribadito, concorrere.
E’ in tale quadro giuridico che va inserita la questione sollevata dalla difesa e che il tribunale ha risolto in conformità con i principi sopra riportati. Posto che si sono distinti gli elementi riconducibili alle due fattispecie, e costituiti, quanto alla associazione: 1) da una stabile struttura organizzativa connotata da uomini e mezzi e dalla gestione di impianti, nel quadro della costruzione societaria descritta nelle prime pagine della ordinanza, strumentali alla mera simulazione di legittimi smaltimenti di rifiuti e quindi alla concreta realizzazione di forme illecite di essi; 2) dalla sussistenza di un programma criminale indeterminato, coerentemente individuato nella prevista sistematica partecipazione a gare di appalto pubbliche al ribasso svolta nella prospettiva della omessa manutenzione di impianti di depurazione con riduzione delle spese di gestione e inevitabile smaltimento illecito di rifiuti; 3) dalla esistenza di un vincolo associativo stabile e consolidato nella variegata partecipazione degli associati, anche nel quadro di una strutturata e stabile oltre che ben definita catena di comando, sempre finalizzata nella sua esplicazione alle predette attività oltre che ai citati reati fine, ben illustrata dal collegio della cautela, ad attività inerenti la acquisizione al ribasso di appalti, la omissione di attività doverose di manutenzione, l’omissione dello smaltimento corretto di fanghi, e alfine persino lo sversamento di liquidi nei corpi idrici recettori; 4) dalla finalizzazione di tali condotte verso operazioni organizzate di traffici di rifiuti, attività di inquinamento ambientale, frode nelle pubbliche forniture.
Di contro, quanto al reato ex art 452 quaterdecies di cui, per quanto qui di interesse, al capo 20, il tribunale ha ampiamente evidenziato la consumazione dello stesso attraverso plurime e reiterate condotte, svolte in un contesto organizzato di uomini e mezzi dedicati alle medesime operazioni dirette alla non corretta gestione, e, piuttosto, al traffico illecito dei rifiuti, ingenti, prodotti; operazioni tradottesi in una organizzazione funzionale ad una vera e propria sequela di illegali condotte di trasporto, stoccaggio e smaltimento, quasi inevitabilmente scaturente dalla criminale quanto fraudolenta gestione dei depuratori, in funzione di chiari quanto evidenti e dolosamente perseguiti vantaggi patrimoniali, realizzati anche attraverso risparmi di spesa. Cosicchè, la tesi difensiva appare destituita totalmente di fondamento, non solo nel merito della analisi dei capi relativi al predetto reato, invero meramente rivalutativa dei dati disponibili e come tale inammissibile in questa sede, ma anche sul piano giuridico, laddove nessun dato impone, nel quadro dell’ammesso concorso tra associazione per delinquere e delitto ex art. 452 quaterdecies c.p., che tra i reati fine del primo non possano essere contemplati quest’ultima fattispecie né reati ad essa correlati, come invece sostenuto dalla difesa in maniera del tutto sconnessa dal dato normativo e immotivata. Del resto, la predetta tesi è smentita anche dall’art. 452 octies c.p. pure citato nel predetto capo 1) di incolpazione, che stabilisce un aggravante “quando l'associazione di cui all'articolo 416 è diretta, in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo” Ancora, al comma 2, “quando l'associazione di cui all'articolo 416 bis è finalizzata a commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo ovvero all'acquisizione della gestione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in materia ambientale, le pene previste dal medesimo articolo 416 bis sono aumentate”. Mentre al comma 3, “le pene di cui ai commi primo e secondo sono aumentate da un terzo alla metà se dell'associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale”.
In questo quadro di analisi, si impone, a questo punto, anche l’esame del primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente altresì deduce il vizio di violazione di legge in relazione al reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. di cui al capo 20, con censure che oltre a rivalutare il merito senza rappresentare vizi “manifesti”, mirano a frammentare, in modo non consentito, le complessive condotte dei capi e nel contempo a escluderle dal novero della fattispecie in esame in maniera apodittica e sconnessa dal quadro giurisprudenziale di riferimento che, come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, individua la fattispecie in esame in presenza di una pluralità di operazioni in continuità temporale e relative ad una o più delle diverse fasi in cui si concretizza ordinariamente la gestione dei rifiuti (Sez. 3, n. 4503 del 16/12/2005 (dep. 03/02/2006 ) Rv. 233292 – 01) Cosicchè, quanto al capo 20, la tesi per cui in assenza di un effettivo conferimento di rifiuti il reputato traffico sarebbe solo simulato e non vi sarebbe offensività, non tiene conto della reale ricostruzione accusatoria, che, da una parte, non si limita solo alla citata simulazione bensì alla evidenziazione di come i rifiuti falsamente rappresentati come conferiti presso l’impianto “Bottini di Caraffa” erano smaltiti in realtà altrove illecitamente, dall’altra, descrive l’avvenuto effettivo e illecito smaltimento nell’impianto di altri rifiuti, siccome non coinvogliati nella linea di trattamento dei liquidi bensì scaricati direttamente nei letti finali di essiccazione dell’impianto “superando”, in maniera non consentita, tutti i precedenti e doverosi processi di depurazione; dall’altra ancora, rappresenta un’altra forma di smaltimento, operata mediante plurime operazioni relative a rifiuti liquidi apparentemente lavorati presso l’impianto e in realtà direttamente scaricati presso il punto di uscita del depuratore nel torrente Usito, affluente del fiume Corace sfociante nel mar Ionio, in assenza di ogni parametro di legalità, con buona pace, evidentemente, dell’ecosistema marino. Quanto al capo 21, per cui secondo la difesa sarebbe irrilevante ai fini del traffico la effettuazione di trasporti solo simulati, e la realizzazione di scarichi di liquami, ed inoltre le società del ricorrente sarebbero state comunque autorizzate alla movimentazione di rifiuti, va rilevato che quest’ultimo rilievo è evidentemente inconferente, in presenza di operazioni in concreto illecite, mentre va altresì osservato che l’ipotesi accusatoria viene sminuita dalla difesa nonostante la chiarezza della stessa, che si articola non già in un inutile quanto irrazionale operazione di finto conferimento di rifiuti presso un sito di gestione degli stessi, bensì in una ben più ragionata e criminale operazione di fittizi conferimenti di rifiuti esitati da processi di depurazione, funzionale allo smaltimento altrove e illecito dei medesimi, così da renderli in sostanza non tracciabili.
Infine, non può omettersi di rilevare come le ricostruzioni qui contestate appaiono oltre che coerenti anche in linea con l’indirizzo di legittimità per cui, in materia di reati ambientali, ai fini dell'integrazione del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, di cui all'art. 452-quaterdecies cod. pen., è sufficiente che anche una sola delle fasi di gestione dei rifiuti avvenga in forma organizzata, in quanto la norma incriminatrice indica in forma alternativa le varie condotte che, nell'ambito del ciclo di gestione, possono assumere rilievo penale (in applicazione del principio, è stata ritenuta integrata la fattispecie in esame nel caso di sistematica illecita miscelazione di rifiuti sanitari infetti prodotti a bordo di navi con quelli solidi urbani, ascrivibile al titolare di un'agenzia marittima che si occupava di predisporre i documenti relativi agli arrivi e alle partenze delle navi ONG operanti per il soccorso di migranti) (Sez. 3, n. 43710 del 23/05/2019 Rv. 276937 – 01).
Tale principio sconfessa anche la tesi per cui l’abusività richiesta per il reato presupporrebbe una gestione totalmente difforme da quanto autorizzato; affermazione peraltro puramente apodittica e priva di fondamenti normativi, alla stessa stregua dell’altra notazione critica difensiva, secondo la quale anche in caso di assenza di autorizzazione il reato potrebbe non sussistere ove la carenza abbia una rilevanza solo formale e non sia causalmente connessa con altri elementi tipici del reato. Ciò perché invece, l’assenza di autorizzazione, se richiesta per attività di gestione di rifiuti, è dato di estremo rilievo penale.
2. Riguardo al secondo motivo, con esso si rappresenta il vizio di violazione di legge in relazione al reato ex art. 356 c.p. di cui ai capi 13 e 14. Mancherebbero gli elementi costitutivi della fattispecie connotata da frode laddove invece il tribunale avrebbe solo evidenziato il doloso inadempimento anche trascurando le doglianze difensive in punto di assenza di frode. Al più la frode potrebbe rinvenirsi per i capi 4 e 11 che ove comunque “resistenti” alle critiche imporrebbero l’annullamento della ordinanza in rapporto alla rivalutazione della adeguatezza e proporzionalità della misura. Poiché poi si contesta la fase esecutiva gli eccessivi ribassi rilevati in fase di aggiudicazione degli appalti esorbiterebbero dall’area di operatività delle incolpazioni. Esso è inammissibile, siccome innanzitutto apodittico e generico, atteso che non spiega le ragioni della assenza della frode e non si confronta con le articolate motivazioni del tribunale né peraltro è ammissibile il mero rinvio a non specificate doglianze difensive, che non sarebbero state considerate. Invero, i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l'atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). Inoltre quale principio generale è stabilito che in tema di ricorso per cassazione, la censura di omessa valutazione da parte del giudice dei motivi articolati con l'atto di gravame onera il ricorrente della necessità di specificare il contenuto dell'impugnazione e la decisività del motivo negletto al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 3 - , n. 8065 del 21/09/2018 (dep. 25/02/2019 ) Rv. 275853 - 02
Quanto poi al quadro giuridico di riferimento, per il reato ex art. 356 c.p., va precisato preliminarmente che ai fini della configurabilità del delitto di frode nelle pubbliche forniture, non è sufficiente il semplice inadempimento doloso del contratto, richiedendo la norma incriminatrice una condotta qualificabile in termini di malafede contrattuale, consistente nel realizzare un espediente malizioso o ingannevole, idoneo a far apparire l'esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti. (Sez. 6 - , n. 25372 del 17/05/2023 Rv. 284883 – 01). inoltre, il termine "fornitura" si riferisce sia alle cose che alle opere, e quindi anche al "facere" costituito dalle prestazioni di materiali e attività tecniche e lavorative di un'impresa, volte ad assicurare il soddisfacimento delle finalità sottese al servizio pubblico (Sez. 6 - n. 28130 del 18/09/2020 Rv. 279721 – 02).
Ebbene, le varie ipotesi ricondotte alla predetta fattispecie appaiono conformi alla citata impostazione di legittimità, avendo il tribunale coerentemente evidenziato, mediante le cospicue ed estremamente significative risultanze della ampie e complete attività di indagine, a partire dalle intercettazioni valorizzate, la realizzazione di condotte volte a dissimulare maliziosamente e dolosamente la cattiva gestione e funzionamento dell’impianto di Falconara, e per questa via la pessima attività di depurazione, la effettuazione di ampi risparmi di spesa e quindi il raggiungimento di profitti, e la correlata illecita attività in materia di rifiuti o inquinamento, come emergente dalla complessiva lettura della ordinanza. Non secondaria è la condotta volta ad addebitare al Comune di pertinenza somme non dovute, siccome fraudolentemente ricondotte ad attività di manutenzione a fronte della prevista spesa invece, a carico dell’impresa, di anomalie di funzionamento. In tale quadro, non altera nè incide negativamente sul coerente costrutto motivazionale l’affermazione difensiva per cui, poiché si contesta la fase esecutiva, gli eccessivi ribassi rilevati in fase di aggiudicazione degli appalti esorbiterebbero dall’area di operatività delle incolpazioni. Laddove si tratta, peraltro, di significativi rilievi dimostrativi della condotta fraudolenta e del relativo elemento psicologico.
3. Riguardo al terzo motivo, si deduce il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 452 bis c.p. in ordine all’inquinamento ambientale. Il tribunale avrebbe confermato la ricostruzione del delitto in forma omissiva impropria, ed inoltre avrebbe solo richiamato l’astratta compatibilità della fattispecie con il dolo eventuale – che si scontrerebbe con gli elementi costitutivi del delitto ex art. 452 bis c.p. - affermando in maniera apodittica che l’indagato avrebbe posto coscientemente in essere le condotte inquinanti. Il tribunale poi avrebbe selezionato un elemento esterno alla fattispecie, la serialità dei comportamenti, che peraltro sarebbe solo “tangente” rispetto ai profili di evento e danno rilevanti per il delitto. Si contesta poi che il tribunale abbia affermato il deterioramento dell’ambiente sulla mera scorta della temporanea inutilizzabilità della risorsa naturale sebbene il deterioramento sia connotato da una condizione di squilibrio strutturale connesso al decadimento dello stato o della qualità delle matrici o degli ecosistemi. Inoltre facendo leva sui limiti della fase il tribunale, in maniera che si contesta, avrebbe trascurato di sviluppare un giudizio di gravità indiziaria su tutti gli elementi costitutivi del reato con particolare riferimento al tema della misurazione dell’inquinamento essendosi assunta la sufficienza della mera osservazione.
Anche il terzo motivo è inammissibile. Si premette che il delitto di inquinamento ambientale, di cui all'art. 452-bis cod. pen., è reato di danno, integrato da un evento di danneggiamento, cagionato in forma alternativa e che, nel caso del "deterioramento", consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce l'oggetto in misura tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne, anche parzialmente, l'uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, un'attività non agevole, mentre, nel caso della "compromissione", consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l'uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare. (Sez. 3 - n. 17400 del 24/01/2023 Rv. 284557 - 01 ). Il delitto di inquinamento ambientale di cui all'art. 452-bis cod. pen. costituisce altresì un reato a dolo generico, per la cui punibilità è richiesta la volontà di "abusare" del titolo amministrativo di cui si ha la disponibilità, con la consapevolezza di poter determinare un inquinamento ambientale, essendo punibile, pertanto, anche a titolo di dolo eventuale. (Sez. 3 - , n. 26007 del 05/04/2019 Rv. 276015 – 02). Si è altresì precisato che la condotta "abusiva" di inquinamento ambientale, idonea ad integrare il delitto di cui all'art. 452-bis cod. pen. (disposizione introdotta dalla legge 22 maggio 2015, n. 68), comprende non soltanto quella svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime o comunque non commisurate alla tipologia di attività richiesta, ma anche quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali - ancorchè non strettamente pertinenti al settore ambientale - ovvero di prescrizioni amministrative. (Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018 Rv. 273565 – 01). Quanto poi alle condotte di "deterioramento" o "compromissione" del bene, esse non richiedono per la verifica l'espletamento di specifici accertamenti tecnici. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto immune da censure il provvedimento di conferma del sequestro di impianti idraulici utilizzati per prelievi idrici da un lago, che aveva escluso la necessità di un accertamento tecnico, avendo dato atto dell'elemento oggettivo costituito dal rilevante abbassamento delle acque del lago). (Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018 Rv. 273566 – 01). Peraltro, ai fini della configurabilità del reato di inquinamento ambientale, di cui all'art. 452-bis cod. pen., non è richiesta una tendenziale irreversibilità del danno; ne consegue che le condotte poste in essere successivamente all'iniziale deterioramento o compromissione del bene non costituiscono un "post factum" non punibile, ma integrano invece singoli atti di un'unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione, sino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili, o comportano una delle conseguenze tipiche previste dal successivo reato di disastro ambientale di cui all'art. 452-quater dello stesso codice. (Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017 Rv. 269490 – 01).
Tanto premesso, la censura appare innanzitutto generica, operando indistintamente per qualsiasi ipotesi di cui all’art. 452 bis c.p. e quindi omettendo qualsiasi minimo dovere di specificità, da espletarsi nei confronti di precise e puntuali ipotesi di incolpazione, con riferimento ai passaggi motivazionali di interesse.
In tale quadro, è sufficiente altresì rilevare la argomentata motivazione, comunque, dei giudici, adeguatamente fondata sui dati investigativi, dimostrativi della evidente alterazione delle matrici ambientali conseguenti alla condotte criminose contestate, quanto agli sversamenti o smaltimenti non consentiti, nonché perfettamente in linea con gli indirizzi di legittimità suesposti, che non richiedono accertamenti tecnici specifici, presuppongono il dolo generico anche compatibile con il dolo eventuale, ben coniugabile con condotte in cui, i dati investigativi, rivelano la piena consapevolezza da parte dei vari agenti delle azioni realizzate e alteranti l’equilibrio dell’ambiente. Peraltro, tale prospettiva fattuale e giuridica appare ancor più correttamente operante in una fase cautelare in cui, come pure evidenziato dal tribunale, in tema di misure cautelari personali, la nozione di 'gravi indizi di colpevolezza” di cui all'art. 273 cod. proc. pen., non si atteggia allo stesso modo del termine “indizi” inteso quale elemento di prova, idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza. Pertanto, ai fini dell'adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell'indagato, in ordine ai reati addebitatigli, e gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall'art. 192, comma secondo, cod. proc. pen., come si desume dall'art. 273, comma primo bis, cod. proc. pen., che richiama i commi terzo e quarto dell'art. 192 cod. proc. pen., ma non il comma secondo dello stesso articolo, che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi, ma anche precisi e concordanti) (cfr. Sez. 4, n. 18589 del 14/02/2013 Rv. 255928 – 01; Sez. 5, n. 36079 del 05/06/2012 Rv. 253511 – 01).
4. Con il quinto motivo si deduce la violazione degli artt. 292 e 125 cod. proc. pen. Si osserva che diversamente da quanto sostenuto dal tribunale la difesa nei motivi nuovi depositati all’udienza avrebbe illustrato i vuoti motivazionali fondanti la violazione dell’art. 292 comma 2 lett. c) cod. proc. pen. con evidenziazione della assenza grafica circa il pericolo di inquinamento probatorio e apparenza di motivazione quanto al pericolo di reiterazione. E il tribunale in tale contesto avrebbe svolto una inammissibile opera di supplenza quanto alla individuazione dei pericula libertatis. Non conforterebbe poi la tesi della sussistenza di una autonoma motivazione sostenuta dal tribunale, l’avvenuta valorizzazione della circostanza della applicazione da parte del Gip di misure diverse rispetto a quelle chieste dal P.M.
Il motivo è inammissibile. A fronte della deduzione del tribunale, per cui sarebbe generica la censura di carenza di autonoma motivazione della ordinanza genetica, per la mancata specificazione delle ragioni di tale tesi in uno con la mancata illustrazione del dato per cui la lamentata analisi, se effettuata, avrebbe condotto ad un risultato diverso, si oppone soltanto l’affermazione, tutta autoreferenziale e generica, per cui tale aspetto sarebbe stato affrontato con motivi nuovi, presentati durante l’udienza di riesame con rinvio di fatto, e indiscriminato, agli stessi. Come tale inammissibile. Infatti, va ribadito, in tema di ricorso per cassazione, la censura di omessa valutazione da parte del giudice dell'appello dei motivi articolati con l'atto di gravame onera il ricorrente della necessità di specificare il contenuto dell'impugnazione e la decisività del motivo negletto al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 3 -, n. 8065 del 21/09/2018 Ud. (dep. 25/02/2019 ) Rv. 275853 – 02). Si tratta di principio di portata generale valevole per ogni tipo di contestazione.
Peraltro e in ogni caso, il tribunale ha illustrato le ragioni da cui si desume lo sviluppo, da parte del Gip, di una autonoma valutazione, evocando una ragionata ricapitolazione, da parte della predetta Autorità, degli elementi emergenti dalle indagini, la rappresentazione di un autonomo percorso logico-giuridico e la sottolineatura anche di profili investigativi non citati della richiesta di misura, cui si è accompagnata, altresì, una chiara analisi critica delle esigenze cautelari, come dimostrato anche dalla disposizione, in molti casi, di misure cautelari diverse rispetto a quelle chieste dal P.M.
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma, il 18 luglio 2024