Inquinamento elettromagnetico e principio di precauzione: dal Tar Sicilia un provvedimento che fa bene alla salute.
di Stefano PALMISANO
Inquinamento elettromagnetico e principio di precauzione: dal Tar Sicilia un provvedimento che fa bene alla salute.
“La priorità e l’assoluta prevalenza in subiecta materia del principio di precauzione (art. 3 ter d. lgs 3 aprile 2006, n. 152) nonché dell’indispensabile presidio del diritto alla salute della comunità di Niscemi, non assoggettabile a misure anche strumentali che la compromettano seriamente fin quando non sia raggiunta la certezza assoluta della non nocività del sistema MUOS.”
Così Tar Sicilia – Sez. I, in un’importantissima ordinanza (9\7\2013, n. 469) resa pochi giorni fa nella spinosa vicenda dell’installazione nel territorio di Niscemi (CL) del sistema di comunicazione satellitare della marina militare USA denominato Muos.
La storia è nota.
Due amministrazioni dello Stato, l’una contro l’altra armate: la Regione Sicilia e il Ministero della difesa.
La prima revoca l’autorizzazione, fornita in precedenza, ai lavori di realizzazione del sistema d’arma su citato, dato che dell’insediamento militare in questione, ed in particolare delle onde elettromagnetiche che dallo stesso si sarebbero certamente propagate, non è certa l’ innocuità in termini di possibili effetti dannosi sull’ambiente e sulla salute pubblica.
Il Ministero impugna innanzi all’Organo di giustizia amministrativa isolano il predetto provvedimento regionale di revoca, chiedendone anche, in via cautelare, la sospensione dell’efficacia.
Il Tar, pronunciandosi su quest’ultima istanza del ricorrente, afferma perentoriamente il nodale principio giuridico riportato in apertura; fondamentale anche in forza della sua possibile “vis espansiva” ad un serie di ulteriori specifici contesti riconducibili al più generale ambito della tutela della salute pubblica da possibili fonti di rischio massivo.
Su queste basi, naturalmente, i giudici amministrativi rigettano l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento gravato proposta dal Ministero.
Il difficile mosaico della tutela legale dell’ambiente e della salute pubblica dal rischio inquinamento elettromagnetico, quindi, si arricchisce di un nuovo importante tassello.
E’ il caso di rammentare qui solo alcuni tra i passaggi più significativi, compiuti negli ultimi anni, della complessa realizzazione (per via, ahimè, ancora solo giudiziaria e non anche legislativa) di questo apparato legal-difensivo, spesso non proprio agevolata, per ricorrere ad una pietosa litote, da vari ambienti che, di solito, presentano macroscopici conflitti d’interesse; com’è successo, peraltro, in passato in altre analoghe vicende implicanti la conoscenza di nuove, temibili, fonti di rischio per l’ambiente e per la salute pubblica e la relativa difesa di questi ultimi: dal fumo di sigarette all’amianto, dal benzene al cvm.
In ordine cronologico, ci si riferisce, anzitutto, ad un arresto della S. C. del 2008.
Investita di un ricorso avverso una sentenza della Corte d’appello di Bologna che aveva condannato un soggetto per il reato di lesioni colpose da onde elettromagnetiche derivanti da un elettrodotto Enel, la Cassazione riepilogava in questi termini il percorso motivazionale della pronuncia impugnata: “La sentenza ritiene esistente e provato il nesso di causalità tra la condotta (omissiva e commissiva) del Balli richiamando rilevazioni statistiche, le conclusioni di studi scientifici, riguardanti il rapporto tra cefalea ed esposizione a campi magnetici, la accertata remissione delle cefalee all'atto dell'allontanamento dalla zona prossima all'elettrodotto, l'alta probabilità della causalità testimoniata dal dato statistico relativo ad undici osservazioni sul campione di 15 esaminati fra gli abitanti in prossimità dell'elettrodotto.”
Proseguivano, poi, i supremi giudici scandagliando anche la questione dell’elemento psicologico: “La sentenza ritiene accertata la esistenza dell'elemento soggettivo necessario al perfezionamento della ipotesi criminosa. La sentenza che costituisce nel suo percorso giustificativo, unico compendio motivazionale con quella di primo grado, per un verso da' conto della inosservanza delle regole circa le distanze degli elettrodotti dalle case abitate e per altro non può ricevere censura per aver accertato una colpa anche generica consistita nel progettare e gestire l'elettrodotto con danno della salute degli abitanti delle case poste in prossimità dei tralicci e della linea, danno la cui rilevanza penale mai sarebbe stata rimossa dal rispetto di norme regolamentari minime inidonee a elidere il diritto costituzionale alla salute e la tutela penale della integrità fisica dei cittadini.”
La valutazione della Corte di legittimità era secca: “La sentenza impugna ha fatto attenta applicazione, pur nella sua necessaria brevità motivazionale, dell'insegnamento di SU 30328/2002.” (la c.d. “sentenza Franzese”, ndr).
La conclusione non poteva esser diversa: “Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.” (Cass, IV Sez. pen., n. 33285 del 11/08/2008).
Il secondo elemento che mette conto evidenziare in questo “cronaca” è costituito dalle conclusioni della perizia del dott. Andrea Micheli, dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, depositata nel novembre 2010 alla fine di un lunghissimo incidente probatorio effettuato nel procedimento penale ancora pendente innanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma per le presunte morti e malattie causate dalle onde elettromagnetiche emesse da Radio Vaticana.
Per l’elaborato scientifico in questione, “lo studio MARCONI suggerisce che vi sia stata una associazione importante, coerente e significativa, tra esposizione residenziale alle strutture di Radio Vaticana ed eccesso di rischio di malattia per leucemia e linfomi nei bambini, e che le strutture di MariTele, in modo limitato e additivo, abbiano plausibilmente contribuito all'incremento di quel rischio. [….] Lo studio MARCONI suggerisce che l'esposizione di lungo periodo (oltre 10 anni) alle antenne di Radio Vaticana sia stata associata ad un eccesso di mortalità per leucemia…”
Infine, è dell’ottobre del 2012 l’ultimo, fondamentale, elemento di questa rassegna.
Si tratta di una sentenza della Cassazione civile – Sezione lavoro cui era stata sottoposta, una pronuncia della Corte d’appello di Brescia (la n. 614 del 10 dicembre 2009) che aveva condannato l’Inail in un giudizio relativo ad una richiesta di indennità per malattia professionale formulata vanamente allo stesso istituto assistenziale da un dirigente d’azienda ammalatosi di neurinoma del ganglio di Gasser, un tumore benigno che colpisce i nervi cranici, in particolare il nervo acustico, anche a causa di una lunga esposizione alle onde elettromagnetiche di un telefono cordless e di un telefono cellulare che il ricorrente usava sul posto di lavoro per varie ore al giorno.
Nella motivazione del provvedimento della Corte territoriale, si poteva leggere il seguente, illuminante, passaggio: “Un ruolo quindi, almeno concausale, delle radiofrequenze nella genesi della neoplasia che ha patito il sig. Marcolin è ‘probabile’ (probabilità qualificata).”
Orbene, il S. C., sullo specifico punto, ha statuito che “neppure è dato rilevare il preteso e denunciato vizio di mancanza di consequenzialità logica e di motivazione in ordine alle conclusioni della probabilità qualificata di un ruolo almeno concausale delle radiofrequenze nella genesi della neoplasia per cui è causa, posto che tale giudizio, come diffusamente esposto nello storico di lite, non discende dalla mera indicazione delle conclusioni (evidentemente difformi) a cui era pervenuta la ricordata review della The International Commission on Non-lonizing Radiation Protection, ma, piuttosto, dai riscontri di altri studi a carattere epidemiologico svolti al riguardo.” (Cass. civ. Sez. lavoro, 12/10/2012, n. 17438)
Su queste basi, pertanto, la Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Inail e confermato la sentenza di condanna della Corte d’appello.
Questo “il mosaico” giurisprudenziale cui si faceva cenno, che, con l’ordinanza del Tar Sicilia sopra esaminata, si arricchisce anche di un altro qualificante tassello amministrativo e, quindi, tocca ormai tutte le branche del diritto.
Un mosaico la cui costruzione deve necessariamente tener conto di un altro, se possibile ancor più faticoso e, spesso, sabotato, “collage”: quello della progressione delle acquisizioni scientifiche nella materia delle possibili conseguenze sull’ambiente e sulla salute umana delle onde elettromagnetiche.
E’ un rapporto delicato, scivolosissimo, quello che gli uomini e le donne di giustizia devono instaurare con quelli di scienza (perché alla fine di questo si tratta, sostanzialmente: di un rapporto tra persone afferenti a campi scientifici differenti) in queste questioni nodali per la tutela di beni giuridici primari come quelli che ci occupano.
Da un lato i primi non devono certamente arrogarsi il potere di “fare scienza” nei loro provvedimenti giudiziari, che non sia quella giuridica, e, laddove il loro decidere comporti la soluzione di questioni tecnico – scientifiche, dovranno necessariamente ricorrere all’ausilio di consulenti e periti detentori di quel sapere scientifico necessario a risolvere la specifica questione oggetto del giudizio.
D’altro canto, essi devono, comunque, dotarsi di strumenti culturali e, stricto sensu, scientifici tali da consentire loro di padroneggiare, per non dire di non rimanere in balia di, i loro periti e, soprattutto, i consulenti tecnici di parte; specie quando questi ultimi buttino sul piatto della bilancia il peso soverchiante dei loro titoli accademici.
In pratica, i giudicanti dovranno mettersi nella condizione di garantire che la nota formula del giudice come “peritus peritorum” non rimanga una vuota clausola di stile.
In questo senso, un esempio significativo viene proprio dalla su citata sentenza della Corte d’appello di Brescia che, nella valutazione dell’attendibilità di due opposti studi scientifici addotti dalle parti sulla questione di fatto a base del processo (l’accertamento del nesso causale tra la massiccia esposizione del lavoratore alle onde elettromagnetiche e l’induzione del neurinoma del ganglio di Gasser), ha avuto il grande merito di riconoscere e statuire un primo, necessario seppur insufficiente, canone ermeneutico: “Inoltre, a differenza dello studio della Iarc, co-finanziato dalle ditte produttrici di telefoni cellulari, gli studi citati dal dott. Di Stefano (ctu, ndr) sono indipendenti.” (cit.)
Questo innovativo, per non dire rivoluzionario, riferimento all’indipendenza dello studio scientifico come criterio d’interpretazione dell’attendibilità dello stesso, ha trovato, infine, il più autorevole dei sigilli di fondatezza anche nella sentenza, pure citata, con cui la Cassazione ha confermato la pronuncia della Corte territoriale: “L'ulteriore rilievo circa la maggiore attendibilità proprio di tali studi, stante la loro posizione di indipendenza, ossia per non essere stati cofinanziati, a differenza di altri, anche dalle stesse ditte produttrici di cellulari, costituisce ulteriore e non illogico fondamento delle conclusioni accolte.” (cit.)
Un grande medico e uomo di scienza del secolo scorso, Giulio Antonio Maccacaro, padre nobile della categoria di “prevenzione primaria”, intesa come rimozione delle possibili cause ambientali di malattia come unica forma di reale tutela della salute pubblica nella c.d. “società del rischio”, aveva coniato l’icastica locuzione: “trasferire l’onere della prova dalle persone alle cose”.
Con ciò egli voleva affermare il principio che non dovessero essere le comunità che temevano ragionevolmente che dall’esposizione di se stesse e\o del loro territorio ad una data fonte di rischio potessero derivare danni per la loro salute o per l’ambiente in cui vivevano a dover provare scientificamente l’effettività e l’intensità del pericolo. Dovevano, invece, essere, secondo la teoria di Maccacaro, i produttori o i gestori della potenziale fonte di rischio a dover provare scientificamente l’innocuità della stessa e, pertanto, l’infondatezza dei timori delle collettività esposte.
Quando un Tribunale amministrativo regionale della Repubblica, in una vicenda, peraltro, estremamente delicata ed emblematica, statuisce “la priorità e l’assoluta prevalenza in subiecta materia del principio di precauzione (art. 3 ter d. lgs 3 aprile 2006, n. 152) nonché dell’indispensabile presidio del diritto alla salute della comunità di Niscemi, non assoggettabile a misure anche strumentali che la compromettano seriamente fin quando non sia raggiunta la certezza assoluta della non nocività del sistema MUOS”, non fa altro, meritevolmente, che “trasferire l’onere della prova dalle persone alle cose.”
E’ una buona notizia per la salute pubblica.
Ma, soprattutto, è la doverosa, ma non per questo meno apprezzabile, conclusione giuridica di un Tribunale di una Repubblica che, nella sua Carta costituzionale, “tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”.
Fasano, 24\7\2013
Stefano Palmisano