Consiglio di Stato, V, 23 gennaio 2004, n. 189
EDILIZIA Sospensione lavori
Il Comune non può sospendere i lavori o adottare altre misure repressive di interventi non soggetti a previo controllo autorizzatorio edilizio, adducendo a motivo la violazione della normativa a tutela del paesaggio (asserita mancanza di autorizzazione paesaggistica).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Consiglio di
Stato in
sede giurisdizionale, Sezione Quinta
ha
pronunciato la seguente
DECISIONE
sul
ricorso in appello proposto dalla signora Mariassunta ZAGO, residente in
Vittorio Veneto, difesa dagli avvocati Franco Zambelli e Luigi Manzi e
domiciliata presso il secondo in Roma, via Federico Confalonieri 5;
contro
il
comune di PONTE DI PIAVE, costituitosi in giudizio in persona del sindaco Gianni
Marin; difeso dagli avvocati Luigi Garofalo e Guido Francesco Romanelli e
domiciliato presso il secondo in Roma, via Cosseria 5;
per
l’annullamento
della
sentenza 11 maggio 1999 n. 579, notificata l’11 giugno 1999, con la quale il
tribunale amministrativo regionale per il Veneto, seconda sezione, ha respinto
il ricorso contro l’ordinanza del sindaco di Ponte di Piave 15 giugno 1998 n.
14, prot. 6072, contenente ordine di sospensione dei lavori di scavo.
Visto
il ricorso in appello, notificato il 3 e depositato il 14 settembre 1999;
visto
il controricorso del comune di Ponte di Piave, depositato l’8 ottobre 1999, e
l’ulteriore memoria difensiva depositata il 31 ottobre 2003;
visti
gli atti tutti della causa;
relatore,
all’udienza dell’11 novembre 2003, il consigliere Raffaele Carboni, e uditi
altresì gli avvocati Luigi Di Mattia, in sostituzione dell’avvocato Manzi, e
Romanelli;
ritenuto
in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
La
signora Zago è affittuaria di un fondo rustico sito in Ponte di Piave, censito
in catasto al foglio 31, mappali 2 e 29, all’interno degli argini del fiume
Piave. La precedente conduttrice del fondo, volendo sostituire una coltivazione
di mais con vigneto in parte del terreno, aveva chiesto al magistrato alle
acque, nucleo operativo di Treviso del provveditorato alle opere pubbliche
(organo periferico del ministero dei lavori pubblici, ora ministero delle
infrastrutture, avente funzioni di autorità idraulica) l’autorizzazione ad
eseguire i necessari lavori di preparazione del terreno, consistenti nella
sostituzione del sottofondo ghiaioso con terra di diversa consistenza; e
quell’ufficio le aveva rilasciato l’autorizzazione con atto 28 maggio 1998
n. 1115 della seconda sezione, contenente svariate prescrizioni esecutive e
limitazioni. L’autorizzazione era poi stata volturata alla signora Zago, la
quale, subentrata nella conduzione del fondo, cominciò i lavori.
Il
sindaco di Ponte di Piave con l’atto indicato in epigrafe ha ordinato la
sospensione dei lavori, con la motivazione che la signora Zago vi aveva dato
inizio senza autorizzazione paesaggistico-ambientale o autorizzazione edilizia e
contravvenendo a una decisione del tribunale amministrativo regionale.
Quest’ultima asserzione si riferisce al fatto che la precedente titolare
dell’autorizzazione aveva impugnato l’autorizzazione medesima nella parte in
cui faceva salve le autorizzazioni ambientali ed edilizie di competenza di altre
autorità; il giudizio si era concluso con una sentenza d’inammissibilità per
carenza d’interesse, stante il carattere non lesivo della clausola.
La
signora Zago con ricorso al tribunale amministrativo regionale per il Veneto
notificato il 26 giugno 1998 ha impugnato l’ordinanza del sindaco deducendo
motivi di censura che si possono riassumere come segue.
1)
La motivazione dell’atto era perplessa, non potendosi comprendere se veniva
contestata la mancanza di autorizzazione paesaggistica o di autorizzazione
edilizia, e inoltre mancava dell’indicazione delle norme di legge applicate.
2)
Il richiamo al provvedimento del giudice amministrativo non era conferente, la
necessità di autorizzazione paesaggistico-ambientale era esclusa, per i lavori
del tipo in questione, dall’articolo 82 del decreto del presidente della
repubblica 24 luglio 1977 n. 616 e dall’articolo 7 della legge 29 giugno 1939
n. 1497, e neppure occorreva l’autorizzazione edilizia, che per i movimenti di
terra nell’esercizio dell’agricoltura è esclusa dall’articolo 76, comma
3, della legge regionale veneta sull’urbanistica (legge regionale n. 61 del
1985). Se, poi, il generico richiamo alla legge 8 giugno 1990 n. 142, contenuto
nel provvedimento, doveva intendersi riferito al potere d’ordinanza di cui
all’articolo 38, esso pure non era pertinente, mancando i presupposti previsti
da quella disposizione di legge per l’emanazione di ordinanze contingibili e
urgenti.
3)
Incompetenza del sindaco, perché l’atto era di competenza del funzionario
preposto all’ufficio per l’urbanistica.
4)
Mancava il parere della commissione edilizia comunale.
Il
tribunale amministrativo regionale con la sentenza indicata in epigrafe ha
respinto il ricorso, stabilendo che per le escavazioni di materiali litoidi
nelle zone golenali che siano anche sottoposte a vincolo paesaggistico occorrono
le autorizzazioni, tra loro autonome, di due autorità diverse, idraulica e
ambientale, e che il potere sanzionatorio in materia ambientale deriva dagli
articoli 7 e 15 della legge n. 1437 del 1939. Ha giudicato infondata, altresì,
la censura di carenza di motivazione e i motivi terzo e quarto.
Appella
la signora Zago, riproponendo con ampie argomentazioni i motivi del ricorso di
primo grado.
Il
comune nel controricorso critica l’opportunità e la convenienza della
riconversione agraria in questione da mais a vigneto, e sostiene poi che il
sindaco ha un potere di repressione in ordine ai lavori mancanti delle
autorizzazioni di competenza di altre autorità, come quelle preposte alla
tutela dell’ambiente.
DIRITTO
Il
Collegio, entrando subito nel cuore della questione, premette che, delle tre
materie della tutela del paesaggio e dell’ambiente naturale, del governo delle
acque e della disciplina urbanistico-edilizia del territorio comunale, solo la
terza compete istituzionalmente al comune. Nella specie la ricorrente è munita
di autorizzazione ai lavori rilasciata dall’autorità idraulica. Quanto alla
tutela del paesaggio, lo stesso comune riconosce, nelle sue difese, che la
competenza al rilascio delle autorizzazioni appartiene alla soprintendenza
(organo periferico dell’amministrazione statale dell’ambiente); e perciò la
questione, se i lavori intrapresi dalla signora Zago necessitino di nulla-osta
paesaggistico oppure ricadano nell’esenzione prevista dall’articolo 82 del
decreto del presidente della repubblica 24 luglio 1977 n. 616, dev’essere
risolta, evidentemente, dalla stessa soprintendenza. Infine, neppure il comune
– che pure nell’appello sindaca le scelte imprenditoriali dell’appellante,
se sia meglio il vigneto o il seminativo - sostiene che per sostituire una
coltura con un’altra occorra una concessione edilizia; e anche la sentenza
impugnata, la cui motivazione poggia sulla necessità di un’autorizzazione
“ambientale”, implicitamente lo esclude.
Le
osservazioni che precedono sono sufficienti ad accogliere l’appello, per la
fondatezza del primo motivo del ricorso di primo grado, riproposto: il comune
avrebbe infatti potuto ordinare la sospensione dei lavori (e poi far seguire il
provvedimento definitivo di demolizione o riduzione in pristino) solo sulla
premessa, esplicita o implicita, che i lavori necessitassero di una concessione
edilizia, e non già affermando confusamente che non c’era nessuna «autorizzazione
paesaggistico-ambientale o autorizzazione edilizia». Quanto al fatto che il
comune possa adottare provvedimenti repressivi anche per la mancanza di
autorizzazioni di altra autorità, sia la sentenza sia le difese del comune
celano un equivoco. Vero è che il comune può intervenire per la mancanza di
un’autorizzazione, per esempio, paesaggistica o idraulica, sempreché però si
tratti di un’opera di trasformazione edilizia o urbanistica del territorio
comunale, necessitante di concessione o autorizzazione edilizia, e realizzata in
assenza di quelle altre, distinte e preliminari autorizzazioni.
In
conclusione, l’appello è fondato e va accolto. Le spese di giudizio seguono
la soccombenza e si liquidano in € 4.000, di cui 1.500 per il giudizio di
primo grado e 2.500 per il grado d’appello.
Per
questi motivi
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta,
accoglie
l’appello indicato in epigrafe e per l’effetto, in riforma della sentenza
impugnata, annulla il provvedimento 15 giugno 1998 n. 14 prot. 6072 del sindaco
di Ponte di Piave.
Spese
compensate.
Ordina
al comune di Ponte di piave di dare esecuzione alla presente decisione.
Così
deciso in Roma l’11 novembre 2003 dal collegio costituito dai signori:
Emidio
Frascione
presidente
Raffaele
Carboni
componente, estensore
Paolo
Buonvino
componente
Claudio
Marchitiello
componente
Aniello Cerreto componente