TAR Lombardia (MI) Sez. II n. 2353 del 7 agosto 2024   
Urbanistica.Caratteristiche della ristrutturazione edilizia

Nonostante l’ampia formulazione delle disposizioni di settore, si fuoriesce dall’ambito della ristrutturazione edilizia e si rientra in quello della nuova costruzione quando fra il precedente edificio e quello da realizzare al suo posto non vi sia alcuna continuità, producendo il nuovo intervento un rinnovo del carico urbanistico che non presenta più alcuna correlazione con l’edificazione precedente

Pubblicato il 07/08/2024

N. 02353/2024 REG.PROV.COLL.

N. 01702/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1702 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Wanda Mastrojanni e Carlo Mastrojanni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonello Mandarano, Paola Cozzi, Elena Maria Ferradini, Alessandra Montagnani Amendolea, Anna Maria Pavin, Maria Giulia Schiavelli e Salvatore Smaldone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso gli Uffici dell’avvocatura comunale in Milano, Via della Guastalla, n. 6;

nei confronti

-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Alessandra Bazzani e Giulio Politeo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Bazzani in Milano, Via Visconti di Modrone, n. 12;

per l'annullamento

per quanto riguarda il ricorso introduttivo

del silenzio serbato dal Comune di Milano sulle diffide aventi ad oggetto la SCIA alternativa al permesso di costruire n. -OMISSIS- presentata dalla controinteressata -OMISSIS-per pretesa “ristrutturazione edilizia” di un fabbricato ad uso deposito e vari annessi pertinenziali ad uso depositi e tettoie, tutti costituiti dal solo piano terra, e tutti già esistenti e già demoliti in Milano in una corte interna con accesso dalla via -OMISSIS-, per la realizzazione di una nuova palazzina residenziale moderna a due piani fuori terra oltre seminterrato;

per quanto riguarda i motivi aggiunti

del sopravvenuto provvedimento del Comune di Milano prot. -OMISSIS-

denominato “Conclusione del procedimento amministrativo ai sensi degli articoli 7 e 8 della legge 241/1990 inerenti l’intervento edilizio sito in via -OMISSIS-, atti -OMISSIS- del 05/08/2022, -OMISSIS-, avviata in data 08/09/2023 con atti -OMISSIS-”, con il quale l’Amministrazione comunale comunica “la conformità edilizia ed urbanistica del progetto di cui alla SCIA in esame, con conseguente conclusione del procedimento amministrativo avviato in data 8 settembre 2023 con atti -OMISSIS-”;

del provvedimento denominato “Istruttoria tecnica” -OMISSIS- datata 10 ottobre 2023 allegato al

provvedimento di cui sopra.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milano e di -OMISSIS- s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2024 il dott. Stefano Celeste Cozzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I ricorrenti sono l’Amministratore di un super condominio composto da circa duecento appartamenti sito in Milano alle vie -OMISSIS- e -OMISSIS-, nonché alcuni proprietari di appartamenti facenti parte dello stesso condominio.

Con l’atto introduttivo del presente giudizio, tali soggetti hanno chiesto l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Milano sulle loro istanze del 13 febbraio 2023 (inoltrata dai condomini) e del 28 marzo 2023 (inoltrata dall’Amministratore) aventi ad oggetto la richiesta di intervento per inibire i lavori di cui alla SCIA presentata in data 5 agosto 2020 dalla società -OMISSIS-Questa SCIA è stata presentata per la formazione di quattro nuove unità immobiliari costruite su due piani fuori terra ed un piano seminterrato ad uso cantinato, in sostituzione di un fabbricato ad uso artigianale-deposito situato all’interno del cortile del super condominio. Oltre a proporre domanda di accertamento dell’illegittimità del silenzio, i ricorrenti hanno chiesto che venisse accertata la fondatezza della loro pretesa. E’ stata infine proposta domanda risarcitoria.

Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, il Comune di Milano e la società -OMISSIS- s.r.l.

Con ordinanza n. 865 del 19 settembre 2023, la Sezione ha respinto la domanda cautelare proposta avverso il silenzio.

Successivamente alla proposizione del ricorso sul silenzio, il Comune di Milano ha emesso il provvedimento del 17 ottobre 2023, con il quale sono state respinte le richieste dei ricorrenti formulate con le suddette istanze.

Questo provvedimento è stato impugnato mediante la proposizione di motivi aggiunti.

La Sezione, con sentenza n. 2708 del 20 novembre 2023, ha dichiarato l’improcedibilità dell’azione sul silenzio. Per la trattazione delle restanti domande il processo è proseguito con il rito ordinario.

Nel corso del giudizio le parti hanno depositato memorie insistendo nelle loro conclusioni.

La causa è stata infine trattenuta in decisione in esito alla pubblica udienza del 4 giugno 2024.

Come anticipato, la vertenza in esame riguarda la SCIA presentata dalla società -OMISSIS-in data 5 agosto 2020 per la realizzazione di quattro nuove unità immobiliari costruite su due piani fuori terra ed un piano seminterrato ad uso cantinato, in sostituzione di un fabbricato ad uso artigianale-deposito situato all’interno del cortile di un super condominio.

Poiché con la sentenza n. 2708 del 20 novembre 2023 è stata decisa la domanda relativa al silenzio, proposta con il ricorso introduttivo, rimangono da esaminare in questa sede le domande proposte con i motivi aggiunti rivolti contro il provvedimento del 17 ottobre 2023 con il quale sono state respinte le istanze di inibitoria della SCIA del 5 agosto 2020.

E’ necessario in primo luogo esaminare le eccezioni preliminari sollevate dalla controinteressata.

Quest’ultima eccepisce innanzitutto che i motivi aggiunti sarebbero inammissibili attesa la loro discontinuità rispetto al ricorso introduttivo (diretto contro il silenzio serbato dall’Amministrazione sulle istanze di inibitoria della suddetta SCIA), peraltro già dichiarato improcedibile con sentenza n. 2708 del 20 novembre 2023.

Questa eccezione è del tutto infondata in quanto: a) l’art. 117, quinto comma, cod. proc. amm. prevede espressamente che il provvedimento sopravvenuto che dà risposta ad una istanza formulata dal ricorrente, emesso mentre è pendente il giudizio volto ad accertare l’illegittimità del silenzio fino a quel momento serbato dall’amministrazione su tale istanza, può essere impugnato mediante la proposizione di motivi aggiunti; b) l’art. 24 cod proc. amm. stabilisce a sua volta altrettanto espressamente che la procura rilasciata per agire e contraddire davanti al giudice amministrativo si intende conferita anche per proporre motivi aggiunti.

Con altra eccezione la controinteressata deduce il difetto di legittimazione dell’amministratore del condominio a proporre giudizio di impugnazione contro l’atto 17 ottobre 2023, e ciò in quanto nessuna deliberazione condominiale (neppure quella approvata in data 27 febbraio 2023) gli avrebbe conferito tale potere.

Ritiene il Collegio che questa eccezione sia infondata per le ragioni di seguito esposte.

Secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale ribadito di recente anche dalla Sezione, <<L'amministratore del condominio è legittimato, senza necessità di autorizzazione assembleare, a proporre giudizio ex art. 1131 c.c. laddove l'azione avviata ricada nell'ambito delle sue competenze tra le quali, a norma dell'art. 1130 c.c. n. 4, rientra anche il compimento di atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 15 novembre 2023, n. 2659. Si veda anche Cassazione civile, sez. II, 10 gennaio 2023, n. 342; T.A.R. Napoli, sez. IV, 04/10/2022, n. 6138; T.A.R. Brescia, sez. II, 09/05/2022, n. 462; Cons. Stato, Sez. IV, 14.01.2016. n. 81).

Ciò precisato si deve ora rilevare che, come verrà illustrato nel prosieguo, l’intervento di cui è causa può risultare pregiudizievole per il godimento delle parti comuni del super condominio amministrato dalla società ricorrente; si deve pertanto ritenere che quest’ultima sia legittimata alla proposizione del presente ricorso, e ciò nonostante la delibera assembleare del 27 febbraio 2023 non le attribuisca espressamente il potere di proporre azione giurisdizionale.

La controinteressata sostiene inoltre che anche i sigg.ri -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS- sarebbero privi di legittimazione attiva in quanto non avrebbero dimostrato di essere proprietari di unità immobiliari poste in prossimità dell’area ove è in corso di realizzazione l’intervento avversato.

A questo proposito si osserva che, dalla deliberazione condominiale del 27 febbraio 2023 (doc. 2 dei ricorrenti), si evince che i sigg.ri -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS- hanno la qualità di condomini del super condominio sito in Milano alle vie -OMISSIS- e -OMISSIS-. Deve pertanto ritenersi, sino a prova contraria, che tali soggetti siano proprietari di unità abitative collocate all’interno di tale super condominio il quale, a sua volta, non è contestato essere posto in adiacenza all’aera presso la quale si sta realizzando l’intervento in questa sede avversato.

Si deve pertanto altresì ritenere che, in applicazione del criterio della vicinitas, i medesimi soggetti, in quanto proprietari esclusivi di beni immobili collocati in prossimità dell’intervento oggetto del presente giudizio, siano legittimati a proporre ricorso.

Va inoltre osservato che, secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, il singolo condomino, che intenda tutelare il proprio diritto di comproprietario "pro quota" dei beni comuni, ha legittimazione concorrente e aggiuntiva rispetto a quella dell'amministratore nei giudizi in cui questi abbia già assunto legittimamente la difesa (cfr. Cassazione civile sez. II, 14 giugno 2023, n. 16934). La legittimazione dei sigg.ri -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS- deriva quindi anche dal loro diritto pro quota sui beni condominiali, diritto che, come detto e come subito verrà chiarito, potrebbe risultare pregiudicato dall’intervento di cui si discute.

Non hanno invece dimostrato la loro qualità di proprietari i sigg.ri -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS- i cui nominativi non risultano dalla tabella delle quote millesimali riportata nella delibera del 27 febbraio 2023. Per questi soggetti va quindi dichiarato il difetto di legittimazione attiva.

Con un’ultima eccezione la ricorrente deduce infine che i singoli condomini sarebbero privi di interesse ad impugnare in quanto non avrebbero dimostrato di subire un reale pregiudizio dall’intervento avversato, non essendo peraltro neppure certo che i loro appartamenti siano posti sul lato del condominio che confina con l’area di proprietà della controinteressata.

Anche questa eccezione non merita condivisione in quanto non è contestato che l’intervento di cui si discute inciderà notevolmente sull’utilizzo di alcune delle parti comuni (ad esempio, gli androni condominiali oggi poco utilizzati dalle automobili, fungeranno in futuro da collegamento fra via pubblica e autorimesse). Questo elemento porta a ritenere che l’intervento contestato può arrecare pregiudizio agli interessi dei suindicati condomini per i quali, pertanto, va affermata la sussistenza dell’interesse a ricorrere.

Prima di proseguire, il Collegio intende precisare che la sussistenza dell’interesse a ricorrere comporta la sussistenza dell’interesse a dedurre qualsiasi censura che possa portare a paralizzare nella sua completezza l’intervento edilizio avversato, anche se riguardante aspetti che, in sé considerati, non incidono in maniera significativa sull’interesse dei ricorrenti. Sono pertanto da respingere anche le eccezioni di difetto di interesse che la controinteressata ha sollevato in relazione ad alcuni dei singoli motivi dedotti dalle controparti (ad esempio quello concernente la violazione delle norme in materia di altezze).

Ciò stabilito, si può ora passare all’esame del merito.

Con il primo motivo dei motivi aggiunti, viene dedotta la violazione dell’art 21 delle norme di attuazione del Piano delle Regole del Comune di Milano in quanto l’edificio che la controinteressata intende realizzare avrebbe altezza superiore rispetto a quella dell’edificio che si intende sostituire.

Questa censura deve essere esaminata congiuntamente con quella contenuta nel quinto motivo dei motivi aggiunti, con la quale i ricorrenti sostengono che la superficie legittima dell’immobile preesistente ammonterebbe complessivamente a mq 349,14, e che l’immobile che la controinteressata intende realizzare (sfruttando appunto la volumetria preesistente) avrebbe superficie residenziale a questa superiore, pari a mq 592. Ritengono pertanto gli stessi ricorrenti che tale intervento non potrebbe essere assentito, e ciò anche considerando che parte della superficie legittima dell’edificio da sostituire neppure sarebbe stata adibita a permanenza di persone.

Ritiene il Collegio che queste censure siano fondate per le ragioni di seguito esposte.

Come parzialmente anticipato, con la SCIA del 5 agosto 2020, la controinteressata ha dichiarato di voler realizzare un intervento di ristrutturazione edilizia consistente nella demolizione di un fabbricato destinato a laboratorio e ricostruzione, con la stessa superficie lorda di pavimento, di un edificio residenziale. Dalla documentazione tecnica depositata in giudizio si evince che, secondo la controinteressata, la superficie lorda di pavimento legittima dello stato fatto ammonta a mq. 593,33, mentre quella dell’immobile che si intende realizzare sarà pari a mq 592 (cfr. Relazione tecnica dettagliata allegata alla SCIA-doc 21 di parte ricorrente).

Questo Giudice deve innanzitutto osservare che, come correttamente evidenzia parte ricorrente, parte della superficie dello stato di fatto non risulta giustificata da alcun titolo edilizio.

In proposito si rileva che, dalla TAV 5 allegata alla SCIA, emerge che l’immobile che si intende sostituire risulta suddiviso in diverse porzioni, e precisamente: una porzione centrale destinata a laboratorio (denominata A) risalente almeno all’anno 1940, per la quale non viene contestata dai ricorrenti la regolarità edilizia; alcune porzioni realizzate successivamente (denominate B1, B2 e B3) che costituiscono ampliamento della porzione A, anch’esse destinate a laboratorio, le quali, secondo il Comune e la controinteressata, sarebbero state assentite con licenza edilizia rilasciata in data 11 settembre 1958; alcune porzioni costituite da un ulteriore ampliamento del laboratorio, da un deposito chiuso e da una tettoria chiusa (denominate rispettivamente E1, E2 e E3), oggetto di condono rilasciato con provvedimento del 18 febbraio 2003; una porzione destinata a piccolo deposito (denominata C); una porzione destinata a mensa (denominata D).

Per quest’ultima porzione avente superficie di mq 69,12, né l’Amministrazione né la controinteressata hanno indicato il titolo edilizio che ne avrebbe assentito la realizzazione: le parti si limitano invero ad affermare che la sua esistenza è dichiarata nella domanda di condono accolta con provvedimento del 18 febbraio 2003 e che, quindi, l’Amministrazione avrebbe dovuto emettere un provvedimento sanzionatorio qualora l’avesse ritenuta abusiva.

Il Collegio deve però osservare che il condono del 18 febbraio 2003 ha assentito, non il locale mensa, ma esclusivamente le porzioni denominate E1, E2 e E3 e che il principale modo per dimostrare l’effettiva consistenza della volumetria legittima di un edificio è appunto, ai sensi dell’art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, la produzione del titolo edilizio che ne ha assentito la realizzazione, non assumendo alcun rilievo al riguardo l’omesso esercizio del potere sanzionatorio da parte del comune.

Solo per le opere realizzate in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio e per quelle per le quali sussista un principio di prova del titolo abilitativo, il citato art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che lo stato legittimo possa essere provato con le altre modalità ivi indicate.

Tuttavia, le parti resistenti non hanno dimostrato la sussistenza dei presupposti necessari per dare applicazione a questa previsione. Invero, nessun documento depositato in giudizio costituisce principio di prova della sussistenza di un titolo che abbia assentito la realizzazione della mensa. Inoltre, il materiale fotografico depositato dalla controinteressata in data 1 dicembre 2023 – che, secondo quest’ultima, proverebbe che un locale sopraelevato, poi adibito a locale mensa, sarebbe stato realizzato prima dell’anno 1944 – è costituito da fotografie aree scattate in lontananza e non è per ciò in grado rappresentare chiaramente l’elemento di cui la parte vorrebbe dimostrare l’esistenza. A queste considerazioni, comunque decisive, va poi aggiunto che già l’art. 1 del regolamento edilizio del Comune di Milano, in vigore dal 1921, esigeva la licenza edilizia ("nulla osta") per le nuove costruzioni in tutto il territorio comunale (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 17 maggio 2018, n. 1297); ne consegue che la presenza di un locale sopraelevato nell’anno 1944 sarebbe circostanza irrilevante ai fini che qui interessano.

Le parti resistenti non hanno quindi dimostrato lo stato legittimo del locale destinato a mensa; pertanto, si deve escludere che la sua superficie possa essere considerata quale superficie lorda di pavimento sfruttabile ai fini della realizzazione dell’intervento di cui si discute.

Per tutte queste ragioni, si deve condividere l’argomentazione dei ricorrenti secondo cui l’edificio che la controinteressata intende costruire esprime una superficie lorda di pavimento superiore a quella della superficie legittima dell’edificio che si intende sostituire. E tutto ciò a prescindere: a) da ogni considerazione circa la legittimità della superficie riferibile alle porzioni B1, B2 e B3, posto che l’unico documento rilevante per dimostrane la regolarità edilizia sembra essere costituito dalla licenza dell’11 settembre 1958 che fa però generico riferimento alla realizzazione di un “laboratorio ad ampliamento di capannone preesistente”; b) da ogni considerazione circa la legittimità della superficie riferibile alla porzione C posto che la controinteressata, per provarne la regolarità edilizia, ha depositato una scheda catastale risalente all’anno 1940 (doc. 25) che ne dimostrerebbe già a quell’epoca l’esistenza, senza considerare tuttavia che, come detto, nel Comune di Milano, l’obbligo di munirsi di licenza edilizia risale perlomeno all’anno 1921.

Si deve pertanto ribadire la fondatezza del quinto motivo dei motivi aggiunti.

Per quanto concerne la problematica riguardante le altezze, va rilevato che, come correttamente sostengono i ricorrenti, la controinteressata non ha affatto dimostrato il rispetto della norma contenuta nell’art. 21.2 lett. b) delle norme di attuazione del Piano delle Regole del Comune di Milano la quale stabilisce che, ove l’edificazione avvenga – come nel caso di specie – in tutto o in parte all’interno di cortili, la stessa debba essere realizzata con altezza inferiore o pari a quella

dell’edificio preesistente.

A questo proposito va innanzitutto osservato che – poiché, per le ragioni anzidette, il locale mensa deve ritenersi abusivo – questo locale non può essere considerato rilevante ai fini della determinazione dell’altezza dell’edificio che la controinteressata intende sostituire. Inoltre, né il Comune né la controinteressata hanno dimostrato che, a prescindere dal locale mensa, l’altezza del predetto immobile sia perlomeno pari a quella dell’immobile da realizzare. L’unico documento depositato in giudizio da cui si potrebbero ricavare in maniera oggettiva le altezze degli edifici da sostituire è il documento 12 del Comune di Milano. Da questo documento, secondo l’Amministrazione, si ricaverebbe che l’altezza dell’edificio preesistente era, nel punto più elevato, pari a metri 6,50. Tale dato, tuttavia, è comunque inferiore all’altezza dell’edificio da costruire, pari a metri 7,30.

Né si può ritenere che l’altezza dell’edificio preesistente si possa dimostrare mediante mere presunzioni posto che l’assenso di un intervento edilizio presuppone una dimostrazione compiuta del rispetto dei limiti sanciti dallo strumento urbanistico: non assumono quindi rilievo le argomentazioni del Comune, il quale sostiene che le altezze indicate nel documento 12 sarebbero altezze di gronda e che, quindi, al colmo l’edificio da sostituire avrebbe raggiunto l’altezza di metri 7,30, né quelle prospettate dalla controinteressata secondo cui il raggiungimento di tale altezza sarebbe dimostrata dalle ombre rilevabili dalle foto aree di cui si è detto sopra.

Per queste ragioni va ribadita anche la fondatezza del primo motivo dei motivi aggiunti.

Ritiene il Collegio che sia a questo punto opportuno passare all’esame del quarto motivo dei motivi aggiunti con il quale i ricorrenti sostengono che l’intervento di cui si discute non potrebbe essere considerato alla stregua di intervento di ristrutturazione, ma dovrebbe essere ascritto alla categoria della nuova costruzione. Da questa premessa gli interessati fanno derivare due decisive conseguenze ai fini della valutazione della legittimità del provvedimento impugnato: l’impossibilità di sfruttare la volumetria dell’edificio preesistente al fine di realizzare il nuovo edificio e la necessità di munirsi di permesso di costruire in luogo della SCIA.

Ritiene il Collegio che anche queste censure siano fondate per le ragioni di seguito esposte.

L’art. 10 del decreto legge n. 76 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 120 del 2020 ha modificato il terzo e il quarto periodo dell’art. 3, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001 stabilendo che <<nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche […]. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza>>.

Come si vede queste norme hanno specificato che rientrano nell’ambito concettuale della ristrutturazione edilizia anche quegli interventi che comportano la realizzazione di un edificio diverso, rispetto a quello demolito, per sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. Va peraltro osservato che anche la legislazione previgente dava della ristrutturazione una definizione molto ampia posto che l’art. 3, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, nella formulazione antecedente alla novella del 2020, poneva quale unico limite, per poter considerare un intervento di demolizione e ricostruzione alla stregua di un intervento di ristrutturazione edilizia, quello del rispetto della precedente volumetria (in tal senso disponeva il terzo periodo della citata lett. d, derogato, per gli interventi su immobili soggetti a vincoli paesaggistici, dall’ultimo periodo che, per questo specifico caso, imponeva anche il rispetto della sagoma).

Ciò precisato va ora osservato che, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, nonostante l’ampia formulazione delle suindicate norme, si fuoriesce dall’ambito della ristrutturazione edilizia e si rientra in quello della nuova costruzione quando fra il precedente edificio e quello da realizzare al suo posto non vi sia alcuna continuità, producendo il nuovo intervento un rinnovo del carico urbanistico che non presenta più alcuna correlazione con l’edificazione precedente (cfr. Cassazione penale, sez. III, 10 gennaio 2023, n. 91669; Consiglio di Stato, sez. IV, 22 giugno 2021, n. 4791; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 18 maggio 2020, n. 841).

Nel caso di specie, come ripetuto, l’intervento in questa sede avversato consiste nella demolizione di un vecchio fabbricato adibito a laboratorio-deposito e nella realizzazione in suo luogo di una palazzina residenziale avente due piani fuori terra ed un piano seminterrato.

Ritiene il Collegio che il nuovo edificio, sia per le sue caratteristiche strutturali che per la funzione cui è adibito la quale introduce un rinnovato carico urbanistico del tutto diverso da quello prodotto dal precedente edificio, non possa che essere considerato alla stregua di una nuova costruzione.

Si deve pertanto condividere l’argomentazione dei ricorrenti secondo cui, per procedere alla sua realizzazione, la controinteressata avrebbe dovuto munirsi di permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, primo comma, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001, richiamato dall’art. 33, primo comma, lett. e ), della legge regionale n. 12 del 2005, e dimostrare che l’area sulla quale esso insiste esprime la necessaria volumetria.

Per queste ragioni deve essere ribadita la fondatezza della censura in esame.

La domanda di annullamento deve essere pertanto accolta, con assorbimento delle censure non esaminate le quali prospettano vizi meno radicali rispetto a quelli sopra evidenziati. Conseguentemente va disposto l’annullamento degli atti impugnati con i motivi aggiunti.

Non può essere invece accolta la domanda risarcitoria in quanto proposta in maniera del tutto generica.

Le spese vanno poste a carico delle parti resistenti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, dichiara il difetto di legittimazione attiva dei sigg.ri -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-. Accoglie il ricorso nei limiti e per gli effetti di cui in motivazione.

Condanna le parti resistenti, in egual misura e in solido fra loro, al rimborso delle spese di giudizio in favore di -OMISSIS- e dei sig.ri -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-, che vengono liquidate in complessivi euro 4.000 (quattromila), oltre spese generali e accessori di legge se dovuti, da suddividere in egual misura fra i beneficiari.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS-e il suo rappresentante legale.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati:

Maria Ada Russo, Presidente

Giovanni Zucchini, Consigliere

Stefano Celeste Cozzi, Consigliere, Estensore