Cons. Stato Sez. VI sent.4765 del 22 agosto 2003
Beni Ambientali. sanatoria. parere dell'ente preposto alla tutela del vincolo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto
dalla Vagnola S.p.A., in persona dell’Amministratore ing. Piero Villani e
dalla Madat S.r.l., in persona del legale rappresentante ing. Piero Villani,
rappresentate e difese dagli avv.ti Giuseppe Lavitola, Maria Enrica Cavalli e
Lucio Ghia ed elettivamente domiciliata presso lo studio dei primi due in Roma,
Via Costabella, n. 23.
contro
- il Ministero per i Beni e le
Attività Culturali e il Ministero dei Lavori Pubblici, rappresentati e difesi
dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui Uffici sono per legge
domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
-
il Comune di Roma, rappresentato e difeso dall’avv. Nicola Sabato presso il
quale è elettivamente quale è domiciliato sono per legge domiciliati in Roma, Via
dei Portoghesi, n.domiciliato in Roma, Via Tempio di Giove, n. 21 (Uffici
dell’Avvocatura comunale).
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale
Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II, n. 6 del 4 gennaio 2000.
Visto il
ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti
di costituzione in giudizio dell’Avvocatura Generale dello Stato per il
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti (subentrato nelle funzioni del Ministero dei
Lavori Pubblici) e del Comune di Roma;
Viste le
memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti
tutti della causa;
Alla pubblica
udienza del 27 maggio 2003 relatore il Consigliere Guido Salemi. Uditi l’avv.
Lavatola, l’avv. Cavalli, l’avv. Sabato e, nelle preliminari, l’avvocato
dello Stato Cesaroni.
Ritenuto e
considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O
Con ricorso notificato l’11
novembre 1994, la Madat s.r.l. adiva il Tribnale Amministrativo Regionale del
Lazio, chiedendo l’annullamento del provvedimento, prot. n. 9526, del 25
maggio 1993, con il quale il Ministero dei Beni Cultura ed Ambientali aveva
inteso negare il proprio nulla-osta ai sensi degli artt. 32 e 33 della legge n.
47/1985 in relazione ad una domanda di concessione edilizia in sanatoria e il
successivo provvedimento, prot. n. 7637/IU42, comunicato il 16 settembre 1994,
con il quale, previo riesame della situazione, veniva confermato il contenuto
del primo.
La società ricorrente premetteva di
avere ottenuto in data 22 settembre 1964 una licenza edilizia per la
realizzazione di una villa secondo le disposizioni urbanistiche allora vigenti
ed identificabili nella disciplina detta dal Piano Territoriale Paesistico
dell’Appia Antica che faceva ricadere l’area nella zona D con indice di
edificabilità di 0,25 mc/mq su lotti minimo di mq 5.000.
Nel corso dei lavori l’area di
ubicazione della costruzione fu variata e furono, inoltre, realizzati una
piscina con annessi spogliatoi ed altre opere e, in relazione a ciò, la Madat
presentò domanda di condono edilizio in data 10 marzo 1986, quando l’area
stessa risultava destinata dal P.R.G. (approvata con D.P.R. del 16 dicembre
1965) a zona N, verde pubblico.
Poiché con D.M. 23 febbraio 1988
l’area in questione era stata sottoposta alle disposizioni della legge n. 1089
del 1939, essendo compresa nel perimetro del Parco dell’Appia Antica, durante
l’istruttoria della pratica di condono il Comune di Roma invitò verbalmente
l’interessata a presentare domanda di nulla-osta al Ministero dei beni
Culturali ed Ambientali anche sotto il profilo archeologico.
L’Amministrazione negava il
nulla-osta con i due summenzionati provvvedimenti.
Ciò posto, la ricorrente deduceva
censure di violazione di legge e di eccesso di potere sotto vari profili.
Con sentenza n. 6 del 4 gennaio
2000, la Sezione II del T.A.R. adito respingeva il ricorso.
In relazione al terzo motivo di
censura, il T.A.R. ne ravvisava l’infondatezza, facendo proprio
l’orientamento, espresso dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella
sentenza n. 20 del 22 luglio 1999, secondo cui il rilascio del condono edilizio
era subordinato al parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo di
cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985 anche quando la zona in cui
ricadevano le opere fosse stata vincolata successivamente alla loro esecuzione.
Quanto al secondo motivo di censura,
lo stesso era disatteso, stante la ritenuta sufficienza della motivazione
contenuta nei provvedimenti impugnati, mentre in relazione al terzo motivo, lo
stesso non era esaminato in considerazione della sostanziale rinuncia espressa
al riguardo dalla difesa della ricorrente.
Con atto notificato il 9 febbraio
2001, la Vagnola S.p.A., divenuta nel frattempo proprietaria del bene, a seguito
dell’acquisizione del 100% del capitale della società Madat, ha proposto,
unitamente a quest’ultima società, per quanto possa occorrere, appello per
l’annullamento della summenzionata sentenza.
Resistono al ricorso le
Amministrazioni statali appellate ed il Comune di Roma.
Alla pubblica udienza del 27 maggio
2003, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
D I R I T T O
1. Forma oggetto del ricorso in
appello la sentenza n. 6 del 4 gennaio 2000 con cui il Tribunale Amministrativo
Regionale del Lazio, Sezione II, ha respinto il ricorso proposto dalla società
Madat S.r.l. per l’annullamento del provvedimento, prot. n. 9526, del 25
maggio 1993 e di quello successivo, prot. n. 783/IU42, comunicato il 16
settembre 1994, con i quali il Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali,
Soprintendenza Archeologica di Roma, ha
negato il proprio nulla-osta, ai sensi degli artt. 32 e 33 della legge n.
47/1985, in relazione ad una domanda di concessione edilizia in sanatoria.
2. Con il primo motivo di appello,
si ripropone la censura di violazione dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985.
Ad avviso delle appellanti, non vi
sarebbe bisogno del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo nel
caso di sanatoria di immobile costruito anteriormente all’imposizione del
vincolo e, comunque, nell’ipotesi di intervento della determinazione
vincolistica in un torno di tempo successivo all’entrata in vigore della legge
sul condono.
La censura è infondata.
La questione ha provocato indirizzi
interpretativi non uniformi.
Secondo una prima opzione
ermeneutica l’acquisizione del parere sarebbe obbligatoria anche in ipotesi di
realizzazione delle opere di cui si chiede la sanatoria in epoca anteriore
all’apposizione del vincolo (C.d.S., Sez. 23 marzo 1991, n. 326; 22 dicembre
1994, n. 1574; 3 maggio 1995, n. 696; Sez. VI, 9 ottobre 1997, n. 1461).
Ad avviso di un secondo orientamento
il parere di cui si tratta non sarebbe necessario qualora il vincolo intervenga
dopo l’esecuzione dell’opera (Sez. VI, 30 settembre 1995, n. 1030; 5 marzo
1997, n. 356).
Un terzo ordine di idee, espresso in
sede consultiva (Cons. Stato, Sez. II, 20 maggio 1998, n. 403/98), attribuisce
rilevanza alla data ultima concessa dalla legge per la presentazione della
domanda di sanatoria, di tal che il parere dell’amministrazione preposta alla
tutela del vincolo si renderebbe obbligatorio ogni volta che quest’ultimo,
prescindere dall’ultimazione dell’abuso, sia stato imposto prima della
indicata data.
Il T.A.R. ha seguito la prima delle
tesi esposte, in conformità alle indicazioni fornite nel corso del giudizio
dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (22 luglio 1999, n. 20), alla
stregua dei principi generali in materia amministrativa, tenuto conto della
valenza attribuita dall’ordinamento agli interessi coinvolti
nell’applicazione della norma di cui si tratta.
A siffatte indicazioni, fatte
proprie dal giudice di prime cure, la difesa delle appellanti ha rivolto una
serrata critica che, peraltro, non è meritevole di condivisione,
secondo quanto già esposto da questa Sezione in controversie di
contenuto analogo (cfr., in particolare, le sentenze 21 settembre 1999, n. 1243
e 22 gennaio 2001, n. 181).
Sotto il profilo della lettera della
norma non pare, invero, decisivo, a favore della tesi della irrilevanza dei
vincoli sopravvenuti alla realizzazione dell’opera abusiva, l’uso, nel
tessuto dell’art. 22, dell’espressione “aree sottoposte a vincolo” di
cui all’art. 32, sintomatica, secondo i fautori della seconda delle tre tesi
passate in rassegna, del riferimento ad un fatto accaduto, vale a dire alla già
avvenuta sottoposizione a vincolo, con correlativa volontà del legislatore di
significare che solo a partire da questo momento la qualità dell’area
espressa dal vincolo assume rilevanza ai fini della sanatoria delle opere che su
di essa siano state realizzate.
Al riguardo l’Adunanza plenaria ha
rilevato che il ricorso ai partecipi passati “eseguite” e “sottoposte”,
nell’espressione “opere eseguite su aree sottoposte a vincolo” utilizzata
dal legislatore nel 1° comma dell’articolo, “non rappresenta sicuro
riferimento alla sola ipotesi di opera abusivamente costruita su area già
gravata da vincolo nel momento della sua realizzazione.
Non è infrequente, nella lingua
italiana, l’uso del participio passato con funzione semplicemente
aggettivante; uso che, nella specie, non necessariamente esprime l’esistenza
di una relazione temporale tra le due qualità, rispettivamente, dell’opera e
dell’area.
La circostanza, poi, che, quando ha
inteso considerare anche il vincolo sopravvenuto al compimento dell’opera, il
legislatore lo ha fatto esplicitamente, come nell’art. 32, 4° comma, non
depone per una lettura in senso opposto della norma che tale specificazione sia
priva. Il silenzio mantenuto in proposito, invece, ben può essere significativo
proprio dell’intento di non attribuire alcuna rilevanza al momento in cui il
vincolo risulti imposto.
Non pare, inoltre, decisiva, a
favore della irrilevanza delle sopravvenienze vincolistiche, neanche la
considerazione sistematica basata sul raffronto con l’art. 33, 1° comma, l.
47/85, che prevede l’insanabilità degli abusi commessi in spregio di un
vincolo di inedificabilità assoluta già vigente al momento dell’attività
edificatoria.
Sul punto, l’Adunanza plenaria ha
puntualizzato che “la disposizione non può essere caricata di un significato
che non ha: è difficile, infatti, considerare del tutto inesistente un vincolo
d’inedificabilità totale per il solo fatto che sia sopravvenuto
all’edificazione e ritenere, pertanto, che l’abuso commesso sia senz’altro
sanabile. Un giusto raccordo tra gli articoli in esame comporta che la
fattispecie, siccome non specificamente disciplinata dall’art. 33, ricada
nella previsione di carattere generale contenuta nel 1° comma dell’art. 32.
Viene meno, quindi, l’ipotizzata incongruenza nella disciplina delle due
situazioni, per altro tra loro sostanzialmente diverse, sulla quale
l’argomento considerato si fonda”.
Quanto all’orientamento intermedio
secondo cui acquisirebbe valore decisivo l’entrata in vigore della legge
attributiva di un diritto a condono ovvero la data di presentazione della
relativa domanda, si deve subito opporre che la salvezza delle opere abusive
decretata dalla normativa clemenziale, lungi dal basarsi in via automatica sul
referente temporale, può essere ricavata solo dall’espressa volontà
incarnata dal diritto positivo. Non va, infatti, dimenticato che la specialità
della normativa sul condono edilizio, attesa la sua natura derogatoria ed
eccezionale, ne impone una lettura di stretta interpretazione. Aggiungasi che lo
stesso art. 32, 4° comma, detta una disciplina specifica, più generosa sotto
il profilo della sanabilità, in relazione ai vincoli di cui al 1à comma (paesaggistico-ambientali,
storico-artistici, ecc.) evidentemente annettendo una cogenza assoluta a questi
ultimi anche se intervenuti nelle more della definizione del procedimento.
Le considerazioni che precedono
convincono che, in assenza di deroga da parte dell’art. 32, debba applicarsi
il principio generale secondo cui l’azione amministrativa deve sincronizzarsi
con la normativa vigente al tempo in cui la funzione si esplica (tempus regit
actum).
In definitiva “l’obbligo di
pronuncia da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in
relazione alla esistenza del vincolo in cui deve essere valutata la domanda di
sanatoria, a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo stesso. E
appare, altresì, evidente che tale valutazione corrisponde alla esigenza di
vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati
abusivamente (C.d.S., sez. V, 22 dicembre 1994, n. 1574, cit.).
Quanto alla preoccupazione che
siffatta soluzione esporrebbe il singolo caso, in violazione del principio di
certezza del diritto e di non disparità di trattamento, alla variabile alea dei
tempi di decisione sull’istanza, l’Adunanza plenaria ha osservato “per un
verso, che addurre inconvenienti non è un buon argomento ermeneutico e, per
altro verso, che, ad ogni modo, l’ordinamento appresta idonei strumenti di
sollecitazione e, del caso, di sostituzione dell’amministrazione inerte”.
Alla stregua delle considerazioni
che precedono deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità
dell’art. 32 della l. n. 47/1985 in relazione agli articoli 3 e 97 della
Costituzione.
Parimenti infondata è l’ulteriore
questione di legittimità che è stata proposta in relazione all’art. 25,
comma 2, della Costituzione, non costituendo il ripetuto art. 32 fattispecie
costitutiva di illecito penale.
3. Va, altresì, disatteso il
secondo motivo di appello.
Nel primo provvedimento impugnato,
la Soprintendenza aveva affermato che “Dal punto di vista archeologico non si
è in grado allo stato attuale di determinare gli eventuali danni arrecati al
patrimonio antico all’epoca in cui furono realizzati gli sbancamenti”.
Le appellanti ripropongono la
censura secondo cui tale affermazione starebbe a dimostrare l’assoluta
insussistenza di qualsivoglia ragione ostativa al rilascio della nulla osta e
contestano il giudizio del T.A.R. secondo cui l’affermazione stessa
introdurrebbe il dubbio che gli sbancamenti abbiano provocato danni al
patrimonio archeologico.
Il rilievo critico delle appellanti
non può essere condiviso, essendo incontestato che la zona è posta
nell’ambito del parco dell’Appia Antica, ossia in una zona che è
notoriamente ricca di reperti archeologici.
4. E', infine, infondato il terzo
motivo di appello con cui si ribadisce che in materia di vincolo paesaggistico
la competenza è stata attribuita alle Regioni e, quindi, sottratta al Ministero
dei Beni culturali.
Giova, in proposito, osservare che
la Sezione con decisione n. 241 del 1987 ha avuto modo di occuparsi della natura
del “parere” previsto dalla L. n. 47/1985 sul condono edilizio (l’art. 32
di detta legge subordina la concessione o l’autorizzazione in sanatoria, per
opere eseguite su aree sottoposto a vincoli “al parere favorevole delle
Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso”), chiarendo che esso,
al di là dell’imprecisata terminologia usata, è un atto vincolante, il quale
esprime il consenso o il dissenso di autorità diverse da quelle operanti in
materia urbanistica, la cui individuazione va operata alla stregua delle
disposizioni che, nelle varie materie, indicano l’organo competente al
rilascio di nulla-osta o autorizzazioni.
In tale occasione si è avuto modo
di precisare che – dovendo per le aree soggette a vincolo paesistico trovare
applicazione la disciplina dettata dalla L. 8 agosto 1985 n. 431, la quale,
modificando l’art. 82 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, conferma la delega
alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali per la
protezione delle bellezze naturali “per quanto attiene alla loro
individuazione, alla loro tutela e alle relative sanzioni” l’autorizzazione
ex art. 7 della legge n. 1497 del 1939 rientra nel potere delle Regioni. Si è,
però sottolineato che restano salve le misure di sostituzione in caso di
inerzia e di annullamento in caso di autorizzazione illegittima) la cui adozione
è riservata al Ministro per i beni culturali ed ambientali.
A tale conclusione si è pervenuti
nella considerazione che tali misure sono astrattamente compatibili con la
disciplina particolare del “parere” vincolante inserito nel procedimento di
sanatoria degli abusi edilizi, anche se la norma attribuisce al silenzio
protrattosi per più di 180 giorni dalla domanda il significato di parere
negativo. Ciò in quanto l’intervento del Ministro in via sostitutiva o
repressiva, infatti, può avvenire in concreto prima di 189 giorni dalla
domanda, posto che il termine dato alla regione per provvedere è di soli
sessanta giorni.
In sostanza, il modello prescelto
dal legislatore nazionale con la legge n. 431 del 1985, caratterizzato da un
rapporto di concorrenza fra competenze statali e competenze regionali e
improntato nel suo svolgimento al principio di leale collaborazione, trova
applicazione anche in sede di attuazione della legge sul condono edilizio,
essendo evidente che pure in tale ipotesi deve essere valutata la compatibilità
della res abusiva con le esigenze di salvaguardia del vincolo.
Né potrebbe opporsi che, nella
fattispecie in esame, la Regione aveva espresso parere favorevole, non
modificato, nei termini assegnatigli, dal Ministero dei Beni culturali, perché
ciò non impedisce che il Ministero stesso, ove invitato dall’Amministrazione
comunale, competente al rilascio della concessione edilizia in sanatoria, possa
esprimere la propria valutazione complessiva sia sull’aspetto paesaggistico
che su quello archeologico.
5. In conclusione, l’appello deve
essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata, anche se
integrata nella sua motivazione dalle considerazioni da ultimo svolte.
Sussistono giusti motivi per
disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio
di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello
indicato in epigrafe.
Compensa tra
le parti le spese di giudizio.
Ordina che la
presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso
in Roma, il 27 maggio 2003 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI
-, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Giorgio Giovannini
Presidente
Luigi Maruotti
Consigliere
Carmine Volpe
Consigliere
Giuseppe Minicone
Consigliere
Guido Salemi
Consigliere, relatore