CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE JULIANE KOKOTT presentate il 22 ottobre 2009
Causa C‑378/08 Raffinerie Mediterranee SpA (ERG), Polimeri Europa SpA, Syndial SpA contro Ministero dello Sviluppo Economico e a. e cause riunite C‑379/08 e C‑380/08 Raffinerie Mediterranee SpA (ERG) Polimeri Europa SpA Syndial SpA contro Ministero dello Sviluppo Economico e a.
domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia (Italia]
«Direttiva 2004/35/CE – Sito di interesse nazionale di Priolo – Applicabilità ratione temporis – Responsabilità per la riparazione di danni ambientali – Principio “chi inquina paga” – Misure per l’eliminazione di danni ambientali – Misure supplementari disposte d’autorità – Affidamento di appalti pubblici»
1. Questa frase è attribuita al sapiente greco Archimede. Essa illustra la portata dei principi della leva da lui formulati.
2. Archimede viveva nella città siciliana di Siracusa. Non lontano da questa si trova la Rada di Augusta, una zona da molti anni gravemente inquinata da sostanze nocive. I tentativi di rimediare a tali danni ambientali hanno fornito l’occasione per le presenti domande di pronuncia pregiudiziale (3).
3. Certo, non si tratta qui di trovare un punto d’appoggio per spostare il mondo. Si pone però la questione di quali siano i presupposti della responsabilità per danni ambientali, vale a dire, più precisamente, se possano essere chiamati a rispondere soltanto gli autori del danno oppure anche soggetti possessori di terreni o esercenti un’attività industriale nella zona interessata.
4. Nella causa nazionale all’origine del procedimento C‑378/08 si sostiene infatti che le autorità competenti hanno obbligato imprese operanti nella zona in questione al risanamento di danni ambientali, senza prima verificare e dimostrare l’esistenza di un nesso causale tra il comportamento di tali imprese ed il danno, ovvero l’esistenza di un dolo o di una colpa in capo ad esse.
5. Il giudice del rinvio solleva tale questione segnatamente in riferimento alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 21 aprile 2004, 2004/35/CE, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (4) (in prosieguo: la «direttiva sulla responsabilità ambientale»). Occorre però anzitutto chiarire in che misura tale direttiva assuma rilievo con riguardo a danni che siano stati prevalentemente cagionati prima della sua entrata in vigore.
6. Ulteriori questioni traggono origine dai provvedimenti che hanno imposto misure per la riparazione dei danni. Le autorità competenti avrebbero ampiamente modificato, in un momento successivo, un progetto di bonifica già approvato, senza sentire in proposito le imprese interessate, senza svolgere alcuna istruttoria in merito alle conseguenze di tali modifiche e senza motivare tale modo di procedere. Si chiede pertanto se ciò sia compatibile con la direttiva sulla responsabilità ambientale.
7. Da ultimo viene sollevata una questione in materia di affidamento di appalti pubblici, con cui si chiede in presenza di quali presupposti la pubblica amministrazione possa affidare appalti riguardanti la progettazione e l’esecuzione di interventi di bonifica senza esperire una pubblica procedura di gara.
8. I principi disciplinanti la politica ambientale della Comunità, e in particolare il principio «chi inquina paga», sono fissati all’art. 174 CE nei seguenti termini:
«La politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”.
9. Alla luce delle finalità stabilite al suo art. 1, la direttiva sulla responsabilità ambientale è ispirata al principio «chi inquina paga»:
«La presente direttiva istituisce un quadro per la responsabilità ambientale, basato sul principio “chi inquina paga”, per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale».
«a) al danno ambientale causato da una delle attività professionali elencate nell’allegato III e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno a seguito di una di dette attività;
b) al danno alle specie e agli habitat naturali protetti causato da una delle attività professionali non elencate nell’allegato III e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno a seguito di una di dette attività, in caso di comportamento doloso o colposo dell’operatore».
«La presente direttiva si applica al danno ambientale o alla minaccia imminente di tale danno causati da inquinamento di carattere diffuso unicamente quando sia possibile accertare un nesso causale tra il danno e le attività di singoli operatori».
«qualsiasi persona fisica o giuridica, sia essa pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale oppure, quando la legislazione nazionale lo prevede, a cui è stato delegato un potere economico decisivo sul funzionamento tecnico di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività o la persona che registra o notifica l’attività medesima».
«La presente direttiva non preclude agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, comprese l’individuazione di altre attività da assoggettare agli obblighi di prevenzione e di riparazione previsti dalla presente direttiva e l’individuazione di altri soggetti responsabili».
– al danno causato da un’emissione, un evento o un incidente verificatosi prima della data di cui all’articolo 19, paragrafo 1;
– al danno causato da un’emissione, un evento o un incidente verificatosi dopo la data di cui all’articolo 19, paragrafo 1, se derivante da una specifica attività posta in essere e terminata prima di detta data;
«Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 30 aprile 2007».
17. La domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa C‑378/08 fa inoltre riferimento alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (5), alla direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE (6), che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (7), ed alla direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (8), tutte riguardanti la materia degli appalti pubblici. Tuttavia, si può soprassedere in questa sede alla riproduzione di singole disposizioni di tali direttive.
18. Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale presentata nella causa C‑378/08 si desume la situazione di fatto illustrata qui di seguito.
19. La zona della Rada di Augusta è caratterizzata da fenomeni di inquinamento ambientale che hanno avuto origine, presumibilmente, già in epoche assai lontane, apparentemente non oltre l’immediato dopoguerra. In particolare, il fondale marino in tale zona risulta gravemente contaminato da sostanze nocive.
20. Nel periodo nel corso del quale si è presumibilmente prodotto l’inquinamento, nel sito della Rada di Augusta hanno operato, in parallelo o l’una di seguito all’altra, una pluralità di imprese industriali e petrolifere. Secondo le considerazioni svolte dal giudice del rinvio, ciò può avere la conseguenza di rendere impossibile il concreto accertamento di una responsabilità individuale di singole imprese per l’inquinamento.
21. In una serie di decisioni succedutesi nel tempo, l’amministrazione italiana ha imposto alle imprese attualmente operanti nelle vicinanze della Rada di Augusta l’obbligo di risanare il fondale marino contaminato. Per il caso di inottemperanza alle decisioni adottate, l’amministrazione ha minacciato le imprese interessate che avrebbe fatto eseguire i lavori di bonifica con oneri e costi a loro carico.
22. Le imprese chiamate a effettuare la bonifica esercitano attività che comportano l’utilizzo o la preparazione di sostanze inquinanti per l’ambiente.
23. Secondo le constatazioni del giudice del rinvio, l’amministrazione ha obbligato le imprese operanti nella Rada di Augusta a procedere al risanamento dei danni ambientali esistenti, senza distinguere tra l’inquinamento pregresso e quello attuale e senza accertare in quale misura ciascuna impresa fosse responsabile per il danno cagionato.
24. Le suddette decisioni sono state impugnate da alcune delle imprese interessate. Prima di sottoporre alla Corte le presenti domande di pronuncia pregiudiziale, il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia aveva già dichiarato illegittime, con una serie di sentenze, varie delle decisioni impugnate, tra l’altro a motivo della violazione del principio comunitario «chi inquina paga». Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in veste di giudice d’appello, ha però giudicato legittimo il coinvolgimento delle imprese insediate nella Rada di Augusta, sospendendo pertanto nell’ambito di un procedimento l’esecuzione di una sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia.
25. Nel giudizio amministrativo all’origine del procedimento C‑378/08, varie imprese operanti nella Rada di Augusta contestano una decisione adottata in data 20 dicembre 2007, la quale ha imposto loro l’obbligo di risanamento del fondale marino.
26. La bonifica del fondale marino deve essere effettuata sulla base di un progetto predisposto dalla Società Sviluppo Italia Aree Produttive (in prosieguo: la «Sviluppo Italia»). Tale progetto prevede il dragaggio dei sedimenti contaminati e il loro utilizzo, previo trattamento, ai fini della costruzione di un’isola artificiale in mare. Tale isola artificiale è destinata a servire quale «hub portuale» per navi portacontainer di differenti dimensioni.
27. La Sviluppo Italia è una società costituita dallo Stato e operante sul mercato. L’amministrazione italiana ha conferito alla Sviluppo Italia l’incarico della progettazione e – in caso di inerzia delle imprese interessate – della successiva realizzazione delle misure di risanamento controverse, senza previamente procedere ad una pubblica gara. Secondo la valutazione del giudice nazionale, i lavori affidati sono «di elevatissimo valore economico».
28. Le imprese ricorrenti – oltre alla domanda di annullamento della decisione impugnata – hanno proposto in sede cautelare una domanda di sospensione dell’esecuzione della decisione medesima.
29. Nell’ambito del procedimento cautelare, il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
1) Se il principio «chi inquina paga» (art. 174, ex art. 130 R, comma 2, del Trattato della Comunità Europea) nonché le disposizioni di cui alla direttiva 21 aprile 2004, 2004/35/CE, di cui in narrativa, ostino ad una normativa nazionale che consenta alla Pubblica Amministrazione di imporre ad imprenditori privati – per il solo fatto che essi si trovino attualmente ad esercitare la propria attività in una zona da lungo tempo contaminata o limitrofa a quella storicamente contaminata – l’esecuzione di misure di riparazione a prescindere dallo svolgimento di qualsiasi istruttoria in ordine all’individuazione del responsabile dell’inquinamento.
2) Se il principio «chi inquina paga» (art. 174, ex art. 130 R, comma 2, del Trattato della Comunità Europea) nonché le disposizioni di cui alla direttiva 21 aprile 2004, 2004/35/CE, di cui in narrativa, ostino ad una normativa nazionale che consenta alla Pubblica Amministrazione di attribuire la responsabilità del risarcimento del danno ambientale in forma specifica al soggetto titolare di diritti reali e/o esercente un’attività imprenditoriale nel sito contaminato, senza la necessità di accertare previamente la sussistenza del nesso causale tra la condotta del soggetto e l’evento di contaminazione, in virtù del solo rapporto di «posizione» nel quale egli stesso si trova (cioè essendo egli un operatore la cui attività sia volta all’interno del sito).
3) Se la normativa comunitaria di cui all’art. 174 (ex art. 130 R, comma 2, del Trattato della Comunità Europea) nonché alla direttiva 21 aprile 2004, 2004/35/CE, osti ad una normativa nazionale che, superando il principio «chi inquina paga», consenta alla Pubblica Amministrazione di attribuire la responsabilità del risarcimento del danno ambientale in forma specifica al soggetto titolare di diritti reali e/o d’impresa nel sito contaminato, senza la necessità di accertare previamente la sussistenza, oltre che del nesso causale tra la condotta del soggetto e l’evento di contaminazione, anche del requisito soggettivo del dolo o della colpa.
4) Se i principi comunitari in materia di tutela della concorrenza di cui al Trattato costitutivo della Comunità Europea e le citate direttive n. 2004/18/CE, n. 93/37/CEE, n. 89/665/CEE, ostino ad una normativa nazionale che consenta alla Pubblica Amministrazione di affidare a soggetti privati (Società Sviluppo S.p.A. e Sviluppo Italia Aree Produttive S.p.A.) attività di caratterizzazione, di progettazione ed esecuzione di interventi di bonifica – recte: di realizzazione di opere pubbliche – su aree demaniali in via diretta, senza esperire preliminarmente le necessarie procedure di evidenza pubblica.
30. Tali procedimenti riguardano due misure disposte con decisione in data 16 aprile 2008 ai fini della eliminazione dei danni.
31. Più precisamente, in primo luogo, le imprese ricorrenti sarebbero state obbligate a realizzare un barrieramento fisico delle aree di loro proprietà affacciantisi sulla Rada di Augusta. In secondo luogo, l’autorizzazione all’utilizzo di superfici nella zona di bonifica sarebbe stata subordinata al risanamento dei danni ambientali e alla creazione della detta barriera. Tali condizioni riguarderebbero anche superfici già bonificate o comunque non inquinate.
32. Le imprese ricorrenti sostengono che tali provvedimenti modificano decisioni precedenti e sono stati adottati senza contraddittorio, senza alcuna motivazione e senza che venisse effettuata un’adeguata istruttoria in ordine ai loro effetti.
33. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia sottopone pertanto alla Corte, nell’ambito del procedimento cautelare dinanzi ad esso pendente, le seguenti questioni pregiudiziali:
1) Se la direttiva comunitaria in materia di risarcimento per danno ambientale (direttiva 21 aprile 2004, 2004/35/CE, ed, in specie, l’articolo 7 e l’Allegato II ivi richiamato) osti ad una normativa nazionale che consenta alla Pubblica Amministrazione di imporre, quali «ragionevoli opzioni di riparazione del danno ambientale», interventi sulle matrici ambientali (costituiti, nella specie, dal «confinamento fisico» della falda lungo tutto il fronte mare) diversi ed ulteriori rispetto a quelli prescelti all’esito di una apposita istruttoria in contraddittorio, già approvati, realizzati e in corso di esecuzione.
2) Se la direttiva comunitaria in materia di risarcimento per danno ambientale (direttiva 21 aprile 2004, 2004/35/CE, ed, in specie, l’articolo 7 e l’Allegato II ivi richiamato) osti ad una normativa nazionale che consenta alla Pubblica Amministrazione di imporre, d’Autorità, tali prescrizioni, ossia senza aver valutato le condizioni sitospecifiche, i costi di attuazione in relazione ai benefici ragionevolmente prevedibili, i possibili o probabili danni collaterali ed effetti avversi sulla salute e la sicurezza pubblica, i tempi necessari alla realizzazione.
3) Se, data la specificità della situazione che esiste nel S.I.N. di Priolo, la direttiva comunitaria in materia di risarcimento per danno ambientale (direttiva 21 aprile 2004, 2004/35/CE, ed, in specie, l’articolo 7 e l’Allegato II ivi richiamato) osti ad una normativa nazionale che consenta alla Pubblica Amministrazione di imporre, d’Autorità, tali prescrizioni, quali condizioni per l’autorizzazione all’uso legittimo di aree non direttamente interessate alla bonifica, in quanto già bonificate o comunque non inquinate, comprese nel perimetro del Sito di Interesse Nazionale di Priolo.
34. Alla fase scritta del procedimento hanno preso parte la Polimeri Europa S.p.A. e la Syndial S.p.A. (in prosieguo congiuntamente denominate: la «Polimeri e a.») mediante deposito di una memoria congiunta nella causa C‑378/08, nonché la ENI S.p.A., la Polimeri Europa S.p.A. e la Syndial S.p.A. (in prosieguo congiuntamente denominate: l’«ENI e a.») mediante deposito di una memoria congiunta nelle cause C‑379/08 e C‑380/08, e altresì la ERG Raffinerie Mediterranee S.p.A. (in prosieguo: la «ERG»), tutte in veste di ricorrenti nelle cause principali; sono altresì intervenute con proprie osservazioni la Repubblica italiana e la Commissione delle Comunità europea. Il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica ellenica hanno presentato osservazioni scritte nella causa C‑378/08.
35. All’udienza di trattazione congiunta di tutte le tre cause, svoltasi il 15 settembre 2009, hanno preso parte, in qualità di parti delle cause principali, la Polimeri e a., l’ENI e a., la ERG e la Sviluppo Italia, nonché la Repubblica italiana, la Repubblica ellenica, il Regno dei Paesi Bassi e la Commissione.
36. Dedicherò anzitutto alcune brevi osservazioni generali alle obiezioni sollevate dalla Repubblica italiana contro la ricevibilità delle domande di pronuncia pregiudiziale. In caso di specifiche perplessità riguardanti la ricevibilità di singole questioni, procederò al loro esame nell’ambito della valutazione riservata alle questioni stesse.
37. Il governo italiano sostiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale è principalmente intesa a ottenere una conferma dell’interpretazione delle norme interne operata dal giudice del rinvio in senso difforme da quella del giudice d’appello, e dunque persegue una finalità non prevista dall’art. 234 CE.
38. È certo vero che il procedimento previsto dall’art. 234 CE può avere ad oggetto soltanto l’interpretazione del diritto comunitario oppure la validità del diritto derivato (9). Tuttavia, le presenti domande sono dirette espressamente ad ottenere l’interpretazione di norme comunitarie di diritto primario e secondario. Pertanto, le asserzioni del governo italiano sono prive di qualsiasi fondamento.
39. Alla domanda di pronuncia pregiudiziale non osta neppure la difformità rispetto all’interpretazione del giudice d’appello. Il rinvio pregiudiziale serve infatti a risolvere dubbi riguardanti l’interpretazione del diritto comunitario (10). Eventuali differenze di opinione tra organi giurisdizionali in ordine alle questioni di diritto comunitario costituiscono elementi che depongono a favore dell’autenticità dei dubbi sollevati con la domanda di pronuncia pregiudiziale.
40. Oltre ai rilievi sopra formulati, il governo italiano reputa le questioni sollevate eccessivamente dettagliate e contesta al tempo stesso l’esposizione dei fatti in quanto inesatta e tendenziosa.
41. La questione se determinati quesiti siano eccessivamente dettagliati può assumere rilievo ai fini della ricevibilità di una domanda di pronuncia pregiudiziale soltanto nella misura in cui la Corte non è legittimata, nell’ambito della procedura prevista dall’art. 234 CE, ad applicare norme di diritto comunitario al singolo caso (11). Tuttavia, nella specie, occorre interpretare unicamente disposizioni di diritto comunitario in riferimento alle circostanze del caso specifico. L’applicazione delle norme al singolo caso resta di competenza del giudice nazionale.
42. Nell’ambito del procedimento di rinvio giudiziale, la Corte non è tenuta a verificare l’esattezza delle circostanze riferite dal giudice del rinvio (12). L’accertamento dei fatti è invece riservato ai competenti giudici nazionali.
43. Pertanto, le eccezioni sollevate dalla Repubblica italiana in merito alla ricevibilità delle domande di pronuncia pregiudiziale non meritano accoglimento.
44. Le prime tre questioni nella causa C‑378/08 mirano a chiarire se sia compatibile con il principio «chi inquina paga» sancito dall’art. 174 CE e con la direttiva sulla responsabilità ambientale il fatto di addossare la responsabilità per la riparazione di danni ambientali a determinati soggetti a motivo della loro attività imprenditoriale o della loro qualità di proprietari di terreni, e ciò indipendentemente da un eventuale contributo causale all’evento o dalla sussistenza di un dolo o di una colpa.
45. La domanda di pronuncia pregiudiziale menziona invero l’art. 174 CE, ma tale norma non necessita di un esame separato. Essa si limita a enunciare gli obiettivi generali della Comunità in materia di ambiente, cui il legislatore comunitario deve dare attuazione prima che essi possano spiegare effetti vincolanti per gli Stati membri (13). Pertanto, l’art. 174 CE non costituisce un parametro per valutare l’applicabilità di norme interne in materia di responsabilità.
46. Per contro, non si può escludere che la direttiva sulla responsabilità ambientale osti a norme nazionali in materia di responsabilità. Nell’interpretare tale direttiva assumono rilievo, in particolare, l’art. 174 CE e il principio «chi inquina paga» sancito da questa norma, dal momento che la direttiva suddetta dà attuazione ai principi guida della Comunità in materia di politica ambientale.
47. L’adozione di una disciplina in materia di responsabilità quale quella vigente in Italia, descritta nella domanda di pronuncia pregiudiziale, non risulta né imposta né espressamente vietata dalla direttiva sulla responsabilità ambientale. Vero è piuttosto che, ai sensi dell’art. 16 di tale direttiva, gli Stati membri possono mantenere o adottare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, compresa l’individuazione di ulteriori soggetti responsabili.
48. L’art. 16 della direttiva sulla responsabilità ambientale riprende l’art. 176 CE. In base a tale norma del Trattato, i provvedimenti adottati sulla base dell’art. 175 CE – vale a dire le normative comunitarie in materia puramente giuridico‑ambientale (14), come la direttiva sulla responsabilità ambientale – non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere e di prendere provvedimenti per una protezione rafforzata.
49. Secondo la Corte, una misura nazionale di protezione rafforzata ai sensi dell’art. 176 CE deve perseguire un orientamento di protezione ambientale identico a quello della direttiva che viene in questione (15), ovvero essere a questa conforme (16). Eventuali misure che non soddisfino tali requisiti si pongono in contrasto con la direttiva oppure riguardano questioni da questa non disciplinate.
50. Sarebbe incompatibile con l’efficacia giuridica vincolante del diritto comunitario l’eventualità che gli Stati membri potessero adottare misure contrastanti con la direttiva. La direttiva osta a misure siffatte.
51. Per contro, il richiamo all’art. 176 CE è escluso qualora la misura nazionale riguardi una questione non disciplinata dalla direttiva. La nozione di misure di protezione rafforzata presuppone dal punto di vista logico un raffronto. Costituisce presupposto di eventuali «provvedimenti per una protezione ancora maggiore» il fatto che nel diritto comunitario esista una misura potenzialmente meno incisiva. Qualora una misura siffatta non esista, non può neppure esistere una misura di protezione rafforzata. Poiché però lo Stato membro, in assenza di pertinenti disposizioni comunitarie, esercita unicamente le competenze sue proprie, le disposizioni della Comunità in materia strettamente giuridico‑ambientale non possono in tal caso ostare all’efficacia di normative nazionali. Se e in che misura altre disposizioni comunitarie ostino a eventuali misure nazionali non è materia disciplinata dall’art. 176 CE.
52. Le considerazioni sopra svolte devono aver valore non soltanto per le misure di protezione rafforzata di cui all’art. 176 CE, ma anche per le disposizioni più severe consentite dall’art. 16 della direttiva sulla responsabilità ambientale.
53. Alla luce di quanto sopra esposto, la direttiva sulla responsabilità ambientale può fungere soltanto da termine di raffronto per misure più severe, se ed in quanto essa sia applicabile. Tuttavia, viene posta in dubbio la sua applicabilità alle cause principali tanto ratione temporis quanto ratione materiae.
54. Ai sensi degli artt. 17 e 19, n. 1, della direttiva sulla responsabilità ambientale, questa non si applica al danno causato da un’emissione, un evento o un incidente verificatosi prima del 30 aprile 2007. Del pari, essa non trova applicazione al danno causato da un’emissione, un evento o un incidente verificatosi dopo la data suddetta, se derivante da una specifica attività posta in essere e terminata prima di tale data.
55. Per tale motivo, il governo italiano e quello olandese nonché la Commissione esprimono nelle loro osservazioni dei dubbi quanto all’applicabilità della direttiva ratione temporis. Essi partono dal presupposto che i danni ambientali da risanare si siano tutti prodotti prima del 30 aprile 2007. Ove tale presupposto sia corretto, occorre aderire alla tesi dei governi suddetti.
56. Il governo olandese sottolinea giustamente che la decisione impugnata nella causa principale si basa tra l’altro sulle risultanze di un’indagine che erano state presentate già nell’aprile 2007, ossia prima della data di riferimento. Per il resto, secondo la scarna descrizione dei danni ambientali contenuta nella domanda di pronuncia pregiudiziale, il sito della Rada di Augusta è caratterizzato da fenomeni di inquinamento che hanno avuto origine, presumibilmente, in epoca alquanto risalente (17).
57. Le attività che si suppongono quale causa determinante del danno sembra però che vengano esercitate ancor oggi. Ne desumo che, secondo l’attuale valutazione del giudice del rinvio, i danni ambientali da risanare hanno carattere cumulativo e si sono prodotti in gran parte già prima del 30 aprile 2007, senza però che ciò escluda un ulteriore inquinamento in un momento successivo. Non spetta alla Corte verificare, nell’ambito del procedimento pregiudiziale, se questa sia la realtà dei fatti (18). L’accertamento degli stessi è riservato piuttosto ai competenti giudici nazionali.
58. Il tenore letterale dell’art. 17, primo e secondo trattino, della direttiva sulla responsabilità ambientale, nonché l’economia sistematica della stessa, mostrano come questa, in una simile fattispecie caratterizzata da danni cumulativi, sia applicabile alla parte di danno prodottasi o che rischia di prodursi dopo la data del 30 aprile 2007.
59. Ai sensi dell’art. 17, primo trattino, della direttiva sulla responsabilità ambientale, l’applicazione di quest’ultima è esclusa per quanto riguarda i danni cagionati prima della suddetta data di riferimento (danni pregressi).
60. Inoltre, l’art. 17, secondo trattino, della detta direttiva esclude i danni causati da un’emissione, un evento o un incidente verificatosi dopo la data di riferimento, se derivanti da una specifica attività posta in essere e terminata prima di tale data.
61. Il caso tipico in cui viene applicata questa seconda disposizione è presumibilmente soprattutto quello in cui inquinamenti di vecchia data causino danni nuovi, ad esempio qualora sostanze nocive fuoriescano da una discarica di rifiuti inquinando acque adiacenti. Anche tale forma di diffusione di sostanze dannose può essere considerata quale emissione (19). Nell’ordinamento tedesco, nel settore della responsabilità civile, per designare questo tipo di danno è stata sviluppata la nozione figurata di «propagazione» [«Weiterfressen»] (20).
62. L’art. 17, primo e secondo trattino, della direttiva sulla responsabilità ambientale è inteso ad escludere un’applicazione retroattiva di quest’ultima. Tale finalità è stata perseguita dalla Commissione già durante i lavori preparatori della direttiva (21). Il trentesimo ‘considerando’ di quest’ultima recepisce l’idea, affermando che essa non dovrebbe applicarsi ai danni cagionati prima della scadenza del termine per la sua trasposizione.
63. L’esclusione di un’efficacia retroattiva trova il proprio fondamento nel principio della certezza del diritto, il quale vieta in generale di fissare l’inizio della validità di un atto giuridico comunitario ad una data precedente la pubblicazione di quest’ultimo. A tale principio può derogarsi eccezionalmente soltanto nel caso in cui lo richieda l’obiettivo perseguito e venga tenuto debito conto del legittimo affidamento degli interessati (22). Tuttavia, il legislatore ha esplicitamente mostrato di non voler attribuire alla direttiva sulla responsabilità ambientale una siffatta efficacia retroattiva.
64. D’altra parte, una nuova norma può applicarsi immediatamente agli effetti futuri di situazioni sorte in momento precedente (23). La sfera di applicazione del principio della tutela del legittimo affidamento non può infatti essere estesa fino ad impedire, in generale, che una nuova disciplina si applichi agli effetti futuri di situazioni sorte in precedenza (24).
65. Letto in quest’ottica, l’art. 17, primo trattino, della direttiva sulla responsabilità ambientale qualifica i danni prodottisi prima del 30 aprile 2007 come fatti esauriti, che non possono più ricadere sotto la direttiva stessa.
66. Contrariamente a quanto affermato dal governo greco nella fase scritta del procedimento, tale conclusione vale anche nel caso in cui l’attività all’origine del danno abbia sì avuto origine prima della data di riferimento, ma sia stata proseguita anche successivamente. Tale ipotesi non è invero contemplata dall’art. 17, secondo trattino, della direttiva sulla responsabilità ambientale, in quanto ai sensi di tale disposizione l’attività deve essere stata terminata prima del 30 aprile 2007. Tuttavia, il primo trattino dell’articolo suddetto è idoneo a escludere tali attività dall’ambito di applicazione della direttiva nei limiti in cui esse abbiano avuto luogo prima della data suddetta.
67. Per contro, come giustamente chiarito dalla Commissione, la direttiva sulla responsabilità ambientale deve trovare applicazione nel caso in cui un’attività portata a prosecuzione determini l’insorgenza di danni nuovi. Tale conclusione si impone già in virtù della necessità di dare attuazione all’obbligo, sancito dall’art. 5, di prevenire i danni all’ambiente. Oltre al principio «chi inquina paga», tale disciplina concretizza due ulteriori principi comunitari di diritto dell’ambiente sanciti dall’art. 174, n. 2, CE: il principio dell’azione preventiva e quello della correzione alla fonte dei danni causati all’ambiente.
68. La circostanza che un’attività sia iniziata già prima dell’entrata in vigore della direttiva sulla responsabilità ambientale non può costituire un ostacolo all’obbligo di prevenzione dei danni. Se, ad esempio, un impianto in condizioni di normale esercizio cagiona da lungo tempo danni all’ambiente, la direttiva impone in linea di principio di attivarsi, a partire dal 30 aprile 2007, per prevenirli.
69. Nel presente caso non si può escludere, in particolare, che l’ingiunzione controversa nelle cause C‑379/08 e C‑380/08 di erigere una barriera fisica serva anche alla prevenzione di futuri danni all’ambiente derivanti dalla prosecuzione dell’attività degli impianti. L’idoneità di tale misura a conseguire lo scopo dovrà eventualmente essere accertata dai competenti giudici nazionali.
70. L’attuazione dell’obbligo di prevenzione implica allo stesso tempo l’obbligo di sanare eventuali danni che, sebbene dovessero essere evitati, si siano nondimeno prodotti. Di conseguenza, ai sensi della direttiva sulla responsabilità ambientale, vanno sanati i danni cagionati, a partire dalla data di riferimento, per effetto di attività portate a prosecuzione. Tuttavia, l’art. 8, n. 4, consente di esentare l’operatore dai relativi costi se ed in quanto tali attività da lui realizzate siano conformi alle norme vigenti e/o allo stato delle conoscenze tecnico‑scientifiche.
71. In effetti, in caso di danni cumulativi, potrà essere difficile in pratica distinguere tra danni nuovi e danni pregressi. Tuttavia, il problema della causazione cumulativa del danno è noto ad altri settori dell’ordinamento riguardanti la responsabilità per danni e non è affatto insolubile. Al riguardo, l’art. 9 della direttiva sulla responsabilità ambientale consente agli Stati membri ampi margini di manovra, in quanto chiarisce che la direttiva lascia impregiudicata qualsiasi disposizione del diritto nazionale riguardante l’imputazione dei costi nel caso di pluralità di autori del danno. Tra costoro è possibile ricomprendere anche quegli operatori che, in quanto responsabili di danni pregressi, non ricadono nella sfera di applicazione della direttiva, ma vi rientrano invece ove abbiano cagionato danni nuovi.
72. Resta dunque da chiarire se gli elementi di danno di nuova formazione prodottisi per propagazione di danni pregressi ricadano sotto l’impero della direttiva sulla responsabilità ambientale nel caso in cui venga proseguita l’attività che ne costituisce la causa.
73. Una soluzione affermativa di tale questione potrebbe trovare sostegno nel tenore letterale dell’art. 17, secondo trattino, della direttiva sulla responsabilità ambientale, in quanto l’attività causativa non è terminata, bensì viene proseguita. La continuazione di tale attività e l’aggravarsi di danni pregressi sarebbero indici di una situazione di fatto non ancora esaurita, la quale riceve una nuova disciplina per il futuro. Al tempo stesso si garantirebbe che in avvenire simili danni per propagazione vengano circoscritti conformemente alle prescrizioni della direttiva.
74. Tuttavia, gli effetti della direttiva verrebbero indirettamente estesi ad attività esercitate prima dell’acquisto di efficacia della stessa. Questo è proprio ciò che le disposizioni disciplinanti l’applicazione ratione temporis della direttiva mirano ad evitare.
75. L’obbligo di prevenire i danni all’ambiente non porta ad un diverso risultato. La prevenzione dei danni ambientali nell’esercizio di un’attività presenta una natura totalmente differente rispetto all’impedimento della propagazione dei danni pregressi. Le misure per impedire la propagazione degli effetti dannosi difficilmente possono essere considerate come prevenzione o correzione alla fonte di danni causati all’ambiente. Esse spesso si apparenteranno ad un risanamento dei danni pregressi. Tuttavia, la direttiva sulla responsabilità ambientale non istituisce proprio un simile obbligo a carico dell’operatore. La prevenzione di nuovi danni futuri nell’esercizio di un’attività si ricollega al contrario proprio all’attività stessa. L’esplicito obiettivo della direttiva è che tale attività in futuro non cagioni più danni.
76. Pertanto, la direttiva sulla responsabilità ambientale non si applica ai danni all’ambiente che siano stati causati da attività realizzate prima del 30 aprile 2007. Essa dunque non osta a norme nazionali disciplinanti la riparazione di tali danni.
77. La Commissione formula poi dei dubbi quanto all’applicabilità ratione materiae della direttiva sulla responsabilità ambientale alla fattispecie oggetto dei procedimenti principali. Tali dubbi si fondano sul fatto che, secondo la valutazione del giudice nazionale, potrebbe risultare impossibile accertare le responsabilità individuali a motivo della pluralità di imprese che hanno operato nella Rada di Augusta.
78. Ai sensi del suo art. 4, n. 5, la direttiva sulla responsabilità ambientale si applica al danno ambientale causato da inquinamento a carattere diffuso unicamente quando sia possibile accertare un nesso causale tra il danno stesso e le attività di singoli operatori.
79. Tale disposizione costituisce una delle eccezioni previste all’applicazione della direttiva. Tuttavia, si tratta in realtà più che altro di una precisazione della portata delle regole generali riguardanti l’applicazione della direttiva dettate dall’art. 3, n. 1. Ai sensi di tale disposizione, la direttiva si applica ai danni ambientali causati dall’esercizio di attività professionali. L’art. 4, n. 5, chiarisce che sono compresi anche i danni causati da inquinamento a carattere diffuso. Tale inquinamento non costituisce pertanto, in linea di principio, un ostacolo applicativo fintanto che sia accertabile il necessario nesso causale.
80. L’art. 4, n. 5, della direttiva sulla responsabilità ambientale è fondato sull’idea secondo cui può essere in pratica particolarmente difficile, dinanzi ad inquinamenti a carattere diffuso, fornire la prova di una concreta condotta causativa. Ciò è quanto mostrano gli esempi che si presentavano agli occhi della Commissione all’epoca dei lavori preparatori della normativa: variazioni climatiche indotte dalle emissioni di diossido di carbonio e di altre sostanze, distruzione delle foreste determinata dalle piogge acide e inquinamento dell’aria collegato al traffico (25). Tuttavia, ciò non modifica l’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva.
81. Occorre tuttavia interpretare restrittivamente il presupposto di applicabilità della direttiva sulla responsabilità ambientale stabilito dal suo art. 3, n. 1, secondo cui il danno ambientale di cui trattasi deve essere stato causato da un’attività professionale. Infatti, la direttiva prevede anche l’accertamento delle cause dell’evento dannoso. Ai sensi dell’art. 11, n. 2, spetta all’autorità competente individuare l’operatore che ha causato il danno o la minaccia imminente di danno. Inoltre, gli artt. 5, n. 4, 6, n. 3, e 8, n. 2, secondo comma, consentono l’adozione di particolari misure nel caso in cui l’autore non possa essere individuato. Tali disposizioni, che verranno qui di seguito analizzate più in dettaglio (26), verrebbero svuotate di significato qualora la direttiva non fosse applicabile fintanto che non consti la causa del danno.
82. Pertanto, giustamente la causazione di un danno a motivo dell’esercizio di un’attività professionale costituisce il presupposto primario di un’eventuale responsabilità per danni ambientali ai sensi delle direttiva. Altre disposizioni di quest’ultima possono per contro essere applicabili malgrado che non consti (ancora) che i danni ambientali di cui si discute sono stati causati da un’attività siffatta.
83. Qualora alla fattispecie di cui alle cause principali sia applicabile la direttiva sulla responsabilità ambientale, dalla disciplina da questa dettata in materia di responsabilità per la riparazione di danni ambientali derivano eventuali effetti preclusivi a carico del diritto nazionale alla luce del principio «chi inquina paga».
84. Ai sensi dell’art. 174, n. 2, CE, il principio «chi inquina paga» costituisce un fondamento della politica comunitaria in materia di ambiente. L’art. 1 e il secondo ‘considerando’ della direttiva sulla responsabilità ambientale enunciano in tal senso che la prevenzione e la riparazione dei danni all’ambiente devono ispirarsi a tale principio. Pertanto, quest’ultimo è il principio guida della direttiva.
85. Il termine «Verursacherprinzip» [letteralmente: «principio del soggetto causatore» - NdT], con cui viene designato in tedesco il principio «chi inquina paga», mira a stabilire che colui che ha provocato un inquinamento è responsabile per la sua eliminazione. Altre versioni linguistiche, nelle quali si afferma espressamente che «l’inquinatore è pagatore» («polluter-pays» principle, principe du «polleur-payeur»), evidenziano come il principio «chi inquina paga» sia un principio disciplinante la ripartizione dei costi (27). Non la società, e neppure i terzi, bensì l’inquinatore è il soggetto tenuto a sopportare le spese per eliminare un inquinamento. La conseguenza è che si verifica una internalizzazione dei costi ambientali, vale a dire questi ultimi vengono inglobati nei costi di produzione dell’impresa inquinatrice (28).
86. Ciò costituisce un incitamento per potenziali autori di danni all’ambiente a prevenire gli inquinamenti ambientali (29). Oltre alla funzione intesa all’equa ripartizione dei costi, il principio «chi inquina paga» svolge dunque anche una funzione di stimolo e contribuisce al principio dell’azione preventiva (30).
87. La direttiva sulla responsabilità ambientale dà attuazione al principio «chi inquina paga», in particolare obbligando l’operatore responsabile alla riparazione del danno, ai sensi dell’art. 6, e disponendo, all’art. 8, n. 1, che l’operatore sostiene i costi delle azioni di prevenzione e di riparazione adottate in conformità della direttiva medesima. Ai sensi dell’art. 2, punto 6, l’operatore è colui che sopporta la responsabilità per l’attività che ha cagionato il danno. Egli è il soggetto che, in linea di principio, si trova nella migliore posizione per prevenire danni all’ambiente derivanti dalla sua attività.
88. È possibile che nella pratica emerga il bisogno di ulteriori norme per disciplinare l’ipotesi di danni arrecati a terreni di proprietà di terzi. La direttiva prevede il coinvolgimento di tali proprietari disponendo, all’art. 7, n. 4, che essi vengano sentiti. Da ciò tuttavia non è possibile desumere che il soggetto obbligato alla riparazione del danno possa senz’altro adottare misure riguardanti immobili di proprietà di terzi.
89. Del resto, la direttiva sulla responsabilità ambientale, ai sensi del suo art. 3, n. 1, stabilisce una responsabilità che non riguarda tutti i danni ambientali, e distingue inoltre, nell’ambito di tale responsabilità, tra varie categorie di danni.
90. Sono ricompresi, da un lato, i danni ambientali causati da una delle attività professionali elencate nell’allegato III [art. 3, n. 1, lett. a), della direttiva sulla responsabilità ambientale]. L’allegato III elenca varie attività che, ai sensi di altre disposizioni della normativa comunitaria sull’ambiente, sono connesse con particolari rischi ambientali. Nel presente caso potrebbero ad esempio trovare applicazione il punto 1 e/o il punto 7 del detto allegato, riguardanti il funzionamento di impianti soggetti ad autorizzazione conformemente alla direttiva 96/61 (31), ovvero la fabbricazione, l’uso, lo stoccaggio, il trattamento, l’interramento, il rilascio nell’ambiente e il trasporto sul sito di determinate sostanze pericolose.
91. Oltre a ciò, l’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva sulla responsabilità ambientale prevede una responsabilità per il danno arrecato nell’esercizio di attività diverse da quelle sopra indicate, con dolo o colpa, alle specie e agli habitat naturali protetti ai sensi degli artt. 6, n. 3, e 4 ovvero 16 della direttiva sugli habitat naturali (32) oppure dell’art. 9 della direttiva sugli uccelli (33). Tuttavia, non è stato indicato o addotto alcun elemento che suggerisca l’esistenza di danni di questo tipo.
92. Poiché la responsabilità per il danneggiamento di specie o habitat naturali protetti viene espressamente subordinata all’esistenza di un comportamento doloso o colposo, se ne desume, con ragionamento a contrario, che la responsabilità per danni derivanti da attività comprese tra quelle descritte nell’allegato III sorge in linea di principio indipendentemente dall’esistenza di un dolo o di una colpa. Tale circostanza risulta confermata dalla facoltà che l’art. 8, n. 4, offre agli Stati membri di prevedere un’esenzione dai costi di riparazione del danno nel caso in cui l’operatore abbia agito senza dolo o colpa e l’attività all’origine del danno fosse autorizzata o sia stata realizzata in conformità delle conoscenze tecnico‑scientifiche disponibili. Il rigoroso criterio di responsabilità svincolato dall’esistenza di un dolo o di una colpa corrisponde ai rischi particolari per l’ambiente di cui si accetta l’insorgere nell’esercizio delle attività di cui si discute, per loro natura fonte di potenziali danni.
93. In entrambi i casi, una responsabilità ex art. 3, n. 1, della direttiva sulla responsabilità ambientale presuppone quantomeno che i danni siano stati cagionati dalle attività previste alle lettere a) e b) della disposizione suddetta. Ai sensi dell’art. 11, n. 2, spetta alle competenti autorità nazionali individuare l’operatore che ha causato il danno. Indipendentemente da tale accertamento, l’operatore è obbligato, in forza degli art. 5‑7, ad attivarsi per prevenire danni all’ambiente, a provvedere eventualmente alla loro riparazione e a informare gli organi competenti. Tale responsabilità subisce un temperamento, in virtù del disposto dell’art. 8, n. 3, qualora l’operatore dimostri che il danno è stato causato da terzi o che esso è conseguenza di un ordine delle autorità.
94. Pertanto, la direttiva sulla responsabilità ambientale è intesa a concretizzare in una forma determinata il principio «chi inquina paga». In linea di massima, gli operatori sono tenuti a sopportare i costi dei danni all’ambiente da essi cagionati. Tale imputazione di costi costituisce uno stimolo affinché gli operatori si adoperino per prevenire i danni all’ambiente. Essa corrisponde ad equità nella misura in cui gli operatori, specialmente in caso di responsabilità svincolata dalla colpevolezza, esercitano un’attività potenzialmente pericolosa e di norma beneficiano anche dei vantaggi economici da questa derivanti.
95. Per contro, finché gli autori del danno restano ignoti, la direttiva non impone alcun obbligo di riparazione del danno. Poiché questa è la situazione che risulta dalle domande di pronuncia pregiudiziale nella fattispecie oggetto delle cause principali, occorre ritenere che i controversi ordini dell’autorità volti al risanamento del danno non possano configurare un’applicazione della direttiva sulla responsabilità ambientale.
96. Con la seconda questione nella causa C‑378/08, il giudice del rinvio desidera sapere se sia consentito attribuire la responsabilità della riparazione del danno ambientale al soggetto titolare di diritti reali e/o esercente un’attività imprenditoriale nel sito contaminato. Il giudice nazionale precisa tale questione aggiungendo che la responsabilità viene addossata in virtù del solo rapporto di «posizione» nel quale tale soggetto si trova (ad esempio perché si tratta di un operatore che svolge la propria attività all’interno del sito). Secondo il detto giudice, in tale contesto non viene richiesta la prova dell’esistenza di un nesso causale tra il comportamento del soggetto di cui trattasi e l’inquinamento verificatosi.
97. La Commissione sostiene la tesi secondo cui una responsabilità di questo tipo è ammissibile in quanto misura più severa ai sensi dell’art. 176 CE e dell’art. 16 della direttiva sulla responsabilità ambientale.
98. Non mi sento di sottoscrivere incondizionatamente tale posizione. Infatti, una responsabilità svincolata da un contributo alla causazione del danno non corrisponderebbe all’orientamento della direttiva sulla responsabilità ambientale e non sarebbe neppure conforme a quest’ultima, qualora essa avesse l’effetto di attenuare la responsabilità del soggetto effettivamente responsabile, in forza della direttiva stessa, per i danni ambientali. Infatti, la direttiva costituisce proprio per l’operatore responsabile un incitamento ad attivarsi per la prevenzione dei danni all’ambiente e stabilisce che egli debba sopportare le spese per la riparazione dei danni che dovessero comunque verificarsi.
99. La questione dei presupposti per un esonero dell’operatore autore del danno dal pagamento dei costi di risanamento viene disciplinata, in particolare, all’art. 8 della direttiva sulla responsabilità ambientale. Eventuali più ampie fattispecie di esenzione dal pagamento dei costi minerebbero con ogni probabilità l’attuazione del principio «chi inquina paga» perseguita dalla direttiva. Esse attenuerebbero l’effetto di stimolo associato alla responsabilità prevista e modificherebbero la ripartizione dei costi giudicata equa dal legislatore comunitario.
100. Tuttavia, già l’art. 16, n. 1, della direttiva sulla responsabilità ambientale mostra come l’operatore autore del danno possa non essere l’unico soggetto responsabile. Tale disposizione consente espressamente agli Stati membri di individuare ulteriori soggetti responsabili.
101. L’ammissibilità di norme sussidiarie in materia di responsabilità viene inoltre esplicitata dagli artt. 5, n. 4, 6, n. 3, e 8, n. 2, secondo comma, della direttiva sulla responsabilità ambientale. In base a tali disposizioni, l’autorità competente ha facoltà di adottare essa stessa ed eventualmente a proprie spese misure di riparazione o prevenzione, nel caso in cui l’operatore autore del danno non possa essere individuato. Tale disciplina, inizialmente non prevista nella proposta della Commissione, è stata inserita dal Consiglio nel testo definitivo su richiesta di vari Stati membri (34).
102. Se non si vuole svuotare di significato la responsabilità a titolo prioritario dell’operatore che ha causato il danno, l’art. 16, n. 1, della direttiva sulla responsabilità ambientale non deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri possano individuare altri (35) soggetti responsabili destinati a subentrare al predetto. Va respinta altresì l’ipotesi di individuare ulteriori (36) soggetti responsabili chiamati a rispondere insieme e a pari titolo con l’autore in modo tale da diminuire la responsabilità di quest’ultimo.
103. Sarebbe inoltre discutibile chiamare a rispondere in prima battuta e senza necessità un altro soggetto, il quale sarebbe poi obbligato a rivalersi delle spese sostenute sull’operatore responsabile. L’art. 8, n. 3, della direttiva sulla responsabilità ambientale sembra invero evocare tale possibilità, prevedendo che gli Stati membri debbano prevedere il rimborso delle spese sostenute dall’operatore per la riparazione del danno qualora questi dimostri che tale danno è stato causato da terzi ovvero a motivo di ordini impartiti dall’autorità. Tuttavia, ciò si spiega con il fatto che l’operatore di norma si trova nella miglior posizione per riparare i danni all’ambiente, dal momento che la fonte di danno e almeno i terreni inizialmente interessati dal medesimo si trovano nella sua sfera di disponibilità. Al contrario, altri soggetti responsabili dell’evento possono essere per lo più chiamati in causa soltanto per le spese.
104. È necessario piuttosto che la responsabilità di ulteriori soggetti abbia carattere sussidiario. Essa può intervenire soltanto nel caso in cui non sia possibile chiamare in causa alcun operatore autore del danno.
105. Rispettando tale limite, gli Stati membri possono tanto concretizzare il principio «chi inquina paga» in una forma diversa da quella prevista dalla direttiva sulla responsabilità ambientale [in proposito, v. infra, sub i)], quanto sviluppare regole di responsabilità operanti a prescindere da un contributo alla causazione del danno [in proposito, v. infra, sub ii)].
106. Appare logico che la prima soluzione consista nell’individuare soggetti responsabili in via sussidiaria proprio in base al principio «chi inquina paga». In virtù della possibile complessità dei fattori causali di danni ambientali, sussiste al riguardo un ampio margine di scelta tanto per gli Stati membri quanto per la Comunità (37). Il margine di manovra della Comunità non viene esaurito dalla direttiva sulla responsabilità ambientale. Quest’ultima chiama in causa soltanto l’operatore responsabile quale autore dell’evento dannoso, ma lascia agli Stati membri la facoltà di coinvolgere come responsabili anche altri soggetti che abbiano causato il danno. L’art. 16, n. 1, menziona a titolo di esempio l’inclusione di ulteriori attività quali possibili fonti di obblighi.
107. Nella specie, oltre alla soluzione di cui sopra, si potrebbe pensare, ad esempio, all’eventuale coinvolgimento come responsabile dell’evento dannoso, indipendentemente dall’esercizio di un’attività professionale, del proprietario o dell’utilizzatore di un terreno che, per lo stato in cui versi, causi – ad esempio mediante propagazione – danni all’ambiente. Questo perché la causa del danno si trova nella sfera di disponibilità di tale soggetto e può essere eliminata soltanto con la sua collaborazione. Pertanto, non comporterebbe alcun conflitto con il principio «chi inquina paga» il fatto di chiamare a rispondere per tale danno il proprietario o l’utilizzatore del terreno.
108. Non sarebbe in contrasto con il detto principio neppure il fatto di considerare responsabile anche il soggetto giuridico succeduto all’autore dell’evento dannoso, quanto meno ogni volta che non possa più essere chiamato in causa il responsabile originario.
109. Inoltre, una responsabilità per i costi corrisponde in linea di massima al principio «chi inquina paga» anche nel caso in cui sia possibile accertare l’esistenza di un contributo alla causazione del danno, ma non l’entità di tale contributo. Infatti, nella pratica sarà spesso difficile o addirittura impossibile quantificare esattamente il contributo causale di singoli soggetti a determinati danni ambientali. Qualora costoro venissero globalmente liberati dalla propria responsabilità, il principio «chi inquina paga» ne risulterebbe indebolito. In simili casi, gli Stati membri potrebbero addebitare i costi agli autori responsabili identificabili, in solido tra loro. In tale contesto, le legislazioni nazionali dovrebbero adottare le norme necessarie in materia di ripartizione degli oneri tra i singoli responsabili, assumendo eventualmente a riferimento le analoghe disposizioni vigenti in altri settori attinenti alla materia del risarcimento dei danni. Tale competenza degli Stati membri corrisponde alla valutazione compiuta nell’ambito dell’art. 9 della direttiva sulla responsabilità ambientale.
110. Appare chiaro che nel corso dell’iter di approvazione della direttiva la Commissione riteneva ancora che fosse compatibile con il principio «chi inquina paga» il fatto di addossare ad un possibile soggetto responsabile di un evento dannoso l’onere della prova di non aver cagionato un danno (38). Alla fine essa ha proposto un alleggerimento probatorio almeno riguardo al fatto che i danni ricadono nell’ambito di applicazione ratione temporis della direttiva (39). Sebbene tale disciplina non sia confluita nel testo finale della direttiva, sarebbero in tal senso ipotizzabili – salve le norme della direttiva, ancora da esaminare, in materia di accertamento delle cause del danno (40) – norme nazionali che stabiliscano presunzioni iuris tantum quanto alla causazione dell’evento dannoso.
111. Ad avviso della Polimeri e a., una responsabilità che non presupponga alcun nesso causale tra la condotta dell’autore e il danno si porrebbe invece in contrasto con il principio «chi inquina paga» sancito dalla direttiva sulla responsabilità ambientale. Tale tesi va condivisa nella misura in cui la funzione di equa ripartizione dei costi che va riconosciuta a tale principio verrebbe indebolita qualora le spese di riparazione del danno venissero accollate ad un soggetto che non ha causato l’evento (41).
112. Tuttavia, dal principio «chi inquina paga» non può desumersi un divieto assoluto di addossare a soggetti diversi dagli autori dell’evento i costi per l’eliminazione dei danni ambientali. Un simile divieto finirebbe per tradursi nella passiva accettazione di eventuali danni all’ambiente, nel caso in cui l’autore di questi non potesse essere chiamato a rispondere. Infatti, anche in caso di riparazione a carico della collettività, le spese dovrebbero essere sopportate da un soggetto che non è responsabile per il danno. Tuttavia, l’accettazione dei danni all’ambiente sarebbe incompatibile con la finalità di promuovere un elevato livello di protezione dell’ambiente e il miglioramento della qualità di quest’ultimo. Il principio «chi inquina paga» è funzionale al raggiungimento di tale finalità, sancita non soltanto dal n. 2, ma anche dal n. 1 dell’art. 174 CE, e soprattutto dall’art. 2 CE. Il detto principio non può essere inteso in un senso tale da risultare in definitiva confliggente con la tutela dell’ambiente, ad esempio considerandolo idoneo a precludere la riparazione dei danni ambientali nel caso in cui l’autore degli stessi non possa essere chiamato a rispondere.
113. Conformemente a ciò, anche la direttiva sulla responsabilità ambientale accetta l’eventualità che i costi di riparazione vengano sopportati da soggetti diversi dall’operatore responsabile. Essa infatti consente che lo Stato adotti delle misure a proprie spese, qualora l’autore del danno non possa essere individuato o non abbia sufficienti capacità (42).
114. Inoltre, nel caso in cui non potesse essere individuato l’autore del danno, l’equa ripartizione dei costi giustificherebbe il fatto che al proprietario di terreni bonificati dall’inquinamento vengano addossate le spese di bonifica nella misura in cui il valore di tali terreni subisca un incremento. In caso contrario, tale proprietario otterrebbe un indebito arricchimento a spese di altri.
115. Sulla scorta delle indicazioni fornite nella domanda di pronuncia pregiudiziale, può lasciarsi irrisolta nel presente procedimento la questione se siano immaginabili norme sussidiarie in materia di responsabilità indipendentemente da un contributo alla causazione del danno, le quali sarebbero suscettibili di censura sotto il profilo del diritto comunitario. Un possibile limite potrebbe essere costituito dal principio di proporzionalità, il quale osta al perseguimento di risultati manifestamente sproporzionati (43). È dubbio tuttavia che tale principio di diritto comunitario possa essere applicato a eventuali misure più severe ai sensi dell’art. 176 CE (44). In ogni caso, qualora venga rispettata la responsabilità a titolo prioritario dell’operatore autore del danno, non consta nella fattispecie l’esistenza di norme in materia di responsabilità manifestamente sproporzionate.
116. Tornando ora alla frase di Archimede citata in esordio, la responsabilità per danni ambientali non presuppone necessariamente un punto di appoggio costituito dalla causazione del danno, quale disciplinata dalla direttiva sulla responsabilità ambientale. Vero è piuttosto che gli Stati membri dispongono di un ampio margine discrezionale nella fissazione di regole di responsabilità sussidiarie.
117. In tal senso occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che la direttiva sulla responsabilità ambientale osta ad una responsabilità per danni ambientali indipendente da un contributo alla causazione dei medesimi soltanto se ed in quanto essa abbia l’effetto di elidere quella incombente a titolo prioritario sull’operatore che ha causato i danni in questione.
118. La prima questione nella causa C‑378/08 mira a chiarire se possa essere imposta ad imprese attualmente operanti in una zona da lungo tempo contaminata o limitrofa a quella storicamente contaminata l’esecuzione di misure di riparazione, a prescindere dallo svolgimento di qualsiasi istruttoria diretta a individuare il responsabile dell’inquinamento.
119. Ai sensi dell’art. 11, n. 2, della direttiva sulla responsabilità ambientale, spetta all’autorità competente individuare l’operatore che ha causato il danno o la minaccia imminente di danno. Tale obbligo è di cruciale importanza per l’attuazione del principio «chi inquina paga», quale configurato dalla direttiva. Se i potenziali autori di eventi dannosi non debbono temere di essere scoperti, non vi è alcuno stimolo a prevenire i danni. Se il colpevole resta ignoto, diventa impossibile anche un’equa ripartizione dei costi.
120. Inoltre, la procedura di denuncia di possibili danni ambientali prevista dall’art. 12 della direttiva («Richiesta di azione») risulterebbe ampiamente svuotata di significato se le autorità competenti non fossero obbligate a svolgere accertamenti sui danni stessi. Conformemente a ciò, il giudice del rinvio dovrà tener conto dell’indicazione fornita dalla ERG, dall’ENI e a. e dalla Polimeri e a., secondo cui in altri procedimenti è stata identificata un’altra impresa quale autore responsabile del danno ambientale.
121. La domanda di pronuncia pregiudiziale rende chiaro tuttavia come l’individuazione del responsabile possa comportare gravi difficoltà. A fronte di ciò, la direttiva sulla responsabilità ambientale riconosce espressamente che è possibile che l’operatore responsabile non possa essere individuato. L’art. 4, n. 5, prevede che la direttiva non si applichi agli inquinamenti a carattere diffuso quando non sia possibile accertare un nesso causale tra il danno e le attività di singoli operatori. Quanto agli altri inquinamenti, gli artt. 5, n. 4, 6, n. 3, e 8, n. 2, secondo comma, stabiliscono che le autorità competenti hanno la facoltà di adottare esse stesse – vale a dire a proprie spese – misure di riparazione o prevenzione nel caso in cui esse non siano in grado di individuare l’operatore responsabile e non rimangano loro altri mezzi.
122. Da ciò si desume che la direttiva consente di soprassedere all’accertamento della causa del danno qualora non ci si possa attendere alcun risultato positivo da un’eventuale prosecuzione delle indagini.
123. È altresì immaginabile l’adozione di misure d’urgenza prima che le indagini siano concluse o anche solo avviate. Il modo di procedere deve essere stabilito dagli organi competenti, previa esauriente valutazione delle circostanze del singolo caso di specie.
124. Poiché tali decisioni presuppongono una complessa valutazione prognostica, va riconosciuto agli organi competenti un ampio margine discrezionale. Tuttavia, essi sono obbligati – così come richiede in generale l’art. 174, n. 3, CE per l’applicazione delle norme comunitarie in materia di ambiente – a fondarsi sui migliori dati scientifici e tecnici disponibili (45).
– di soprassedere all’accertamento della causa del danno qualora non ci si possa attendere alcun risultato positivo da un’eventuale prosecuzione delle indagini, e
126. Con la terza questione il giudice del rinvio desidera sapere, in sostanza, se la direttiva sulla responsabilità ambientale osti a una normativa nazionale che preveda una responsabilità per danno ambientale indipendentemente dalla sussistenza del requisito soggettivo del dolo o della colpa.
127. La direttiva sulla responsabilità ambientale conosce di per sé due tipi di responsabilità per danni all’ambiente. Da un lato, l’art. 3, n. 1, lett. a), prevede una responsabilità a carattere oggettivo, svincolata dal requisito della colpevolezza, per determinate attività connesse a particolari rischi. Dall’altro, alla lett. b) della medesima disposizione è prevista una responsabilità per determinati danni arrecati con dolo o con colpa, nell’esercizio di attività professionali di qualsiasi tipo, a specie e habitat naturali protetti.
128. Un’eventuale responsabilità del soggetto autore del danno svincolata dal requisito della colpevolezza e relativa ad attività ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 3, n. 1, lett. a), della direttiva sulla responsabilità ambientale perseguirebbe il medesimo orientamento di protezione ambientale e sarebbe conforme a tale direttiva. Infatti, quest’ultima, là dove presuppone il dolo o la colpa, introduce una restrizione al principio «chi inquina paga». Gli Stati membri devono avere la facoltà di rinunciare a tale restrizione adottando misure più severe. Infatti, dal punto di vista pratico, una responsabilità svincolata dalla colpevolezza determina in sostanza l’insorgere, in capo ai soggetti coinvolti, di più rigorosi obblighi di diligenza nei confronti dell’ambiente. Ciò vale non soltanto per i modelli di responsabilità previsti dalla direttiva, ma anche per eventuali regimi di responsabilità sussidiari adottati dagli Stati membri.
129. Dalle considerazioni sopra esposte consegue, relativamente alla terza questione nella causa C‑378/08, che la direttiva sulla responsabilità ambientale non osta a norme che prevedano una responsabilità per danni all’ambiente svincolata dall’esistenza di un dolo o di una colpa.
130. Indipendentemente dalla direttiva sulla responsabilità ambientale, le questioni riguardanti il principio «chi inquina paga» presentano rilevanza per le cause principali anche per il fatto che trova forse applicazione la direttiva quadro sui rifiuti (46).
131. La direttiva quadro sui rifiuti è divenuta applicabile soltanto a partire dal 1977 (47), e dunque anch’essa, con ogni probabilità, non trova applicazione a tutti gli inquinamenti che hanno portato ai danni ambientali oggetto dei procedimenti nazionali. Tuttavia, è possibile che nei 30 anni precedenti l’entrata in vigore della direttiva sulla responsabilità ambientale sia stata realizzata una percentuale dei danni ambientali di cui si discute sensibilmente più grande di quella prodottasi nei due anni successivi all’inizio della sua applicabilità. Nel presente caso, la questione se e in che misura la direttiva quadro sui rifiuti continui ad essere applicabile dopo l’entrata in vigore della direttiva sulla responsabilità ambientale e quali conseguenze future comporti la sua nuova formulazione (48), non è stata sollevata e neppure necessita di essere risolta.
132. La Corte ha già statuito che gli idrocarburi accidentalmente sversati nel terreno, nelle acque sotterranee o in mare, i quali non possano più essere utilizzati conformemente alla loro destinazione, debbono essere considerati rifiuti (49). Va del pari considerato quale rifiuto il terreno contaminato a seguito di uno sversamento accidentale di idrocarburi (50). È ragionevole ritenere che tali considerazioni possano valere anche per altre sostanze nocive.
133. Ai sensi dell’art. 4 della direttiva quadro sui rifiuti, i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente. In molti casi, il recupero o lo smaltimento delle sostanze nocive da cui sono derivati i danni ambientali controversi, nonché quello del terreno contaminato, potranno già includere profili di riparazione del danno medesimo.
134. Ai sensi dell’art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti, conformemente al principio «chi inquina paga», il costo dello smaltimento dei rifiuti deve essere sostenuto dal detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore o ad un’impresa di smaltimento, e/o dai precedenti detentori o dal produttore del prodotto causa dei rifiuti. La responsabilità ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti non presuppone l’esistenza di un dolo o di una colpa.
135. A differenza della disciplina sulla responsabilità ambientale, tale normativa non specifica quale dei detti soggetti sia tenuto a sopportare le spese per lo smaltimento dei rifiuti. Nondimeno la Corte ha affermato, in riferimento ad idrocarburi fuoriusciti da una stazione di servizio nell’esercizio della sua attività, che il soggetto responsabile per tale sversamento era in linea di principio il gestore della stazione di servizio nella sua veste di possessore e produttore di tali rifiuti (51). Nel caso di idrocarburi accidentalmente sversati in mare a seguito di avaria, il proprietario della nave che li ha trasportati ne è, di fatto, in possesso immediatamente prima che divengano rifiuti. Pertanto, in linea di principio, egli è responsabile per le spese di smaltimento (52).
136. È tuttavia ipotizzabile una responsabilità di altri soggetti qualora questi, in virtù di particolari circostanze, siano responsabili della produzione dei rifiuti (53).
137. Pertanto, numerosi elementi inducono a ritenere che, ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti, nella fattispecie oggetto delle cause principali la responsabilità per lo smaltimento delle sostanze nocive spetti alle imprese nell’esercizio delle cui attività tali sostanze, fuoriuscendo dagli impianti di produzione, si sono sversate nell’ambiente.
138. In linea di principio, la possibilità di una disciplina difforme è ammessa dalla direttiva quadro sui rifiuti entro gli stessi limiti consentiti per la direttiva sulla responsabilità ambientale. Ciò vuol dire che la responsabilità prioritaria dei soggetti chiamati a rispondere in prima battuta in base al principio «chi inquina paga» può sì essere integrata, ma non sostituita o sminuita. Per tale motivo, non è consentito neppure rinunciare senz’altro all’individuazione dei responsabili.
139. Le questioni nelle cause C‑379/08 e C‑380/08 non riguardano la responsabilità in via di principio per danni all’ambiente, bensì la determinazione di misure di riparazione del danno ai sensi della direttiva sulla responsabilità ambientale. Poiché non può escludersi che per almeno una parte dei danni ambientali in questione trovi applicazione la direttiva (54), è necessario che la Corte si pronunci anche su tali questioni.
140. Con la prima questione, il giudice del rinvio desidera sapere se la direttiva sulla responsabilità ambientale osti a una normativa nazionale la quale consenta alla pubblica amministrazione di imporre misure di riparazione diverse e ulteriori da quelle precedentemente prescelte all’esito di una apposita istruttoria in contraddittorio, già approvate, realizzate e in corso di esecuzione.
141. La direttiva non contiene disposizioni espresse riguardanti la modifica di ingiunzioni di riparazione del danno già adottate. Gli artt. 7, n. 2, e 11, n. 2, affermano soltanto che l’autorità competente decide in merito alle misure di riparazione da adottare. Tale formulazione può essere pacificamente intesa nel senso da includervi misure di riparazione adottate a modifica di precedenti o in aggiunta a queste (55).
142. Tale interpretazione si impone già per il fatto che la valutazione dell’efficacia di misure di riparazione può variare durante o dopo la realizzazione di queste ultime. Sarebbe pertanto incompatibile con la finalità di un elevato livello di tutela dell’ambiente, e del resto anche potenzialmente sproporzionato, un eventuale obbligo di rimanere per sempre ancorati, senza possibilità di modifica, a misure di riparazione precedentemente ordinate, anche qualora la loro efficacia risultasse in progresso di tempo sempre più dubbia.
143. Poiché nella direttiva mancano pertinenti disposizioni in materia di modifica di misure di riparazione precedentemente imposte, spetta agli Stati membri disciplinare tale questione. Nel fare ciò, essi debbono tuttavia rispettare il quadro giuridico costituito dai pertinenti principi del diritto comunitario dei quali deve essere assicurato il rispetto nell’ambito della trasposizione e dell’applicazione di quest’ultimo (56), quali ad esempio la tutela del legittimo affidamento (57) o il principio di proporzionalità (58).
144. Conformemente a ciò, un legittimo affidamento quanto al mantenimento in vigore di misure di riparazione precedentemente disposte può sorgere nel caso in cui gli atti dell’autorità amministrativa abbiano ingenerato in capo ad un operatore economico prudente ed accorto fondate aspettative riguardo al fatto che le suddette misure non sarebbero più state modificate (59). Tuttavia, considerata l’incertezza esistente a livello scientifico in ordine alla riparazione dei danni ambientali, è presumibile che soltanto di rado possa insorgere un simile affidamento degno di tutela.
145. Il principio di proporzionalità impone che le misure di riparazione di danni ambientali non eccedano i limiti di quanto è idoneo e necessario per ripristinare l’ambiente. In tale contesto, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva; inoltre, gli inconvenienti in tal modo causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (60).
146. Nella sua questione il giudice del rinvio sottolinea, in particolare, che le misure modificate hanno già avuto attuazione. Tale circostanza va senz’altro tenuta in considerazione nell’ambito della decisione sulla modifica delle misure, ma non vale necessariamente a escludere un’eventuale modifica. Invero, può ben risultare sproporzionato il fatto che le autorità competenti caduchino determinate misure di riparazione sostituendole con altre, senza che le nuove garantiscano migliori risultati. Tuttavia, qualora in sede di esecuzione di determinate misure di riparazione appaia che esse non sono sufficienti, deve essere possibile disporre misure modificative o aggiuntive, al fine di garantire il successo delle attività di riparazione del danno all’ambiente.
147. Riguardo alla prima questione, occorre dunque constatare che la direttiva sulla responsabilità ambientale non osta alla modifica di misure di riparazione già disposte, se e in quanto vengano rispettati i principi generali del diritto comunitario.
148. Stante quanto sopra illustrato, gli organi competenti certo possono, in linea di principio, modificare precedenti ingiunzioni di riparazione del danno; non è però chiaro a quali condizioni ciò sia possibile. Una parte di queste condizioni costituisce l’oggetto della seconda questione, volta a stabilire se gli organi competenti possano modificare d’autorità precedenti prescrizioni intese alla riparazione di danni ambientali e rinunciare a valutare le specifiche condizioni dei luoghi, i costi di attuazione in relazione ai benefici ragionevolmente prevedibili, i possibili o probabili danni collaterali e gli effetti avversi sulla salute e sulla sicurezza pubblica, nonché i tempi necessari alla realizzazione.
149. Come sottolineato dall’ENI e a. e dalla ERG, l’art. 7, n. 1, della direttiva sulla responsabilità ambientale stabilisce che, in linea di principio, le misure di riparazione vengono proposte dagli operatori responsabili. La disposizione suddetta menziona espressamente, a titolo di eccezione, la facoltà per le autorità di adottare esse stesse le necessarie misure di riparazione [art. 6, n. 2, lett. e)], in particolare nel caso in cui non possa essere chiamato in causa l’operatore (art. 6, n. 3).
150. Ciò tuttavia non significa che le autorità debbano altrimenti attendere sempre e comunque le proposte degli operatori. In caso contrario, gli operatori potrebbero con la loro inerzia bloccare o comunque ostacolare la riparazione dei danni all’ambiente.
151. Conformemente a ciò, l’art. 6, n. 2, lett. b‑d), della direttiva sulla responsabilità ambientale consente alle autorità di imporre all’operatore, in qualsiasi momento, di adottare misure di riparazione. Anche l’art. 11, n. 2, sottolinea che è l’autorità competente a stabilire le misure di riparazione da adottare. Secondo quanto espressamente enunciato dal ventiquattresimo ‘considerando’ della direttiva, tale decisione rientra nella sfera di discrezionalità delle autorità.
152. Vero è che l’art. 11, n. 2, della direttiva consente all’autorità di chiedere all’operatore interessato di effettuare la propria valutazione e di fornire tutte le informazioni e i dati necessari. Tuttavia, l’autorità non ha un obbligo di rivolgersi in tal senso all’operatore.
153. Pertanto, non consta l’esistenza di alcuna disposizione della direttiva sulla responsabilità ambientale che impedisca agli organi competenti di modificare d’autorità precedenti misure di riparazione del danno ambientale.
154. La valutazione degli effetti è prevista al punto 1.3.1. dell’allegato II. Accanto ad altri criteri, vengono contemplati anche i parametri di valutazione indicati dal giudice del rinvio nel suo quesito.
155. Ai sensi dell’art. 7, n. 2, e della frase introduttiva dell’allegato II della direttiva, tale allegato ha, in linea di principio, valore vincolante quanto alla determinazione delle misure di riparazione. Tuttavia, il punto 1.3.1. afferma soltanto che «dovrebbero» essere valutate le opzioni ragionevoli di riparazione. La proposta presentata dalla Commissione presupponeva ancora che tale valutazione avesse sempre luogo (61), ma il Consiglio ha fortemente rielaborato tale disciplina ed evitato, chiaramente in modo consapevole, una formulazione in termini cogenti (62).
156. Tuttavia, tale tecnica normativa non può essere intesa nel senso che le autorità competenti non debbano effettuare alcuna valutazione allorché scelgono le misure di riparazione. Piuttosto, qualsiasi decisione in proposito presuppone una valutazione delle diverse opzioni. Ciò viene chiarito in particolare dall’art. 7, n. 3, della direttiva sulla responsabilità ambientale, il quale stabilisce in forma cogente che, in presenza di una pluralità di danni, la scelta di quello da riparare in via prioritaria deve essere effettuata tenendo conto di determinati criteri. La scelta tra varie possibili misure di riparazione del danno presenta, in linea di principio, analoga natura.
157. In particolare, la valutazione deve essere effettuata tenendo conto anche del principio di proporzionalità (63) menzionato dall’ENI e a.. Secondo la valutazione del legislatore comunitario, i criteri di cui all’allegato II, punto 1.3.1., della direttiva sulla responsabilità ambientale sono particolarmente idonei a favorire una decisione proporzionata in merito alle misure di riparazione da adottare. Tuttavia, tale disposizione conferisce un potere discrezionale nella scelta dei criteri di valutazione. Tale discrezionalità deve di norma essere esercitata utilizzando i criteri espressamente indicati; tuttavia, in presenza di giustificati motivi, le autorità competenti possono discostarsi in tutto o in parte da essi.
158. Si può ad esempio immaginare che occorra stabilire misure particolarmente urgenti, senza previamente effettuare una valutazione esaustiva ai sensi dell’allegato II, punto 1.3.1., della direttiva sulla responsabilità ambientale. Non si può neppure escludere che – a motivo, ad esempio, di particolari circostanze del caso di specie o di nuove cognizioni – intervengano nella scelta criteri di valutazione aggiuntivi.
159. In ogni caso, i criteri di valutazione utilizzati, il risultato della valutazione e i motivi della rinuncia a taluni dei criteri enunciati nell’allegato II, punto 1.3.1., della direttiva sulla responsabilità ambientale devono essere indicati nella motivazione della decisione riguardante le misure di riparazione. Infatti, l’art. 11, n. 4, esige, ai fini di un’efficace tutela dei diritti degli interessati, che le decisioni riguardanti le misure di riparazione siano «motivate con precisione». Tale motivazione è necessaria affinché i competenti giudici nazionali possano esercitare un controllo sulla decisione (64).
160. Poiché, secondo la domanda di pronuncia pregiudiziale, i ricorrenti nelle cause principali asseriscono di non essere stati ascoltati in merito alle controverse misure di riparazione, occorre altresì fare riferimento all’art. 7, n. 4, della direttiva sulla responsabilità ambientale. In base a tale norma, l’autorità competente invita, in ogni caso, i soggetti sul cui terreno si dovrebbero effettuare le misure di riparazione a presentare le loro osservazioni, e le prende in considerazione.
161. Tuttavia, anche se eccezionalmente non fossero proprietari dei terreni ai sensi della norma suddetta, i soggetti tenuti alla riparazione del danno ambientale dovrebbero comunque essere sentiti. Infatti, la direttiva sulla responsabilità ambientale parte dal presupposto che tali soggetti di norma partecipano in forma ancora più intensa alla determinazione delle misure di riparazione. Ai sensi dell’art. 7, n. 1, essi devono individuare possibili soluzioni e presentare proposte. Qualora l’autorità competente deroghi a tale regola individuando essa stessa le misure da adottare, deve, prima di una decisione, quantomeno invitare i suddetti soggetti responsabili della riparazione del danno a presentare le proprie osservazioni.
162. La ENI e a. sottolinea giustamente che i sopra accennati requisiti procedurali valgono a maggior ragione per la modifica di misure di riparazione precedentemente ordinate. Se tali misure vengono inizialmente adottate sulla base di una valutazione esaustiva, la loro successiva modifica deve essere fondata su ragioni preponderanti rispetto alla valutazione originariamente compiuta. Ciò presuppone in particolare che le ragioni nuove siano basate su un analogo fondamento scientifico.
163. Tuttavia, l’onere connesso alla valutazione di una modifica di precedenti misure di riparazione può risultare ridotto già in virtù del fatto che importanti informazioni sono state raccolte in occasione della valutazione condotta per le misure disposte in origine. Non si può escludere che nuove informazioni a carattere relativamente limitato, raccolte ad esempio osservando gli effetti di misure di riparazione già messe in atto, rimettano in discussione i precedenti risultati e, insieme con le informazioni già note, impongano una rielaborazione delle attività di riparazione dei danni ambientali.
164. Occorre infine evidenziare che eventuali restrizioni incidenti sulla valutazione delle misure di riparazione, sulla motivazione della decisione in merito a misure siffatte e sull’audizione dell’operatore responsabile non possono costituire né «provvedimenti per una protezione ancora maggiore» ai sensi dell’art. 176 CE, né una «disposizione più severa» ai termini dell’art. 16 della direttiva sulla responsabilità ambientale. La rinuncia a tali adempimenti procedurali non sarebbe idonea a promuovere una più elevata tutela dell’ambiente, bensì costituirebbe un pericolo per quest’ultimo. La valutazione e l’audizione sono atti idonei a migliorare il complesso di informazioni a base della decisione sulle misure di riparazione. Per contro, l’esposizione dei motivi di una decisione configura una forma di autocontrollo (65). Qualora non si riesca a formulare motivazioni convincenti, appare opportuno procedere a un riesame della decisione.
165. Alla luce di tali considerazioni, la direttiva sulla responsabilità ambientale non osta ad una normativa nazionale la quale consenta alla pubblica amministrazione di modificare, d’autorità, precedenti prescrizioni in materia di riparazione di danni ambientali. Ai fini di tale decisione, occorre di norma valutare le condizioni specifiche dei luoghi, i costi di attuazione in relazione ai benefici ragionevolmente prevedibili, i possibili o probabili danni collaterali ed effetti avversi sulla salute e la sicurezza pubblica, nonché i tempi necessari alla realizzazione. Tuttavia, in casi particolari, l’autorità competente può, nell’esercizio della discrezionalità di legge, soprassedere in tutto o in parte alla valutazione suddetta, qualora la decisione al riguardo venga adottata previa audizione degli interessati e sia accuratamente motivata.
166. La terza questione nelle cause C‑379/08 e C‑380/08 concerne il collegamento tra misure di riparazione e utilizzo di aree. Il giudice del rinvio intende sapere se sia compatibile con la direttiva sulla responsabilità ambientale imporre misure di riparazione a modifica di precedenti quale condizione per l’autorizzazione all’uso legittimo di aree non direttamente interessate dalla bonifica, in quanto già bonificate o comunque non inquinate.
167. La direttiva sulla responsabilità ambientale concerne in via diretta l’utilizzo di terreni soltanto nella misura in cui tale utilizzo sia connesso a misure di prevenzione o riparazione. In particolare, le misure di prevenzione possono incidere direttamente sull’attività esercitata sulle aree, ad esempio qualora debbano essere rispettati valori limite. Non è neppure escluso che nell’ambito di misure di riparazione vengano stabilite le condizioni da rispettare per poter utilizzare superfici interessate dalla bonifica. Come chiarito dal governo italiano, occorre impedire eventuali conflitti tra le esigenze legate all’utilizzo delle aree e quelle connesse alla riparazione del danno. Inoltre, ad esempio, l’allegato II, punto 2, della direttiva sulla responsabilità ambientale chiarisce la necessità di adottare misure al fine di escludere pericoli connessi all’utilizzo che potrebbero derivare dall’inquinamento di un’area.
168. Simili prescrizioni devono rispettare i precetti della direttiva sulla responsabilità ambientale, e segnatamente gli adempimenti di natura procedurale già illustrati.
169. Invece, per il caso in cui – come suggeriscono le questioni pregiudiziali sollevate – le aree in questione non presentino (più) danni ambientali né costituiscano più fonte di danno, la direttiva non detta alcuna norma applicabile. Contrariamente alla opinione della ERG, non può in particolare desumersi dalla direttiva alcun divieto di dettare restrizioni all’utilizzo di superfici completamente bonificate. Al contrario: qualora restrizioni all’uso di tali superfici costituiscano un mezzo efficace e proporzionato per l’attuazione degli obblighi derivanti dalla direttiva sulla responsabilità ambientale, può risultare addirittura obbligatorio sotto il profilo del diritto comunitario imporre tali restrizioni (66).
170. Pertanto, la direttiva sulla responsabilità ambientale non osta a che vengano imposte misure di riparazione a modifica di precedenti quale condizione per l’autorizzazione all’uso legittimo di aree non direttamente interessate dalla bonifica, in quanto già bonificate o comunque non inquinate.
171. La Commissione manifesta forti dubbi in ordine alla ricevibilità della quarta questione nella causa C‑378/08, in quanto il giudice nazionale non avrebbe sufficientemente chiarito il contesto di fatto e di diritto in cui tale questione si colloca.
172. In effetti, secondo una costante giurisprudenza, l’esigenza di giungere ad un’interpretazione del diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni da esso sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate (67).
173. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale non soddisfa tali requisiti. Infatti, il giudice del rinvio indica soltanto che la Sviluppo Italia è stata incaricata, senza una procedura di gara pubblica, della progettazione e – in caso di inerzia delle imprese interessate – della successiva attuazione delle misure di riparazione, e che la detta società è un’impresa costituita dallo Stato e operante sul mercato.
174. Mancano indicazioni più precise riguardo all’affidamento dell’appalto. Non consta quando e in che forma l’appalto sia stato affidato, né quale sia il suo oggetto e il suo valore. Il giudice del rinvio si limita piuttosto a descrivere i lavori affidati in appalto in termini assai generici come «operazioni di rilevante impatto ambientale e di elevatissimo valore economico». Mancano inoltre indicazioni in ordine alla misura del controllo esercitato dallo Stato sulla Sviluppo Italia. Da ultimo, ma non meno importante, il giudice del rinvio omette di chiarire quali siano le norme di diritto italiano pertinenti riguardo all’affidamento dell’appalto.
175. Sulla base di tali indicazioni imprecise, la Corte di giustizia non può stabilire con esattezza quali siano le norme di diritto comunitario rilevanti ai fini della valutazione giuridica dell’avvenuto affidamento di appalto e, a maggior ragione, non può fornire un’interpretazione in relazione ai fatti oggetto del procedimento nazionale. Di conseguenza, le indicazioni contenute nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale non consentono alla Corte di fornire al giudice nazionale un’interpretazione utile del diritto comunitario.
177. Malgrado quanto sopra chiarito, per il caso in cui la Corte ritenesse di trattenere in decisione la quarta questione pregiudiziale, mi permetto di fornire comunque, nell’ambito delle presenti conclusioni, alcune indicazioni riguardo al quadro normativo comunitario disciplinante l’affidamento di appalti pubblici, le quali possono facilitare al giudice nazionale la valutazione, sotto il profilo giuridico comunitario, dei fatti oggetto del procedimento principale.
178. Il giudice del rinvio si interroga in merito alla compatibilità con le direttive 2004/18, 93/37 e 89/665 di una normativa nazionale la quale consenta l’affidamento della realizzazione di misure di riparazione senza previo esperimento di una procedura di gara pubblica.
179. Come giustamente evidenziato dalla Commissione, la direttiva 89/665 non è rilevante ai fini della valutazione della questione se l’affidamento in appalto delle misure di riparazione sia stato effettuato in forma corretta sotto il profilo giuridico comunitario nell’ambito della fattispecie all’origine delle cause principali. Infatti, la direttiva 89/665 contiene unicamente norme procedurali in merito ai ricorsi diretti a contestare possibili violazioni di norme sugli appalti. Per contro, la direttiva 89/665 non contiene prescrizioni sostanziali applicabili alle procedure di affidamento.
180. Inoltre, giustamente la Commissione fa presente che la direttiva 93/37 non pare applicabile ratione temporis. Infatti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 82 e 80, n. 1, della direttiva 2004/18, la direttiva 93/37 è stata abrogata con effetto dal 31 gennaio 2006. La direttiva 93/37 è stata sostituita dalla direttiva 2004/18 (68). Sebbene il giudice del rinvio non menzioni la data di affidamento dell’appalto alla Sviluppo Italia, occorre presumere, sulla base delle indicazioni contenute nell’ordinanza di rinvio, che tale affidamento abbia avuto luogo dopo il 31 gennaio 2006. Infatti, il progetto redatto dalla Sviluppo Italia – che prevede tra l’altro la costruzione di un’isola artificiale – sembra essere costituito da piani di data recente, sui quali è intervenuta una decisione per la prima volta in data 20 dicembre 2007.
181. Pertanto, il giudice nazionale dovrà anzitutto appurare se sussista la possibilità di un’applicazione della direttiva 2004/18. A tal fine occorre che venga in questione un «appalto pubblico» ai sensi dell’art. 1, n. 2, lett. a), di tale direttiva, e che quest’ultima sia suscettibile di applicazione sulla scorta delle norme di cui al capo II del suo titolo II. Le indicazioni fornite nella domanda di pronuncia pregiudiziale non sono sufficienti per acclarare tale punto. Il contesto generale della presente fattispecie sembra tuttavia indicare che si tratti di appalti di servizi e di lavori eccedenti la soglia di rilevanza comunitaria. Ove ciò sia esatto, sarebbe stato necessario, in linea di principio, applicare la procedura di affidamento disciplinata dalla direttiva 2004/18. La necessità di tale procedura non viene necessariamente meno neppure nel caso in cui l’appalto di cui trattasi venga conferito a motivo del fatto che una parte prioritariamente obbligata all’esecuzione dei lavori non adempie tale suo obbligo («esecuzione in via sostitutiva»).
182. Tuttavia, il governo italiano sostiene che l’appalto in questione, costituendo un cosiddetto «affidamento in house», non ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/18. La Polimeri e a. si oppone a tale tesi.
183. Secondo la giurisprudenza della Corte, le norme comunitarie in materia di appalti non sono applicabili ai cosiddetti «affidamenti in house», dal momento che nell’ambito di tali operazioni non viene concluso un contratto tra due soggetti distinti. Sussiste un affidamento in house allorché vengono soddisfatti i due criteri che seguono. In primo luogo, l’amministrazione aggiudicatrice deve esercitare sull’organismo affidatario dell’appalto un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. La partecipazione di un’impresa privata al capitale dell’organismo di cui trattasi ha l’effetto di escludere che l’amministrazione aggiudicatrice eserciti su quest’ultimo un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. In secondo luogo, l’organismo affidatario deve realizzare la parte più importante della propria attività con l’amministrazione aggiudicatrice che lo controlla (69).
184. La Polimeri e a. sostiene che il capitale della Sviluppo Italia non è interamente detenuto dalla pubblica amministrazione e che la società suddetta non realizza la parte più importante delle proprie attività con la pubblica amministrazione. Tuttavia, in mancanza di corrispondenti indicazioni nella domanda di pronuncia pregiudiziale, la Corte non può accettare tali argomenti. Tale valutazione è riservata al giudice nazionale.
185. Qualora non sussista un’operazione di affidamento in house e anche per il resto non vi sia adito ad un’applicazione della direttiva 2004/18, un appalto può essere affidato senza pubblicazione di un bando di gara soltanto nei casi elencati all’art. 31 della direttiva stessa.
186. Nel presente caso, l’unica norma rilevante potrebbe essere l’art. 31, n. 1, lett. c), della direttiva 2004/18. Esso stabilisce che un appalto può essere affidato mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, nella misura strettamente necessaria, quando l’estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le amministrazioni aggiudicatrici in questione, non consente di rispettare i termini previsti. Sembra però improbabile che la progettazione e l’esecuzione delle misure di riparazione siano divenute urgenti senza che l’amministrazione fosse in grado di prevederlo. In ultima analisi, l’inquinamento ambientale sussiste già da lungo tempo ed è addirittura già stato oggetto di altre misure di riparazione. Tuttavia, anche tale circostanza può in definitiva essere valutata soltanto dal giudice nazionale.
187. Sulla base delle considerazioni sopra esposte, propongo alla Corte di risolvere le questioni sollevate nella causa C‑378/08 dichiarando quanto segue:
1. La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 21 aprile 2004, 2004/35/CE, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, non si applica ai danni all’ambiente che siano stati causati da attività realizzate prima del 30 aprile 2007. Essa dunque non osta a norme nazionali disciplinanti la riparazione di tali danni.
2. La direttiva 2004/35 osta ad una responsabilità per danni ambientali indipendente da un contributo alla causazione dei medesimi soltanto se ed in quanto essa abbia l’effetto di elidere quella incombente a titolo prioritario sull’operatore che ha causato i danni in questione.
– di soprassedere all’accertamento della causa del danno qualora non ci si possa attendere alcun risultato positivo da un’eventuale prosecuzione delle indagini, e
4. La direttiva 2004/35 non osta a norme che prevedano una responsabilità per danni all’ambiente svincolata dall’esistenza di un dolo o di una colpa.
1. La direttiva 2004/35 non osta alla modifica di misure di riparazione già disposte, se e in quanto vengano rispettati i principi generali del diritto comunitario.
2. La direttiva 2004/35 non osta ad una normativa nazionale la quale consenta alla pubblica amministrazione di modificare, d’autorità, precedenti prescrizioni in materia di riparazione di danni ambientali. Ai fini di tale decisione, occorre di norma valutare le condizioni specifiche dei luoghi, i costi di attuazione in relazione ai benefici ragionevolmente prevedibili, i possibili o probabili danni collaterali ed effetti avversi sulla salute e la sicurezza pubblica, nonché i tempi necessari alla realizzazione. Tuttavia, in casi particolari, l’autorità competente può, nell’esercizio della discrezionalità di legge, soprassedere in tutto o in parte alla valutazione suddetta, qualora la decisione al riguardo venga adottata previa audizione degli interessati e sia accuratamente motivata.
3. La direttiva 2004/35 non osta a che vengano imposte misure di riparazione a modifica di precedenti quale condizione per l’autorizzazione all’uso legittimo di aree non direttamente interessate dalla bonifica, in quanto già bonificate o comunque non inquinate.
2 – «Datemi un punto di appoggio e solleverò il mondo»: citazione tratta da Pappo di Alessandria, Collectionis quae supersunt, Voluminis 3, Tomus 1, edito da Friedrich Hultsch, 1878, pag. 1060 (consultabile alla pagina Internet http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k99429t.image.f62.pagination, visitata da ultimo il 2 settembre 2009).
3 – Oltre ai tre procedimenti oggetto delle presenti conclusioni, risultano pendenti dinanzi alla Corte due ulteriori procedimenti riguardanti tale zona contaminata, e precisamente quelli iscritti a ruolo con i numeri C‑478/08 e C-479/08, Buzzi Unicem e a. (comunicazione in GU 2009, C 19, pagg. 14 e segg.).
6 – Nella domanda di pronuncia pregiudiziale il giudice del rinvio si interroga in realtà sulla compatibilità con la direttiva 93/97/CEE. Ciononostante, con tutta evidenza, la direttiva 93/97/CEE, che integra la direttiva 91/263/CEE del Consiglio per quanto attiene alle apparecchiature delle stazioni terrestri di comunicazione via satellite, non presenta alcuna rilevanza in rapporto alla causa principale, sicché deve ritenersi che si tratti di un errore di battitura e che il giudice nazionale volesse in realtà porre un quesito in merito alla compatibilità con la direttiva 93/37/CE.
11 – Sentenze 24 settembre 1987, causa 37/86, Coenen (Racc. pag. 3589, punto 8), e 5 marzo 2009, causa C‑350/07, Kattner Stahlbau (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 24).
12 – Sentenze 13 novembre 2003, causa C‑153/02, Neri (Racc. pag. I‑13555, punti 34 e segg.); 29 aprile 2004, cause riunite C‑482/01 e C‑493/01, Orfanopoulos e Oliveri (Racc. pag. I‑5257, punto 42), e 12 gennaio 2006, causa C‑246/04, Turn- und Sportunion Waldburg (Racc. pag. I‑589, punto 21).
14 – L’adozione da parte degli Stati membri di misure divergenti da quelle che la Comunità abbia adottato in materia giuridico‑ambientale quantomeno anche sulla base dell’art. 95 CE, riceve una speciale disciplina ai paragrafi 4‑6 di tale articolo.
17 – All’udienza, la Polimeri e a. ha addirittura affermato che il danno è stato causato da inquinamenti verificatisi negli anni dal 1958 al 1979.
19 – V. la definizione di cui all’art. 2, punto 8, della direttiva sulla responsabilità ambientale, che qualifica come emissione «il rilascio nell’ambiente, a seguito dell’attività umana, di sostanze, preparati, organismi o microrganismi».
21 – Il Libro bianco della Commissione sulla responsabilità per danni all’ambiente [COM(2000) 66 def., del 9 febbraio 2000, pagg. 14 e segg.) e la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 gennaio 2002 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale [COM(2002) 17 def., del 23 gennaio 2002, pagg. 17 e 24] rigettano esplicitamente la possibilità di un’applicazione retroattiva.
22 – Sentenze 25 gennaio 1979, causa 98/78, Racke (Racc. pag. 69, punto 20); 22 novembre 2001, causa C‑110/97, Paesi Bassi/Consiglio (Racc. pag. I‑8763, punto 151), e 29 aprile 2004, causa C‑17/01, Sudholz (Racc. pag. I‑4243, punto 33).
23 – Sentenze 5 dicembre 1973, causa 143/73, SOPAD (Racc. pag. 1433, punto 8); 10 luglio 1986, causa 270/84, Licata/CES (Racc. pag. 2305, punto 31); 2 ottobre 1997, causa C‑122/96, Saldanha e MTS (Racc. pag. I‑5325, punto 14); 29 gennaio 2002, causa C‑162/00, Pokrzeptowicz-Meyer (Racc. pag. I‑1049, punto 50), e 11 dicembre 2008, causa C‑334/07 P, Commissione/Freistaat Sachsen (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 43).
24 – Sentenze 16 maggio 1979, causa 84/78, Tomadini (Racc. pag. 1801, punto 21); 14 gennaio 1987, causa 278/84, Germania/Commissione (Racc. pag. 1, punto 36); 29 giugno 1999, causa C‑60/98, Butterfly Music (Racc. pag. I‑3939, punto 25), e Pokrzeptowicz-Meyer, cit. alla nota 23 (punto 55).
27 – Al riguardo, v. le conclusioni da me presentate il 13 marzo 2008 nella causa C‑188/07, Commune de Mesquer (Racc. pag. I-4501, paragrafo 120).
28 – V. le conclusioni presentate dall’avvocato generale Jacobs in data 30 aprile 2002 nella causa C‑126/01, GEMO (Racc. pag. I-13769, paragrafo 66).
29 – V. punto 1 dell’allegato della Raccomandazione del Consiglio 3 marzo 1975, 75/436/Euratom, CECA, CEE, concernente l’imputazione dei costi e l’intervento dei pubblici poteri in materia di ambiente (GU L 194, pag. 94).
30 – V. le considerazioni da me svolte in merito alle funzioni del principio «chi inquina paga» nell’ambito delle conclusioni che ho presentato il 23 aprile 2009 nella causa C‑254/08, Futura Immobiliare e a. (non ancora pubblicate nella Raccolta, paragrafi 30 e segg.).
31 – Direttiva del Consiglio 24 settembre 1996, 96/61/CE, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU L 257, pag. 26), codificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15 gennaio 2008, 2008/1/CE, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU L 24, pag. 8).
32 – Direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206, pag. 7).
34 – V. artt. 4, n. 4, 5, n. 3, e 6 bis, n. 4, della proposta del 16 aprile 2002, documento del Consiglio n. 7771/02, nonché l’art. 8, n. 4, della proposta del 7 maggio 2002, documento del Consiglio n. 8647/02.
35 – Questo è il termine che compare, in particolare, nelle versioni francese, italiana, spagnola, portoghese e romena della direttiva sulla responsabilità ambientale.
37 – V. le mie conclusioni nella causa Futura Immobiliare e a. (citate alla nota 30, paragrafi 52 e segg., in particolare paragrafo 58).
41 – V. le mie conclusioni nelle cause Commune de Mesquer (citate alla nota 27, paragrafi 141 e segg.) e Futura Immobiliare e a. (citate alla nota 30, paragrafo 32).
43 – V. la sentenza 16 luglio 2009, causa C‑254/08, Futura Immobiliare e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 56), e le conclusioni da me presentate in tale causa, cit. alla nota 30 (paragrafo 32).
45 – V. sentenze 28 giugno 2007, causa C‑235/04, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑5415, punto 25, in merito alle zone di protezione degli uccelli); 9 dicembre 2004, causa C‑79/03, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑11619, punto 41, in merito ai quantitativi di caccia), e 6 novembre 2008, causa C‑405/07 P, Paesi Bassi/Commissione (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 61, in ordine a misure della Commissione ai sensi dell’art. 95, nn. 5 e 6, CE).
46 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE, relativa ai rifiuti (GU L 114, pag. 9). Questa direttiva codifica la direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), e le sue successive modifiche.
47 – Nella versione di cui alla direttiva 75/442, che già conteneva, all’art. 11, una disciplina in merito alla responsabilità per i costi secondo il principio «chi inquina paga».
48 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 19 novembre 2008, 2008/98/CE, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive (GU L 312, pag. 3). Ai sensi dell’art. 2, n. 1, lett. b), sono esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva quadro sui rifiuti come riformulata i terreni (in situ), inclusi il suolo contaminato non escavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno. Ai sensi dell’art. 41, la precedente direttiva quadro sui rifiuti è abrogata con effetto dal 12 dicembre 2010.
49 – Sentenze 7 settembre 2004, causa C‑1/03, Van de Walle e a. (Racc. pag. I‑7613, punti 47‑50), e 24 giugno 2008, causa C‑188/07, Commune de Mesquer (Racc. pag. I‑4501, punti 57‑59).
55 – Da non confondersi con le «misure di riparazione complementari» che, ai sensi dell’allegato II, punto 1, lett. b), sono destinate a compensare la perdita di risorse e/o servizi naturali non ripristinabili.
56 – Sentenze 24 marzo 1994, causa C‑2/92, Bostock (Racc. pag. I‑955, punto 16); 18 maggio 2000, causa C‑107/97, Rombi e Arkopharma (Racc. pag. I‑3367, punto 65); 6 novembre 2003, causa C‑101/01, Lindqvist (Racc. pag. I‑12971, punto 87); 27 giugno 2006, causa C‑540/03, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I‑5769, punto 105), e 26 giugno 2007, causa C‑305/05, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a. (Racc. pag. I‑5305, punto 28).
57 – Sentenze 3 dicembre 1998, causa C‑381/97, Belgocodex (Racc. pag. I‑8153, punto 26); 26 aprile 2005, causa C‑376/02, Goed Wonen (Racc. pag. I‑3445, punto 32), e 14 settembre 2006, cause riunite da C‑181/04 a C‑183/04, Elmeka (Racc. pag. I‑8167, punto 31).
58 – Sentenze 17 dicembre 1970, causa 25/70, Köster, Berodt & Co. (Racc. pag. 1161, punti 21 e segg.); 18 novembre 1987, causa 137/85, Maizena e a. (Racc. pag. 4587, punto 15); 13 novembre 1990, causa C‑331/88, Fedesa e a. (Racc. pag. I‑4023, punto 13); 7 settembre 2006, causa C‑310/04, Spagna/Consiglio (Racc. pag. I‑7285, punto 97), e 17 gennaio 2008, cause riunite C‑37/06 e C‑58/06, Viamex Agrar Handel (Racc. pag. I‑69, punto 33).
60 – V., in tal senso, le sentenze, cit. alla nota 58, Köster, Berodt & Co. (punti 28 e 32), Fedesa e a. (punto 13) e Viamex Agrar Handel (punto 35), nonché le sentenze 11 luglio 1989, causa 265/87, Schräder HS Kraftfutter (Racc. pag. 2237, punto 21), e 12 luglio 2001, causa C‑189/01, Jippes e a. (Racc. pag. I‑5689, punto 81).
62 – Ciò sembra essersi verificato per la prima volta nella versione dell’allegato II, punto 1.3.1., di cui al documento del Consiglio 6191/03 del 13 febbraio 2003.
64 – V. sentenze 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a. (Racc. pag. 4097, punto 15); 15 febbraio 2007, causa C‑239/05, BVBA Management, Training en Consultancy (Racc. pag. I‑1455, punto 36), e 30 aprile 2009, causa C‑75/08, Mellor (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 59 con ulteriori rimandi).
65 – V. le conclusioni da me presentate il 13 dicembre 2007 nella causa C‑413/06 P, Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala (Racc. pag. I‑4951, paragrafo 97), e il 22 gennaio 2009 nella causa C-75/08, Mellor (non ancora pubblicate nella Raccolta, paragrafo 32).
66 – V. ad esempio sentenza 3 maggio 2005, cause riunite C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, Berlusconi e a. (Racc. pag. I‑3565, punto 65 con ulteriori rimandi).
67 – Sentenza 26 gennaio 1993, cause riunite da C‑320/90 a C‑322/90, Telemarsicabruzzo e a. (Racc. pag. I‑393, punto 6); ordinanze 19 marzo 1993, causa C‑157/92, Banchero (Racc. pag. I‑1085, punto 4); 30 aprile 1998, cause riunite C‑128/97 e C‑137/97, Testa e Modesti (Racc. pag. I‑2181, punto 5); 28 giugno 2000, causa C‑116/00, Laguillaumie (Racc. pag. I‑4979, punto 15), e 8 ottobre 2002, causa C‑190/02, Viacom (Racc. pag. I‑8287, punto 15); sentenze 9 settembre 2004, causa C‑72/03, Carbonati Apuani (Racc. pag. I‑8027, punto 10); 17 febbraio 2005, causa C‑134/03, Viacom Outdoor (Racc. pag. I‑1167, punto 22); 6 dicembre 2005, cause riunite C‑453/03, C‑11/04, C‑12/04 e C‑194/04, ABNA e a. (Racc. pag. I‑10423, punto 45); 14 dicembre 2006, causa C‑217/05, Confederación Española de Empresarios de Estaciones de Servicio (Racc. pag. I‑11987, punto 26), e 2 aprile 2009, causa C‑260/07, Pedro IV Servicios (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 29).
69 – In merito a questi due presupposti, v. le sentenze 18 novembre 1999, causa C‑107/98, Teckal (Racc. pag. I‑8121, punto 50); 11 gennaio 2005, causa C‑26/03, Stadt Halle e RPL Lochau (Racc. pag. I‑1, punto 49); 13 gennaio 2005, causa C‑84/03, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑139, punto 38); 11 maggio 2006, causa C‑340/04, Carbotermo e Consorzio Alisei (Racc. pag. I‑4137, punto 33), e 9 giugno 2009, causa C‑480/06, Commissione/Germania (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 34).