Corte di giustizia (Prima Sezione) 9 luglio 2020
Danno Ambientale.Responsabilità persone giuridiche di diritto pubblico
Le persone giuridiche di diritto pubblico possono essere responsabili dei danni ambientali causati da attività svolte nell’interesse pubblico in forza di una delega ex lege, come la gestione di una stazione di pompaggio per il drenaggio di aree agricole
SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
9 luglio 2020 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Responsabilità ambientale – Direttiva 2004/35/CE – Allegato I, terzo comma, secondo trattino – Danno che può non essere qualificato come “danno significativo” – Nozione di “normale gestione dei siti, quale definita nei documenti di gestione o di indirizzo relativi all’habitat, o praticata anteriormente dai proprietari o dagli operatori” – Articolo 2, paragrafo 7 – Nozione di “attività professionale” – Attività svolta nell’interesse pubblico in forza di una delega ex lege – Inclusione o no»
Nella causa C‑297/19,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania), con decisione del 26 febbraio 2019, pervenuta in cancelleria l’11 aprile 2019, nel procedimento
Naturschutzbund Deutschland – Landesverband Schleswig-Holstein eV
contro
Kreis Nordfriesland,
con l’intervento di:
Deich- und Hauptsielverband Eiderstedt, Körperschaft des öffentlichen Rechts,
Vertreter des Bundesinteresses beim Bundesverwaltungsgericht,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta da J.-C. Bonichot (relatore), presidente di sezione, M. Safjan, L. Bay Larsen, C. Toader e N. Jääskinen, giudici,
avvocato generale: H. Saugmandsgaard Øe
cancelliere: D. Dittert, capo unità
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– per il Naturschutzbund Deutschland – Landesverband Schleswig-Holstein eV, da J. Mittelstein, Rechtsanwalt;
– per il Kreis Nordfriesland, da G. Koukakis, Rechtsanwalt;
– per il Deich- und Hauptsielverband Eiderstedt, Körperschaft des öffentlichen Rechts, da C. Brandt, Rechtsanwältin;
– per il governo tedesco, da J. Möller e S. Eisenberg, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da A.C. Becker e G. Gattinara, in qualità di agenti,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 7 e dell’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (GU 2004, L 143, pag. 56).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il Naturschutzbund Deutschland – Landesverband Schleswig-Holstein eV (Federazione per la protezione della natura, associazione del Land Schleswig-Holstein) (in prosieguo: il «Naturschutzbund Deutschland») e il Kreis Nordfriesland (circondario della Frisia settentrionale, Germania) in merito a misure di limitazione e riparazione di danni ambientali richieste dal Naturschutzbund Deutschland.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
La direttiva 2004/35
3 I considerando da 1 a 3, 8 e 9 della direttiva 2004/35 così recitano:
«(1) Nella Comunità esistono attualmente molti siti contaminati, che comportano rischi significativi per la salute, e negli ultimi decenni vi è stata una forte accelerazione della perdita di biodiversità.Il non intervento potrebbe provocare in futuro ulteriori contaminazioni dei siti e una perdita di biodiversità ancora maggiore. La prevenzione e la riparazione, nella misura del possibile, del danno ambientale contribuisce a realizzare gli obiettivi ed i principi della politica ambientale comunitaria, stabiliti nel Trattato. Occorre tener conto delle circostanze locali allorché si decide come riparare il danno.
(2) La prevenzione e la riparazione del danno ambientale dovrebbero essere attuate applicando il principio “chi inquina paga”, quale stabilito nel trattato e coerentemente con il principio dello sviluppo sostenibile. Il principio fondamentale della presente direttiva dovrebbe essere quindi che l’operatore la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sarà considerato finanziariamente responsabile in modo da indurre gli operatori ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale.
(3) Poiché l’obiettivo della presente direttiva, ossia istituire una disciplina comune per la prevenzione e riparazione del danno ambientale a costi ragionevoli per la società non può essere sufficientemente raggiunto dagli Stati membri e, a motivo dell’ambito della presente direttiva e delle implicazioni con altre normative comunitarie, come la direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici [(GU 1979, L 103, pag. 1)], la direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche [(GU 1992, L 206, pag. 7)] e la direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque [(GU 2000, L 327, pag. 1)], possono dunque essere realizzati meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del [Trattato CE]. La presente direttiva si limita a quanto necessario per raggiungere tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.
(...)
(8) La presente direttiva dovrebbe applicarsi, con riferimento al danno ambientale, alle attività professionali che presentano un rischio per la salute umana o l’ambiente. In linea di principio, tali attività dovrebbero essere individuate con riferimento alla normativa comunitaria pertinente che prevede requisiti normativi in relazione a certe attività o pratiche che si considera presentino un rischio potenziale o reale per la salute umana o l’ambiente.
(9) La presente direttiva dovrebbe inoltre applicarsi, per quanto riguarda il danno causato alle specie e agli habitat naturali protetti, alle attività professionali che non sono già direttamente o indirettamente contemplate nella normativa comunitaria come comportanti un rischio reale o potenziale per la salute umana o l’ambiente. In tali casi l’operatore sarebbe responsabile ai sensi della presente direttiva, soltanto quando vi sia il dolo o la colpa di detto operatore».
4 L’articolo 1 di tale direttiva è del seguente tenore:
«La presente direttiva istituisce un quadro per la responsabilità ambientale, basato sul principio “chi inquina paga”, per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale».
5 L’articolo 2 di detta direttiva è così formulato:
«Ai fini della presente direttiva valgono le seguenti definizioni:
1. “danno ambientale”:
a) danno alle specie e agli habitat naturali protetti, vale a dire qualsiasi danno che produca significativi effetti negativi sul raggiungimento o il mantenimento di uno stato di conservazione favorevole di tali specie e habitat. L’entità di tali effetti è da valutare in riferimento alle condizioni originarie, tenendo conto dei criteri enunciati nell’allegato I;
Il danno alle specie e agli habitat naturali protetti non comprende gli effetti negativi preventivamente identificati derivanti da un atto di un operatore espressamente autorizzato dalle autorità competenti, secondo le norme di attuazione dell’articolo 6, paragrafi 3 e 4 o dell’articolo 16 della direttiva [92/43] o dell’articolo 9 della direttiva [79/409] oppure, in caso di habitat o specie non contemplati dal diritto comunitario, secondo le disposizioni della legislazione nazionale sulla conservazione della natura aventi effetto equivalente.
(...)
3. “specie e habitat naturali protetti”:
a) le specie menzionate all’articolo 4, paragrafo 2 o elencate nell’allegato I della direttiva [79/409] o elencate negli allegati II e IV della direttiva [92/43];
b) gli habitat delle specie menzionate all’articolo 4, paragrafo 2 o elencate nell’allegato I della direttiva [79/409] o elencate nell’allegato II della direttiva [92/43], e gli habitat naturali elencati nell’allegato I della direttiva [92/43] nonché i siti di riproduzione e i luoghi di riposo delle specie elencate nell’allegato IV della direttiva [92/43]; e
c) qualora uno Stato membro lo decida, gli habitat o le specie non elencati in tali allegati che lo Stato membro designa per fini equivalenti a quelli di tali direttive;
(...)
6. “operatore”: qualsiasi persona fisica o giuridica, sia essa pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale oppure, quando la legislazione nazionale lo prevede, a cui è stato delegato un potere economico decisivo sul funzionamento tecnico di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività o la persona che registra o notifica l’attività medesima;
7. “attività professionale”: qualsiasi attività svolta nel corso di un’attività economica, commerciale o imprenditoriale, indipendentemente dal fatto che abbia carattere pubblico o privato o che persegua o meno fini di lucro;
(...)».
6 L’articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva è così formulato:
«La presente direttiva si applica:
a) al danno ambientale causato da una delle attività professionali elencate nell’allegato III e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno a seguito di una di dette attività;
b) al danno alle specie e agli habitat naturali protetti causato da una delle attività professionale non elencata nell’allegato III e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno a seguito di una di dette attività, in caso di comportamento doloso o colposo dell’operatore».
7 L’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2004/35 fissa il termine per il recepimento di tale direttiva al 30 aprile 2007, mentre l’articolo 20 di tale direttiva prevede che essa entri in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, ossia il 30 aprile 2004.
8 L’allegato I della medesima direttiva, intitolato «Criteri di cui all’articolo 2, punto 1, lettera a)», prevede quanto segue:
«Il carattere significativo di un danno che produce effetti negativi sul raggiungimento o il mantenimento di uno stato di conservazione favorevole di specie o habitat è da valutare in riferimento allo stato di conservazione, al momento del danno, ai servizi offerti dai valori ricreativi connessi e alla capacità di rigenerazione naturale. Gli effetti negativi significativi rispetto alle condizioni originarie dovrebbero essere determinati con dati misurabili, del tipo:
– numero degli individui, loro densità o area coperta;
– ruolo di determinati individui o dell’area danneggiata in relazione alla specie o alla conservazione dell’habitat, alla rarità della specie o dell’habitat (valutata a livello locale, regionale e più alto, anche a livello comunitario);
– capacità di propagazione della specie (secondo la dinamica propria alla specie o alla popolazione), sua vitalità o capacità di rigenerazione naturale dell’habitat (secondo le dinamiche proprie alle specie che lo caratterizzano o alle loro popolazioni);
– capacità della specie o dell’habitat, dopo che il danno si è verificato, di ripristinarsi in breve tempo, senza interventi diversi da misure di protezione rafforzate, in uno stato che, unicamente in virtù della dinamica della specie o dell’habitat, conduca a condizioni ritenute equivalenti o superiori alle condizioni originarie.
Il danno con un provato effetto sulla salute umana deve essere classificato come significativo.
Non devono essere classificati come danni significativi:
– le variazioni negative inferiori alle fluttuazioni naturali considerate normali per la specie o l’habitat in questione;
– le variazioni negative dovute a cause naturali o risultanti da interventi connessi con la normale gestione dei siti, quale definita nei documenti di gestione o di indirizzo relativi all’habitat, o praticata anteriormente dai proprietari o dagli operatori;
– il danno a specie o habitat per i quali è stabilito che si ripristineranno entro breve tempo e senza interventi, o nelle condizioni originarie o in uno stato che, unicamente in virtù della dinamica della specie o dell’habitat, conduca a condizioni ritenute equivalenti o superiori alle condizioni originarie».
La direttiva «Habitat»
9 L’articolo 1, lettera j), della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU 1992, L 206, pag. 7; in prosieguo: la direttiva «Habitat»), prevede quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva si intende per
(...)
j) Sito: un’area geograficamente definita, la cui superficie sia chiaramente delimitata».
10 L’articolo 2 di tale direttiva prevede quanto segue:
«1. Scopo della presente direttiva è contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato.
2. Le misure adottate a norma della presente direttiva sono intese ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e delle specie di fauna e flora selvatiche di interesse comunitario.
3. Le misure adottate a norma della presente direttiva tengono conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali».
La direttiva «Uccelli»
11 L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU 2010, L 20, pag. 7; in prosieguo: la «direttiva “Uccelli”»), così recita:
«La presente direttiva concerne la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato. Essa si prefigge la protezione, la gestione e la regolazione di tali specie e ne disciplina lo sfruttamento».
12 L’articolo 2 di tale direttiva è del seguente tenore:
«Gli Stati membri adottano le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli di cui all’articolo 1 a un livello che corrisponde in particolare alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative».
Diritto tedesco
13 L’articolo 19, paragrafo 5, seconda frase, punto 2 del Gesetz über Naturschutz und Landschaftspflege (legge sulla protezione della natura e sulla gestione del paesaggio), del 29 luglio 2009 (BGBl. 2009 I, pag. 2542), nella sua versione applicabile alla controversia principale (in prosieguo: il «BNatSchG»), così dispone:
«Di norma non sussistono danni significativi in caso di variazioni negative dovute a cause naturali o risultanti da interventi connessi con la normale gestione dei siti, quale definita nei documenti di gestione o di indirizzo relativi all’habitat, o praticata anteriormente dai proprietari o dagli operatori».
14 L’articolo 5, paragrafo 2, del BNatSchG così recita:
«Per l’uso agricolo, oltre ai requisiti derivanti dalla normativa applicabile all’agricoltura e dall’articolo 17, paragrafo 2, del Bundes-Bodenschutzgesetz [(legge federale sulla protezione del suolo), del 17 marzo 1998 (BGBl. 1998 I, pag. 502)], devono essere osservati in particolare i seguenti principi di buona pratica professionale:
1. la gestione deve essere adattata al sito e deve essere garantita la fertilità sostenibile del suolo e l’utilizzabilità a lungo termine dei terreni;
2. le caratteristiche naturali della superficie utilizzabile (suolo, acqua, flora, fauna) non devono essere compromesse al di là di quanto necessario per ottenere un rendimento sostenibile;
3. gli elementi paesaggistici necessari per il collegamento in rete dei biotopi devono essere preservati e, se possibile, aumentati;
4. l’allevamento deve essere equilibrato rispetto alla produzione vegetale e devono essere evitati effetti nocivi per l’ambiente;
5. sui versanti a rischio di erosione, nelle zone a rischio di inondazione, nei siti in cui c’è un alto livello della superficie freatica e nei siti palustri non deve essere effettuata alcuna conversione dei pascoli;
6. l’uso di fertilizzanti e di prodotti fitosanitari deve essere effettuato in conformità alla normativa agricola di settore; devono essere tenuti registri sull’uso di fertilizzanti, ai sensi dell’articolo 10 del Düngeverordnung [regolamento sui fertilizzanti] del 26 maggio 2017 (BGBl. 2017 I, pag. 1305) nella versione in vigore, nonché relativi all’uso di prodotti fitosanitari, ai sensi all’articolo 67, paragrafo 1, seconda frase, del regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE e 91/414/CEE (GU 2009, L 309, pag. 1)».
15 L’articolo 2, punto 4, del Gesetz über die Vermeidung und Sanierung von Umweltschäden (legge sulla prevenzione e sulla riparazione del danno ambientale), del 10 maggio 2007 (BGBl 2007 I, pag. 666), nella sua versione applicabile alla controversia principale (in prosieguo: l’«USchadG»), così dispone:
«attività professionale: qualsiasi attività svolta nel corso di un’attività economica, commerciale o imprenditoriale, indipendentemente dal fatto che abbia carattere pubblico o privato o che persegua o meno fini di lucro».
16 L’articolo 39, paragrafo 1, prima frase, del Gesetz zur Ordnung des Wasserhaushalts (legge sul bilancio idrico), del 31 luglio 2009 (BGBl. 2009 I, pag. 2585), nella sua versione applicabile alla controversia principale (in prosieguo: il «WHG»), così dispone:
«La manutenzione dei corsi d’acqua superficiali comprende la loro conservazione e il loro sviluppo come obbligo di diritto pubblico (onere di manutenzione)».
17 L’articolo 40, paragrafo 1, prima frase, del WHG è formulato come segue:
«La manutenzione dei corsi d’acqua superficiali è di competenza dei proprietari delle acque, salvo che, ai sensi delle disposizioni normative del Land, essa sia di competenza degli enti locali, di associazioni per l’acqua e il suolo, di consorzi comunali o di altri enti pubblici».
18 L’articolo 38, paragrafo 1, prima frase, punto 1, del Wassergesetz des Landes Schleswig-Holstein (legge sulle acque del Land Schleswig-Holstein), dell’11 febbraio 2008 (Gesetz- und Verordnungsblatt für Schleswig-Holstein, 2008, pag. 91), nella versione applicabile alla controversia principale, dispone quanto segue:
«Oltre alle misure di cui all’articolo 39, paragrafo 1, seconda frase, del WHG, la manutenzione dei corsi d’acqua comprende, in particolare, (…) la conservazione e la salvaguardia di un corretto scarico delle acque, (…)».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
19 Dal 2006 al 2009, parte della penisola di Eiderstedt, situata nella parte occidentale del Land dello Schleswig-Holstein (Germania), è stata designata come «zona di protezione» a causa, in particolare, della presenza del mignattino (Chlidonias niger), un uccello acquatico protetto di 15-30 centimetri, con piumaggio grigio-blu e testa nera, che vive principalmente nelle paludi della costa atlantica. Secondo il piano di gestione, la zona di protezione di tale specie è tuttora prevalentemente gestita tradizionalmente ed estensivamente a pascolo ed è ancora, per le sue dimensioni, la più importante area di riproduzione del mignattino in questo Land.
20 La penisola di Eiderstedt richiede il drenaggio per consentire l’insediamento e l’agricoltura. Ciò avviene attraverso fossati situati tra le parcelle, che sfociano in una rete di canali e sono mantenuti dai rispettivi utenti delle aree adiacenti. L’onere della manutenzione dei canali in quanto canali recettori spetta a un totale di 17 associazioni di irrigazione e bonifica situate nella penisola di Eiderstedt.
21 Il Deich- und Hauptsielverband Eiderstedt, Körperschaft des öffentlichen Rechts, è un consorzio di irrigazione e bonifica avente la forma giuridica di organismo di diritto pubblico, che coordina tali 17 associazioni. Tra i compiti ad esso delegati ex lege vi è la manutenzione dei corsi d’acqua superficiali come obbligo di diritto pubblico. In adempimento di tale compito il Deich- und Hauptsielverband Eiderstedt gestisce, in particolare, le istallazioni di Adamsiel, che comprendono un impianto idrovoro e uno di drenaggio. Tale impianto drena l’intera area coperta da tali associazioni per mezzo di una pompa che entra automaticamente in funzione quando viene raggiunto un determinato livello dell’acqua. I processi di pompaggio così messi in moto provocano una nuova riduzione del livello dell’acqua.
22 Considerando che, gestendo tale stazione di pompaggio, il Deich- und Hauptsielverband Eiderstedt abbia provocato danni ambientali a scapito della specie avicola del mignattino, il Naturschutzbund Deutschland, in conformità con la USchadG adottata ai fini del recepimento della direttiva 2004/35, ha presentato al circondario della Frisia settentrionale, una domanda finalizzata all’adozione di misure di limitazione e riparazione di tali danni, che è stata respinta.
23 Dopo aver invano contestato tale decisione di rigetto dinanzi al Verwaltungsgericht (Tribunale amministrativo, Germania), il Naturschutzbund Deutschland ha presentato ricorso contro la sentenza di tale tribunale dinanzi all’Oberverwaltungsgericht (Tribunale amministrativo superiore del Land, Germania), che ha annullato tale sentenza e ha disposto che il circondario della Frisia settentrionale adottasse una nuova decisione.
24 Il circondario della Frisia settentrionale e il Deich- und Hauptsielverband Eiderstedt hanno poi presentato ricorso per cassazione (Revision) dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania).
25 Al fine di determinare se i danni ambientali di cui trattasi nella causa principale debbano essere considerati non «significativi», ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 5, seconda frase, punto 2, del BNatSchG, che recepisce l’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35, il giudice del rinvio si interroga sull’interpretazione dell’espressione «normale gestione dei siti, quale definita nei documenti di gestione o di indirizzo relativi all’habitat, o praticata anteriormente dai proprietari o dagli operatori» contenuta in tale allegato.
26 In particolare, il giudice del rinvio chiede, in primo luogo, se la nozione di «gestione» debba essere intesa come corrispondente unicamente alle operazioni agricole o se essa comprenda anche la gestione di una stazione di pompaggio per l’irrigazione e il drenaggio dei terreni agricoli, in secondo luogo, se il carattere «normale» della gestione debba essere valutato unicamente in base ai documenti di gestione o di indirizzo relativi all’habitat o se essa possa essere valutata anche con riferimento ad altri principi generali del diritto nazionale, quali la buona pratica professionale di cui all’articolo 5, paragrafo 2, della BNatSchG, in terzo luogo, se il carattere «anteriore» della gestione praticata dal proprietario o dall’operatore implichi solo che una siffatta gestione debba essere stata effettuata in un qualsivoglia momento precedente alla data di recepimento della direttiva 2004/35, ossia il 30 aprile 2007, o se essa debba anche continuare ad essere effettuata in tale data e, in quarto luogo, se una siffatta gestione anteriore debba avvenire indipendentemente o meno dai documenti di gestione o di indirizzo relativi all’habitat.
27 Inoltre, al fine di determinare se il Deich- und Hauptsielverband Eiderstedt esercitasse, nell’ambito della gestione di detta stazione di pompaggio, un’«attività professionale» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, dell’USchadG, che recepisce l’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 2004/35, il giudice del rinvio chiede se, in caso di risposta affermativa alla sua prima serie di questioni, un’attività svolta nell’interesse pubblico in forza di una delega ex lege possa essere considerata di natura professionale, ai sensi di quest’ultima disposizione.
28 Ciò premesso, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1.a) Se nel termine “gestione”, ai sensi dell’allegato I, [terzo] comma, secondo trattino, della direttiva [2004/35] rientrino attività indissolubilmente legate all’utilizzazione diretta del terreno per fini agricoli.
In caso affermativo:
b) In presenza di quali presupposti un metodo di gestione sia considerato “normale” in base ai documenti di gestione o di indirizzo relativi all’habitat ai sensi della direttiva 2004/35.
c) Quale sia il criterio temporale per stabilire se una gestione corrisponda a quella praticata “anteriormente” dai proprietari o dagli operatori ai sensi della direttiva 2004/35.
d) Se la risposta alla questione se una gestione corrisponda a quella praticata anteriormente dai proprietari o dagli operatori ai sensi della direttiva 2004/35 sia indipendente dai documenti di gestione o di indirizzo relativi all’habitat.
2. Se un’attività svolta nell’interesse pubblico in forza di una delega ex lege costituisca un’“attività professionale” ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 2004/35».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
29 Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede come debba essere interpretata l’espressione «normale gestione dei siti, quale definita nei documenti di gestione o di indirizzo relativi all’habitat, o praticata anteriormente dai proprietari o dagli operatori» di cui all’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35.
30 Va notato, in via preliminare, che la prima questione si colloca nel contesto di «danni ambientali» presumibilmente causati ad una specie avicola, il mignattino (Chlidonias niger).
31 A tal proposito, si deve ricordare che la direttiva 2004/35 mira ad istituire un quadro per la responsabilità ambientale, basato su un alto livello di protezione dell’ambiente, sul principio di precauzione e sul principio «chi inquina paga», al fine di prevenire e riparare i danni ambientali causati dagli operatori (v., in tal senso, sentenza del 13 luglio 2017, Túrkevei Tejtermelő Kft., C‑129/16, EU:C:2017:547, punti 47 e 53, e la giurisprudenza ivi citata).
32 Tra le tre categorie di danni che rientrano nella nozione di «danno ambientale», definite all’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2004/35, figurano, alla lettera a) di tale disposizione, i danni causati alle specie e agli habitat naturali protetti, che possono estendere il campo di applicazione di tale direttiva sia ai sensi della lettera a) sia ai sensi della lettera b) dell’articolo 3, paragrafo 1, della medesima.
33 Mentre il concetto di «specie e habitat naturali protetti» deve essere inteso, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2004/35, come riferito in particolare alle specie e agli habitat elencati nelle direttive «Habitat» e «Uccelli», di cui il mignattino (Chlidonias niger) fa parte ai sensi dell’allegato I di quest’ultima direttiva, i danni causati a siffatti specie e habitat sono definiti, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 2004/35, come qualsiasi danno che pregiudichi gravemente l’instaurazione o il mantenimento di uno stato di conservazione soddisfacente di tali specie o habitat.
34 Dall’uso dell’aggettivo «significativi» di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 2004/35, risulta che solo un danno di una certa gravità, qualificato come «danno significativo» nell’allegato I di tale direttiva, può essere considerato come un danno causato alle specie e agli habitat naturali protetti, il che implica, in ciascun caso concreto, la necessità di valutare la portata degli effetti del danno in questione.
35 L’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 2004/35 prevede che una siffatta valutazione deve essere effettuata in relazione allo stato iniziale delle specie e degli habitat interessati, tenendo conto dei criteri di cui all’allegato I di tale direttiva. A questo proposito, i primi due commi di tale allegato indicano i criteri da prendere in considerazione per determinare se il danno in questo stato iniziale è significativo o meno, specificando al contempo che il danno con un provato effetto sulla salute umana deve essere necessariamente classificato come «danno significativo».
36 L’allegato I, terzo comma, della direttiva 2004/35 stabilisce, tuttavia, che i danni ivi elencati non devono essere classificati come «danni significativi». Dall’uso della locuzione «non devono» risulta che gli Stati membri hanno la facoltà, in sede di trasposizione di tale direttiva, di considerare che tale danno sia o non sia significativo, ai sensi dell’allegato I della direttiva stessa.
37 L’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), secondo comma, della direttiva 2004/35 prevede inoltre che il danno alle specie e agli habitat naturali protetti non comprende gli effetti negativi derivanti da un atto di un operatore espressamente autorizzato dalle autorità competenti, secondo le norme di attuazione dell’articolo 6, paragrafi 3 e 4, o dell’articolo 16 della direttiva «Habitat» o dell’articolo 9 della direttiva «Uccelli» oppure, in caso di habitat o specie non contemplati dal diritto dell’Unione, secondo disposizioni equivalenti della legislazione nazionale sulla conservazione della natura. Ne consegue che qualsiasi danno rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), secondo comma, della direttiva 2004/35 è automaticamente escluso dalla nozione di «danno causato alle specie e agli habitat naturali protetti».
38 In tali circostanze, la prima questione, che riguarda il caso di un danno asseritamente causato ad una specie protetta di cui all’allegato I della direttiva «Uccelli», è pertinente solo se l’esclusione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), secondo comma, prima parte dell’alternativa, della direttiva 2004/35, non sia applicabile.
39 Di conseguenza, il danno causato dalla gestione di una stazione di pompaggio che sia stata espressamente autorizzata dalle autorità competenti in base alle disposizioni delle direttive «Habitat» o «Uccelli», menzionate all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), secondo comma, della direttiva 2004/35, non potrebbe essere classificato come «danno causato alle specie e agli habitat naturali protetti», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/35, e non potrebbe rientrare nell’ambito di applicazione di tale direttiva né ai sensi della lettera a), né ai sensi lettera b), dell’articolo 3, paragrafo 1, della stessa.
40 Sempre in via preliminare, va notato che, tra i danni che gli Stati membri non devono classificare come «danni significativi» ai sensi dell’allegato I, terzo comma, della direttiva 2004/35, il secondo trattino di tale comma menziona le variazioni negative dovute a cause naturali o risultanti da interventi connessi con la normale gestione dei siti, quale definita nei documenti di gestione o di indirizzo relativi all’habitat, o praticata anteriormente dai proprietari o dagli operatori. Tale trattino prevede quindi due situazioni in cui il danno non può essere classificato come «danno significativo», ossia il danno dovuto a cause naturali, da un lato, e il danno derivante da interventi connessi alla normale gestione dei siti, dall’altro, fermo restando che la seconda di tali situazioni, che costituisce l’oggetto della prima questione, comporta a sua volta un’alternativa suddivisa in due parti.
41 A tale riguardo, occorre rilevare che la Repubblica federale di Germania ha recepito, all’articolo 19, paragrafo 5, seconda frase, punto 2, del BNatSchG, le due ipotesi di cui all’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35 e che, a tal fine, ha riprodotto testualmente il contenuto di tale secondo trattino nella versione in lingua tedesca della direttiva 2004/35.
42 Orbene, va tuttavia rilevato, come afferma il circondario della Frisia settentrionale nelle sue osservazioni scritte, che, nella formulazione della seconda ipotesi di cui all’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35, vi è una discrepanza tra, da un lato, la versione in lingua tedesca e, dall’altro, le altre versioni linguistiche. Infatti, mentre le versioni linguistiche diverse dalla versione tedesca di tale direttiva riferiscono direttamente il termine «normale» al termine «gestione», in modo da subordinare all’espressione «gestione normale» le due parti dell’alternativa della seconda ipotesi di cui all’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35, la versione in lingua tedesca riferisce solo il termine «gestione» a tali due parti dell’alternativa, mentre il termine «normale» si riferisce solo al primo di queste due parti.
43 Da una giurisprudenza costante della Corte risulta che la formulazione utilizzata in una delle versioni linguistiche di una disposizione del diritto dell’Unione non può essere l’unico elemento a sostegno dell’interpretazione di tale disposizione, né si può attribuire ad essa un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Tale modo di procedere sarebbe, infatti, in contrasto con la necessità di applicare in modo uniforme il diritto dell’Unione. In caso di difformità tra le diverse versioni linguistiche, la disposizione di cui trattasi dev’essere quindi intesa in funzione del sistema e della finalità della normativa di cui fa parte (sentenza del 9 marzo 2017, GE Healthcare, C‑173/15, EU:C:2017:195, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).
44 A tale riguardo, occorre rilevare, come risulta dai punti 34-37 della presente sentenza, che la direttiva 2004/35 adotta una definizione ampia del danno causato alle specie e agli habitat naturali protetti, prevedendo che gli operatori devono essere responsabili di qualsiasi danno significativo, ad eccezione del danno elencato in modo esaustivo all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), secondo comma, della direttiva 2004/35 e di quello considerato dagli Stati membri come non significativo ai sensi dell’allegato I, terzo comma, di tale direttiva.
45 Di conseguenza, nella misura in cui rendono inapplicabile, in linea di principio, il regime di responsabilità ambientale per taluni danni suscettibili di incidere sulle specie e sugli habitat naturali protetti e si discostano così dall’obiettivo principale che è alla base della direttiva 2004/35, vale a dire l’istituzione di un quadro comune per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale al fine di combattere efficacemente l’aumento dell’inquinamento dei siti e l’aggravamento della perdita di biodiversità, tali disposizioni devono necessariamente essere interpretate in senso stretto (v., per analogia, sentenza del 16 maggio 2019, Plessers, C‑509/17, EU:C:2019:424, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).
46 Per quanto riguarda, più in particolare, il danno di cui al terzo comma dell’allegato I della direttiva 2004/35, si deve ritenere che, sebbene il primo e il terzo trattino di tale comma prevedano un danno di scarsa importanza in relazione alla specie o all’habitat in questione, il secondo trattino dello stesso comma riguarda un danno la cui portata può essere significativa in funzione delle cause naturali che colpiscono la specie o l’habitat in questione o delle misure di gestione adottate dall’operatore.
47 Orbene, ammettere, come risulta dalla versione in lingua tedesca dell’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35, che gli Stati membri hanno la facoltà di esonerare gli operatori e i proprietari da ogni responsabilità per il solo fatto che il danno è stato causato da precedenti misure di gestione e, pertanto, a prescindere dalla natura normale di queste ultime, sarebbe idoneo a pregiudicare sia i principi sia gli obiettivi alla base di tale direttiva.
48 Infatti, un approccio simile equivarrebbe a riconoscere agli Stati membri la possibilità di consentire, contrariamente ai precetti derivanti dal principio di precauzione e dal principio «chi inquina paga», e solo perché deriverebbero da pratiche precedenti, misure di gestione che potrebbero essere eccessivamente dannose e inadatte a siti che ospitano specie o habitat naturali protetti e che potrebbero quindi mettere in pericolo o addirittura distruggere tali specie o habitat e aumentare il rischio di perdita di biodiversità in violazione degli obblighi di conservazione che incombono agli Stati membri in forza delle direttive «Habitat» e «Uccelli». La conseguenza di tale approccio sarebbe quella di estendere in modo eccessivamente ampio la portata delle eccezioni previste al terzo comma dell’allegato I della direttiva 2004/35 e priverebbe in parte il regime di responsabilità ambientale istituito da tale direttiva del suo effetto utile, sottraendo a tale regime i danni potenzialmente significativi causati da un’azione volontaria e anormale dell’operatore.
49 Ne consegue che la versione in lingua tedesca dell’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35 deve essere letta nel senso che, come le altre versioni linguistiche, il termine «normale» deve riferirsi direttamente al termine «gestione» e la locuzione «gestione normale» deve riguardare entrambe le parti dell’alternativa della seconda ipotesi prevista in tale secondo trattino.
50 È alla luce di tali considerazioni preliminari che occorre rispondere alla prima questione.
51 A tale riguardo, occorre rilevare che, secondo la formulazione dell’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35, la «gestione» cui si riferisce tale secondo trattino deve riguardare un sito. A questo proposito, va precisato che quest’ultima nozione può riferirsi in particolare ai siti in cui si trovano specie o habitat naturali protetti, ai sensi delle direttive «Habitat» e «Uccelli». Infatti, da un lato, l’allegato I della direttiva 2004/35, al quale rinvia l’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva, rientra esclusivamente nel contesto del danno causato alle specie e agli habitat naturali protetti e, dall’altro, le specie e gli habitat naturali protetti corrispondono in particolare, come menzionato al punto 33 della presente sentenza, alle specie e agli habitat elencati nelle direttive «Habitat» e «Uccelli».
52 Per quanto riguarda il termine «normale», esso corrisponde ai termini «usuale», «consueto» o «comune», che si trovano in diverse versioni linguistiche del secondo trattino, terzo comma, dell’allegato I della direttiva 2004/35, come, ad esempio, le versioni spagnola («corriente») o greca («συνήθη»). Tuttavia, per non privare il termine «normale» del suo utile effetto nel contesto della tutela dell’ambiente, va aggiunto che una gestione può essere considerata normale solo se è in linea con buone pratiche come, segnatamente, le buone pratiche agricole.
53 Dalle considerazioni che precedono consegue che la nozione di «normale gestione dei siti» di cui all’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35 deve essere intesa nel senso che comprende qualsiasi misura che consenta la corretta amministrazione o organizzazione dei siti che ospitano specie o habitat naturali protetti, conforme, in particolare, alle pratiche agricole generalmente ammesse.
54 In tale contesto, occorre precisare che, poiché la gestione di un sito che ospita specie e habitat naturali protetti, ai sensi delle direttive «Habitat» e «Uccelli», comprende necessariamente tutte le misure di gestione adottate per la conservazione delle specie e degli habitat presenti in tale sito, la normale gestione di un sito siffatto deve essere determinata alla luce delle misure necessarie che devono essere adottate dagli Stati membri, sulla base dell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva «Habitat» e dell’articolo 2 della direttiva «Uccelli», per la conservazione delle specie e degli habitat presenti in tale sito e, in particolare, delle misure di gestione previste in dettaglio negli articoli 6 e da 12 a 16 della direttiva «Habitat» e negli articoli da 3 a 9 della direttiva «Uccelli».
55 Ne consegue che la gestione di un sito cui si applicano le direttive «Habitat» e «Uccelli» può essere considerata normale solo se rispetta gli obiettivi e gli obblighi previsti da tali direttive.
56 A tale riguardo, occorre precisare che, tenuto conto dell’interazione esistente tra un sito e le specie e gli habitat che vi si trovano e, in particolare, dell’impatto delle varie forme di gestione del sito su tali specie e habitat, che si riferiscano specificamente a questi ultimi o no, le misure di gestione che gli Stati membri devono adottare sulla base delle direttive «Habitat» e «Uccelli», al fine di soddisfare gli obiettivi e gli obblighi stabiliti da tali direttive, devono necessariamente tener conto degli aspetti caratteristici del sito, quali, in particolare, l’esistenza di attività umane.
57 Al fine di rispondere specificamente alla prima questione, sub a), quale emerge dal contesto delineato dal giudice del rinvio, occorre precisare che la nozione di «gestione normale» può comprendere, in particolare, le attività agricole svolte in un sito che ospita specie e habitat naturali protetti, considerate nel loro insieme, vale a dire anche quelle che possono costituire il complemento indispensabile, come l’irrigazione e il drenaggio e, quindi, la gestione di una stazione di pompaggio.
58 Tale interpretazione è confermata dalla prima parte dell’alternativa della seconda ipotesi menzionata nel secondo trattino, terzo comma, dell’allegato I della direttiva 2004/35. Nel precisare, infatti, che la gestione normale dei siti debba essere intesa nel senso definito nei documenti di gestione o di indirizzo relativi all’habitat, tale prima parte dell’alternativa conferma che una gestione simile va definita alla luce di tutte le misure di gestione adottate dagli Stati membri sulla base delle direttive «Habitat» e «Uccelli», al fine di garantire l’adempimento degli obblighi di mantenimento o di ripristino delle specie e degli habitat protetti da tali direttive.
59 A tale riguardo, se è vero che né la direttiva «Habitat» né la direttiva «Uccelli» fanno riferimento, in una qualunque delle loro disposizioni, alle nozioni di «documenti di gestione» o «di indirizzo» relativi all’habitat, emerge tuttavia dalla prassi di taluni Stati membri, come esposto, tra l’altro, nella relazione della Commissione sull’attuazione della direttiva 92/43/CEE sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali nonché della flora e della fauna selvatiche [SEC(2003) 1478] o nell’allegato 2 del documento guida «Acquacoltura e Natura 2000» della Commissione, che sia i documenti di gestione sia quelli di indirizzo relativi all’habitat corrispondono ai documenti che gli Stati membri devono adottare ai sensi delle direttive «Habitat» e «Uccelli» al fine di soddisfare gli obiettivi di tali direttive e i loro obblighi di conservazione che incombono loro in forza delle stesse. In particolare, da tale relazione e da detto documento guida emerge che i siffatti documenti contengono esattamente le misure necessarie per la gestione delle specie e degli habitat naturali protetti.
60 Inoltre, per fornire una risposta alla prima questione, sub b), occorre precisare che, come spiegato al punto 26 della presente sentenza, qualora, nell’ambito della prima parte dell’alternativa della seconda ipotesi menzionata al terzo comma, secondo trattino, dell’allegato I della direttiva 2004/35, il carattere normale della gestione debba essere determinato sulla base dei documenti di gestione adottati dagli Stati membri sulla base delle direttive «Habitat» e «Uccelli», non si può impedire ad un giudice di uno Stato membro incaricato di valutare in concreto se una misura di gestione sia normale o meno, qualora, da un lato, tali documenti di gestione non contengano informazioni sufficienti per effettuare tale valutazione e, dall’altro, il carattere normale della misura non possa nemmeno essere determinato sulla base della seconda parte di detta alternativa, di valutare tali documenti alla luce degli obiettivi e degli obblighi stabiliti dalle direttive «Habitat» e «Uccelli» o con l’ausilio di norme di diritto nazionale adottate ai fini della trasposizione di tali direttive o, in mancanza, di norme compatibili con lo spirito e la finalità di queste ultime. Spetta al giudice del rinvio accertare, a tale riguardo, se la buona pratica professionale di cui all’articolo 5, paragrafo 2, del BNatSchG, che esso intende utilizzare per valutare il carattere normale della gestione del sito di Eiderstedt, soddisfi tali condizioni.
61 Inoltre, va notato che la normale gestione di un sito può anche risultare, come emerge dalla seconda parte dell’alternativa di cui alla seconda ipotesi menzionata nell’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35, dalla prassi anteriore praticata dai proprietari o dagli operatori. Questa seconda parte di tale alternativa riguarda quindi le misure di gestione che, essendo state praticate per un certo periodo di tempo, possono essere considerate usuali per il sito interessato, a condizione tuttavia, come indicato al punto 55 della presente sentenza, che esse non mettano in discussione il soddisfacimento degli obiettivi e degli obblighi previsti dalle direttive «Habitat» e «Uccelli».
62 Ai fini della risposta alla prima questione, sub d), occorre precisare che la seconda parte di cui trattasi si riferisce a misure di gestione che possono non essere definite nei documenti di gestione adottati dagli Stati membri sulla base delle direttive «Habitat» e «Uccelli». Infatti, sebbene non si possa escludere, in linea di principio, che una misura di gestione anteriore possa essere prevista anche nei documenti di gestione adottati dagli Stati membri sulla base delle direttive «Habitat» e «Uccelli» e possa quindi rientrare sia nella prima che nella seconda parte dell’alternativa della seconda ipotesi di cui all’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35, emerge chiaramente dalla congiunzione «o» che separa queste due parti che esse possono applicarsi indipendentemente l’una dall’altra. Ciò può avvenire, in particolare, quando i documenti di gestione non sono ancora stati realizzati o quando una misura di gestione precedentemente praticata dai proprietari o dai gestori non è menzionata in tali documenti.
63 Per quanto riguarda il carattere anteriore della gestione, oggetto della prima questione, sub c), va sottolineato che, dato che una misura di gestione può rientrare indipendentemente nell’ambito dell’una o dell’altra parte di tale alternativa, il carattere anteriore della gestione non può essere definito con riferimento alla sola data di adozione dei documenti di gestione.
64 Inoltre, poiché il legislatore dell’Unione non ha precisato, nel testo dell’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35, il riferimento temporale a partire dal quale deve essere valutato il carattere anteriore della gestione, si deve ritenere che quest’ultimo non può essere valutato alla luce della data di entrata in vigore o della data di trasposizione della direttiva 2004/35 previste, rispettivamente, agli articoli 20 e 19, paragrafo 1, di tale direttiva. Del resto, una siffatta interpretazione avrebbe l’effetto di circoscrivere la seconda parte dell’alternativa della seconda ipotesi menzionata nell’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35 alle sole pratiche iniziate prima di una di tali date e priverebbe così ampiamente questa seconda parte della sua sostanza vietando agli Stati membri di farvi ricorso per quanto riguarda le misure di gestione praticate dai proprietari o dagli operatori successivamente a dette date. Verrebbe così compromesso un importante punto di equilibrio voluto dal legislatore dell’Unione.
65 In tali circostanze e tenuto conto del fatto che la seconda ipotesi prevista nell’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35 ha lo scopo di consentire agli Stati membri di prevedere un’esenzione dei proprietari e degli operatori per i danni causati alle specie e agli habitat naturali protetti da una normale gestione del sito interessato, si deve concludere che il carattere anteriore della pratica può essere definito solo alla luce della data in cui si è verificato il danno. Quindi, è solo nel caso in cui una normale misura di gestione sia stata praticata per un periodo di tempo sufficientemente lungo fino al verificarsi del danno e sia generalmente riconosciuta e consolidata che tale pregiudizio potrà essere considerato non significativo.
66 Alla luce delle considerazioni che precedono, la prima questione deve essere risolta dichiarando che la nozione di «normale gestione dei siti, quale definita nei documenti di gestione o di indirizzo relativi all’habitat, o praticata anteriormente dai proprietari o dagli operatori», di cui all’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35 deve essere intesa nel senso che comprende, da un lato, qualsiasi misura amministrativa o organizzativa suscettibile di avere un impatto sulle specie e sugli habitat naturali protetti che si trovano in un sito, come risulta dai documenti di gestione adottati dagli Stati membri sulla base delle direttive «Habitat» e «Uccelli» e interpretati, se necessario, con riferimento a qualunque disposizione nazionale di recepimento di tali ultime due direttive o, in mancanza, conforme allo spirito e alla finalità di tali direttive, e, dall’altro, qualsiasi misura amministrativa o organizzativa considerata usuale, generalmente riconosciuta, stabilita e praticata per un periodo di tempo sufficientemente lungo dai proprietari o dagli operatori fino al verificarsi di un danno causato dall’impatto di tale misura sulle specie e sugli habitat naturali protetti, ove tutte queste misure devono anche essere compatibili con gli obiettivi alla base delle direttive «Habitat» e «Uccelli» e, in particolare, con le pratiche agricole generalmente ammesse.
Sulla seconda questione
67 Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 2004/35 debba essere interpretato nel senso che la nozione di «attività professionale» ivi definita comprende anche l’attività svolta nell’interesse pubblico in forza di una delega ex lege.
68 A tale riguardo, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/35, solo il danno causato da un’«attività professionale» rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva, e tale nozione è definita dall’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 2004/35.
69 Quest’ultima disposizione prevede che per «attività professionale» si intende qualsiasi attività svolta nel corso di un’attività economica, commerciale o imprenditoriale, indipendentemente dal fatto che abbia carattere pubblico o privato o che persegua o meno fini di lucro.
70 In tale contesto, se è vero che la locuzione «attività economica» potrebbe sembrare indicare che l’attività professionale debba essere correlata al mercato o presentare natura competitiva, i termini «commerciale» e «imprenditoriale» possono essere intesi, singolarmente o entrambi, a seconda delle diverse versioni linguistiche, sia in senso economico, commerciale o industriale, sia nel senso più generico di «occupazione», «operazione», «opera» o «lavoro». Un’interpretazione siffatta è corroborata dalla formulazione dell’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 2004/35, la quale precisa che l’attività professionale può perseguire o meno fini di lucro.
71 Occorre però ricordare che, ai fini dell’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, bisogna tener conto non soltanto del tenore letterale della disposizione stessa, ma anche del suo contesto e dell’economia generale della normativa di cui essa fa parte, nonché degli obiettivi perseguiti da quest’ultima (sentenza del 30 gennaio 2020, Tim, C‑395/18, EU:C:2020:58, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).
72 Per quanto riguarda, in primo luogo, il contesto in cui è inserito l’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 2004/35, occorre rilevare che l’allegato III della direttiva 2004/35 contiene un elenco delle attività professionali che rientrano in tale direttiva. Tuttavia, tale allegato si riferisce ad attività che, come le operazioni di gestione dei rifiuti, sono generalmente svolte nell’interesse pubblico in forza di una delega ex lege.
73 Inoltre, occorre sottolineare che, nel regime generale della direttiva 2004/35, le attività professionali di cui all’articolo 2, paragrafo 7, della stessa possono essere svolte solo dalle persone che rientrano nel suo ambito di applicazione, vale a dire gli operatori, che sono definiti all’articolo 2, paragrafo 6, di tale direttiva come qualsiasi persona fisica o giuridica, sia essa pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale (v., in tal senso, sentenza del 4 marzo 2015, Fipa Group e a., C‑534/13, EU:C:2015:140, punto 52). Da una lettura combinata dei paragrafi 6 e 7 dell’articolo 2 della direttiva 2004/35 risulta quindi che la nozione di «attività professionale» ha una portata ampia e comprende anche le attività pubbliche senza scopo di lucro svolte da persone giuridiche pubbliche. Orbene, attività simili non hanno, di norma, alcun collegamento con il mercato né hanno natura concorrenziale, cosicché attribuire ai termini «commerciale» o «imprenditoriale», di cui all’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 2004/35, un significato puramente economico, commerciale o industriale equivarrebbe ad escludere la quasi totalità di tali attività dalla nozione di «attività professionale».
74 In secondo luogo, per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2004/35, dalla lettura combinata dei suoi considerando 2, 8 e 9 risulta che, in applicazione del principio «chi inquina paga», essa mira a considerare finanziariamente responsabili gli operatori che, per attività professionali che presentano un rischio reale o potenziale per la salute umana o l’ambiente, hanno causato un danno ambientale, in modo da incoraggiarli ad adottare misure e a sviluppare pratiche in grado di ridurre al minimo i rischi di danni simili.
75 Tuttavia, un’interpretazione che, sebbene i termini «commerciale» o «imprenditoriale», di cui all’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 2004/35 non presentino necessariamente in tutte le versioni linguistiche una portata puramente economica, escluda dalla nozione di «attività professionale» le attività svolte nell’interesse pubblico in forza di una delega ex lege per il fatto che non sarebbero connesse al mercato o non avrebbero natura concorrenziale priverebbe la direttiva 2004/35 di una parte del suo effetto utile, sottraendo dal suo ambito di applicazione tutta una serie di attività, come quelle di cui trattasi nella causa principale, che presentano un rischio reale per la salute umana o per l’ambiente.
76 Da quanto precede consegue che la nozione di «attività professionale», di cui all’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 2004/35, non è circoscritta alle sole attività connesse al mercato o che hanno natura concorrenziale, bensì comprende tutte le attività svolte in un contesto professionale, in contrapposizione a quelle puramente personali o domestiche, e, pertanto, le attività svolte nell’interesse pubblico in forza di una delega ex lege.
77 Alla luce delle considerazioni che precedono, la seconda questione va risolta dichiarando che l’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 2004/35 dev’essere interpretato nel senso che la nozione di «attività professionale» ivi definita comprende anche le attività svolte nell’interesse pubblico in forza di una delega ex lege.
Sulle spese
78 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
1) La nozione di «normale gestione dei siti, quale definita nei documenti di gestione o di indirizzo relativi all’habitat, o praticata anteriormente dai proprietari o dagli operatori», di cui all’allegato I, terzo comma, secondo trattino, della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere intesa nel senso che comprende, da un lato, qualsiasi misura amministrativa o organizzativa suscettibile di avere un impatto sulle specie e sugli habitat naturali protetti che si trovano in un sito, come risulta dai documenti di gestione adottati dagli Stati membri sulla base della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, e della direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e interpretati, se necessario, con riferimento a qualunque disposizione nazionale di recepimento di tali ultime due direttive o, in mancanza, conforme allo spirito e alla finalità di tali direttive, e, dall’altro, qualsiasi misura amministrativa o organizzativa considerata usuale, generalmente riconosciuta, stabilita e praticata per un periodo di tempo sufficientemente lungo dai proprietari o dagli operatori fino al verificarsi di un danno causato dall’impatto di tale misura sulle specie e sugli habitat naturali protetti, ove tutte queste misure devono anche essere compatibili con gli obiettivi alla base delle direttive 92/43 e 2009/147 e, in particolare, con le pratiche agricole generalmente ammesse.
2) L’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 2004/35 dev’essere interpretato nel senso che la nozione di «attività professionale» ivi definita comprende anche le attività svolte nell’interesse pubblico in forza di una delega ex lege.
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