TAR Lombardia (MI) Sez. I, n. 2614 del 25 ottobre 2012
Elettrosmog. Legittimità regolamenti comunali per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti radioelettrici.
Il potere comunale di stabilire mediante gli strumenti urbanistici, la specifica destinazione d’uso in cui è consentita l'installazione degli impianti di telefonia è rinvenibile nella legge urbanistica fondamentale (n. 1150/1942), in cui è previsto che il piano regolatore generale deve indicare la “divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona” (art. 7, comma 2, n. 2), nonché “le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale” (art. 7, comma 2, n. 4). Disposizioni, queste, pienamente applicabili alla disciplina amministrativa sull’elettrosmog, essendone stata, invece, dichiarata l’illegittimità costituzionale solo in riferimento alla reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio. Pertanto, il Comune è legittimato ad adottare previsioni regolamentari volte ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, in sintonia con la pianificazione urbanistica. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 02614/2012 REG.PROV.COLL.
N. 04837/2004 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4837 del 2004, proposto da:H3G S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessandra Bazzani, Guido Bardelli e Antonio Papi Rossi, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Milano, Via Visconti di Modrone, 12
contro
Comune di Besozzo, non costituito in giudizio
per l'annullamento
dell’ordinanza n. 61 del 6.8.2004, con cui il responsabile dell’Area urbanistica ed edilizia privata del Comune di Besozzo ha disposto la sospensione dei lavori di realizzazione di una stazione radio base per la telefonìa cellulare, e ciò a seguito di d.i.a. edilizia presentata dalla stessa società in data 23.1.2004; dell’ordinanza n. 62 dell’11.8.2004, di identico dispositivo; del provvedimento del 3.9.2004, con cui il medesimo responsabile ha integrato e confermato il dispositivo delle ordinanze citate; della deliberazione di C.C. n. 3 del 3.3.2004, avente ad oggetto l’” adozione variante 2004 al P.R.G. per l’adeguamento alla L.R. n. 11/2001”; del verbale di sopralluogo del 9.8.2004.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2012 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso ritualmente proposto la società H3G S.p.A. ha impugnato, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza n. 61 del 6.8.2004, con cui il responsabile dell’Area urbanistica ed edilizia privata del Comune di Besozzo ha disposto la sospensione dei lavori di realizzazione di una stazione radio base per la telefonìa cellulare, e ciò a seguito di d.i.a. edilizia presentata dalla stessa società in data 23.1.2004; l’ordinanza n. 62 dell’11.8.2004, di identico dispositivo; del provvedimento del 3.9.2004, con cui il medesimo responsabile ha integrato e confermato il dispositivo delle ordinanze sopra citate; la deliberazione di C.C. n. 3 del 3.3.2004, avente ad oggetto l’” adozione variante 2004 al P.R.G. per l’adeguamento alla L.R. n. 11/2001”, con particolare riguardo all’art. 257 quinquies delle norme tecniche di attuazione; il verbale di sopralluogo del 9.8.2004.
A fondamento dell’impugnazione sono stati dedotti i seguenti motivi:
1) violazione dell’art. 87, comma 5 e comma 9 del d.lgs. 259/2003, degli artt. 7 e 19 della legge n. 241/90; eccesso di potere per difetto di istruttoria, di motivazione e di presupposti; contraddittorietà e sviamento dalla causa tipica;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 per assoluta carenza di motivazione;
3) violazione dell’art. 87 del d.lgs. 259/2003 e dell’art. 19 della legge n. 241/90; eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria;
4) violazione dell’art. 87 del d.lgs. 259/2003, degli artt. 7 e 19 della legge n. 241/90; eccesso di potere per difetto di istruttoria, di motivazione e di presupposti; contraddittorietà e sviamento dalla causa tipica; violazione dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001, del principio di legalità e di tipicità degli atti amministrativi;
5) violazione e falsa applicazione degli artt. 257 quater e ter delle norme tecniche di attuazione; difetto di istruttoria; errore sul presupposto;
6) violazione dell’art. 87, comma 3 del d.lgs. 259/2003; violazione per falsa applicazione dell’art. 4, commi 11, 12 e 13 della legge regionale n. 11/2001; eccesso di potere per mancanza del presupposto; difetto di istruttoria e di motivazione;
7) violazione dell’art. 4 della legge regionale n. 11/2001; violazione ed eccesso di potere per contraddittorietà con la deliberazione di Giunta regionale n. VII/7351 dell’11.12.2001; difetto di istruttoria e carenza di presupposto; contraddittorietà con la licenza individuale rilasciata a H3G per il servizio pubblico di telefonìa cellulare UMTS; violazione dell’art. 3 del d.lgs. 259/2003;
8) violazione della legge n. 1150/1942, della legge regionale n. 51/75 e n. 23/97; violazione dell’art. 7, comma 13 della legge regionale n. 11/2001;
9) violazione degli artt. 3, 4, 8 e 16 della legge n. 36/2001; violazione degli artt. 3, 4 e 5 del d.m. 381/1998 e del D.P.C.M. 8 luglio 2003; incompetenza assoluta.
La domanda cautelare è stata radicata, oltre che sulla fondatezza in diritto del ricorso, sul pregiudizio che i provvedimenti impugnati avrebbero determinato per il completamento della rete di telefonìa.
Il Comune di Besozzo non si è costituito in giudizio.
Con ordinanza n. 3083 del 17.12.2004 è stata accolta la domanda di sospensione cautelare, sul presupposto che “in relazione alla DIA del 23.1.2004 si è avuto il consolidamento degli effetti di cui all’art. 87, comma 9 del d.lgs. 259/03” e che “in ipotesi, gli effetti conseguenti avrebbero potuto essere rimossi soltanto con atto di autotutela, preceduto da comunicazione di avvio del procedimento”.
Dopo il deposito, in data 17.2.2011, della domanda di fissazione dell’udienza di discussione, infine fissata per il 10.10.2004, la società ricorrente ha ritualmente depositato una memoria conclusiva, nella quale si è riportata ai motivi dedotti ed alle conclusioni già rassegnate.
All’udienza del 10 ottobre 2004 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
Coglie nel segno il primo motivo, con cui la società ricorrente ha dedotto il consolidamento, per silentium, del titolo legittimante la realizzazione dell’impianto, e ciò ai sensi dell’art. 87, comma 9 del d.lgs. 259/2003, in cui si prevede che “le istanze di autorizzazione e le denunce di attività di cui al presente articolo, nonchè quelle relative alla modifica delle caratteristiche di emissione degli impianti già esistenti, si intendono accolte qualora, entro novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda, fatta eccezione per il dissenso di cui al comma 8, non sia stato comunicato un provvedimento di diniego”, come peraltro accertato già in fase cautelare.
Né il Collegio ravvisa che la produzione dell’effetto costitutivo possa ritenersi impedita dall’adozione della deliberazione di C.C. n. 3 del 3.3.2004, avente ad oggetto l’” adozione variante 2004 al P.R.G. per l’adeguamento alla L.R. n. 11/2001”, con cui l’Amministrazione comunale ha introdotto nelle norme tecniche di attuazione al piano regolatore generale l’art. 257 quinquies, il cui punto 3 – che disciplina diverse e non accomunabili fattispecie limitative della localizzazione di impianti per la radiotrasmissione, imponendo correlate cautele esecutive – è stato posto a fondamento delle due ordinanze di sospensione dei lavori di realizzazione dell’impianto oggetto della denuncia di inizio attività del 23.1.2004.
Ciò in quanto, sebbene la deliberazione consiliare, e di riflesso la norma attuativa introdotta, sia stata adottata prima della scadenza di 90 giorni dalla proposizione dell’istanza di autorizzazione da parte della società ricorrente, la disposta regolamentazione non può fungere da richiesta integrativa ai sensi del comma 5 del citato art. 87, in cui è previsto che “il responsabile del procedimento può richiedere, per una sola volta, entro quindici giorni dalla data di ricezione dell'istanza, il rilascio di dichiarazioni e l'integrazione della documentazione prodotta. Il termine di cui al comma 9 inizia nuovamente a decorrere dal momento dell'avvenuta integrazione documentale”.
Rileva, infatti, il Collegio che il citato art. 257 quinquies ha introdotto una regolamentazione della disciplina dell’insediamento degli impianti temperando in modo differenziato i possibili contesti di riferimento (divieto assoluto in caso di area soggetta a tutela artistica; divieto relativo in caso di tutela paesaggistica; prescrizioni di tutela del decoro urbano), e che, di contro, nei provvedimenti impugnati il generico richiamo al punto 3 (“altri ambiti di paesaggio”) – che a sua volta rimanda alle condizioni esecutive previste dalla disciplina contenuta all’art. 257 quater(“impianti per radiotrasmissioni. Area preferenziale”) ed in via presupposta dall’art. 257 ter (“impianti per radiotrasmissioni. Disposizioni tecniche”) – non è corredato da alcuna specifica indicazione delle ragioni ostative alla realizzazione.
Di conseguenza, oltre all’inequivoca formazione del titolo costitutivo per decorso del perentorio termine previsto dall’art. 87, comma 9 del Codice delle Comunicazioni, è da ritenersi fondato anche il secondo e quinto motivo di ricorso, con i quali la società ricorrente ha rispettivamente dedotto l’illegittimità delle ordinanze impugnate per carente – e, va aggiunto, perplessa – motivazione, nonché il difetto di istruttoria.
È invece infondato il terzo motivo di ricorso, con cui la società ricorrente ha assunto che “è noto che il termine temporale entro il quale l’Amministrazione può – con effetto interruttivo del termine – formulare richieste istruttorie è fissato in 15 giorni dalla presentazione della d.i.a., sicchè cade la premessa maggiore da cui parte il Comune (“la fase istruttoria della d.i.a. (…) si è conclusa in data successiva all’adozione della deliberazione del C.C. n. 3 del 03.03.2004)” (cfr. pag. 13 ricorso), richiamando l’orientamento giurisprudenziale che ha attribuito natura perentoria al termine di 15 giorni, previsto dal comma 5 del visto art. 87, entro il quale è data facoltà all’Amministrazione di richiedere, per una sola volta, “il rilascio di dichiarazioni e l'integrazione della documentazione prodotta”.
Ora, fermo restando che – come si è innanzi detto – l’introduzione della citata norma tecnica di attuazione non può ritenersi idonea a costituire, nel caso di specie, il presupposto legittimante l’esercizio di poteri istruttori altrimenti tardivi, appare opportuno soffermarsi sulla questione della natura del visto termine quindicinale.
Al riguardo, occorre partire dall’ultima norma presente nel comma 5 dell’art. 87, in cui è previsto che, in caso di integrazione documentale, ” il termine di cui al comma 9 (vale a dire il termine di 90 giorni dalla presentazione della domanda, produttivo dell’effetto costitutivo) inizia nuovamente a decorrere dal momento dell'avvenuta integrazione documentale”.
Valuta il Collegio che nella nostra legislazione l’espressione “inizia nuovamente a decorrere” è utilizzata, per lo più, per indicare un effetto interruttivo del procedimento (cfr. art. 12 del d.lgs. 163/2006, che in tema di “controlli sugli atti delle procedure di affidamento”, prevede che il termine per l’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria “è interrotto dalla richiesta di chiarimenti o documenti, e inizia nuovamente a decorrere da quando i chiarimenti o documenti pervengono all'organo richiedente”), ma che, d’altro canto, in tema di poteri istruttori da esercitare “per una sola volta”, l’art. 2, comma 7 della legge n. 241/90 prevede che “i termini di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni”.
Ciò premesso, ritiene il Collegio che:
- la mancanza ed espressa attribuzione di una natura perentoria al termine quindicinale, previsto dal comma 5, non può essere ritenuta implicita per analogia con il termine – questo certamente perentorio – previsto dal comma 9 dell’art. 87, essendo disciplinata dal comma 5 la fase istruttoria dell’attività procedimentale, laddove, invece, l’effetto giuridico sostanziale collegato al decorso del termine di 90 giorni riguarda la fase conclusiva del procedimento;
- non pare in sintonìa con le esigenze di certezza del diritto l’assunto secondo cui una volta decorsi 15 giorni dal deposito dell’istanza di autorizzazione, l’Amministrazione non potrebbe richiedere documentazione integrativa, ambivalentemente “collegando a tale richiesta un effetto sospensivo o interruttivo del termine per l’acquisto d’efficacia della d.i.a.” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 16 settembre 2011, n. 5165; Id., sez. VI, ord. 8 ottobre 2004, n. 4582, richiamata, altresì, in T.A.R. Lombardia – Milano, sez. II, 30 marzo 2011, n. 851);
- tale incertezza è resa ancora maggiore in considerazione dell’orientamento secondo cui “in quanto espressione di una norma di carattere generale, il preavviso di rigetto ex art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 interrompe il termine per la conclusione del procedimento di cui all’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003, termine che inizia nuovamente a decorrere dal momento di presentazione delle osservazioni del privato sempreché avvenuta nei dieci giorni a questo scopo previsti (cfr., Consiglio di Stato, sez. VI, 7 gennaio 2008, n. 32; T.A.R. Veneto, sez. III, 7 maggio 2008 n. 1256), nel senso che, per trattarsi di un caso di “interruzione”, e non di “sospensione”, del termine per concludere il procedimento, esso riprende a decorrere nella propria interezza, senza tener conto del periodo già trascorso prima dell’interruzione stessa (cfr., T.A.R. Lazio, sez. II, 16 marzo 2009, n. 2690; T.A.R. Lombardia – Milano, sez. III, 21 aprile 2008, n. 1232)” (cfr. T.A.R. Abruzzo, 25 gennaio 2012, n. 60);
- ai fini del contemperamento tra il principio di semplificazione – che connota la legislazione in tema di telecomunicazioni – e le garanzie di controllo della pubblica Amministrazione sul legittimo insediamento degli impianti sembra preferibile attribuire natura ordinatoria al termine di cui al comma 5, in tal modo non frustrandosi, per ragioni meramente temporali , l’esercizio di un potere di verifica dei presupposti autorizzativi che può agevolmente coordinarsi con una lettura dell’inciso “inizia nuovamente a decorrere” in termini di sospensione, e non di interruzione, del termine di 90 giorni, spirato il quale si determina il consolidamento del titolo che legittima la realizzazione dell’impianto di telefonìa.
Infatti, anche in caso di tardività – oltre i 15 giorni, ma prima dei 90 – della richiesta istruttoria da parte dell’Amministrazione, e sempre, beninteso, nel rispetto della limitazione dell’esercizio di tale prerogativa “per una sola volta”, gli operatori interessati avrebbero tutto l’interesse a celermente depositare la documentazione richiesta, essendo previsto che ” il termine di cui al comma 9 inizia nuovamente a decorrere dal momento dell'avvenuta integrazione documentale”, cioè dal deposito di questa, e non dalla comunicazione delle valutazioni conclusive di carattere istruttorio: così garantendosi, tra le parti – in un contesto di effettiva collaborazione, che è alla base del rapporto procedimentale – un’idonea occasione di approfondimento sulla legittimità dell’intervento senza pregiudizio della celerità dei tempi di decisione circa la sua esecuzione.
Fondato è, inoltre, il quarto motivo di ricorso, dal momento che “gli effetti di un titolo abilitativo efficace” (cfr. pag. 15) e, come si è visto, legittimamente formatosi ai sensi dell’art. 87, comma 9 del d.lgs. 259/2003 non potevano essere inopinatamente sospesi, per di più, come si prevede nei dispositivi di entrambe le ordinanze impugnate, “in attesa di provvedimento definitivo”.
Parimenti fondato è il sesto motivo, con cui la società ricorrente ha dedotto l’illegittimità della nota del 3.9.2004, con cui il competente responsabile del servizio ha integrato – ma ben dopo il decorso del termine di 90 giorni prima citato – il dispositivo dei provvedimenti impugnati con riferimento alla violazione dell’art. 4, comma 11 della legge regionale n. 11/2001, in cui è previsto che “i gestori di reti di telecomunicazione sono tenuti a presentare ai comuni ed all'ARPA, entro il 30 novembre di ogni anno, un piano di localizzazione, articolato per zone di decentramento comunale ove istituite, che, nel rispetto delle indicazioni di cui al presente articolo, descriva lo sviluppo o la modificazione dei sistemi da loro gestiti”.
Va inoltre accolto il settimo motivo, con cui si è censurata la legittimità della variante adottata con la deliberazione di C.C. n. 3 del 3.3.2004, e ciò per contrasto con l’art. 4 della legge regionale n. 11/2001, tenuto conto che l’impianto progettato risulta avere potenza “inferiore a 60 W” (cfr. pagg. 24 – 25 ricorso), dunque inferiore al limite di 300 W, con conseguente applicazione della disciplina di cui all'art. 4, comma 7, della citata legge regionale n. 11/2001, secondo cui gli impianti radio base di tale potenza “non richiedono una specifica regolamentazione urbanistica” (T.A.R. Lombardia – Milano, sez. II, 27 maggio 2005, n. 1113); né, tantomeno, risultando che l’impianto programmato sia situato in corrispondenza di ricettori sensibili (asili, edifici scolastici, strutture di accoglienza socio-assistenziali, ospedali, carceri, etc.), non incorrendosi, dunque, nel divieto assoluto di cui al comma 8 del citato articolo 4 (nel testo ripristinato per effetto della sentenza della Corte Costituzionale del 7 novembre 2003, n. 331).
Con l’ottavo ed il nono motivo, infine, la società ricorrente ha dedotto l’illegittimità dell’esercizio delle competenze comunali, rispettivamente sotto il profilo della lesione delle prerogative di partecipazione dei soggetti interessati e sotto il profilo dello sviamento della funzione pianificatoria, “surrettiziamente diretta al perseguimento di una finalità sanitaria che spetta in via esclusiva allo Stato” (cfr. pag. 25).
Trattasi, ad avviso del Collegio, di censure infondate, in quanto il potere comunale di stabilire, mediante gli strumenti urbanistici, la specifica destinazione d’uso in cui è consentita l'installazione degli impianti di telefonia è rinvenibile nella legge urbanistica fondamentale (n. 1150/1942), in cui è previsto che il piano regolatore generale deve indicare la “divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona” (art. 7, comma 2, n. 2), nonché “le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale” (art. 7, comma 2, n. 4).
Disposizioni, queste, pienamente applicabili alla disciplina amministrativa sull’elettrosmog, essendone stata, invece, dichiarata l’illegittimità costituzionale solo in riferimento alla reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio (cfr. Corte Costituzionale, 20 maggio 1999, n. 179): profilo estraneo all’odierna materia del contendere.
Pertanto, il Comune è legittimato ad adottare previsioni regolamentari volte ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, in sintonìa con la pianificazione urbanistica (cfr. T.A.R. Lombardia – Milano, sez. I, 27 luglio 2012, n. 2119).
In conclusione il ricorso è fondato, nei sensi espressi in motivazione.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella complessiva somma di € 4.500,00, oltre accessori e rifusione del contributo unificato, che il Comune di Besozzo dovrà corrispondere alla società ricorrente.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie.
Condanna il Comune di Besozzo al pagamento delle spese processuali, che liquida in €. 4.500,00, oltre accessori e rifusione del contributo unificato, in favore della società ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Mariuzzo, Presidente
Raffaello Gisondi, Primo Referendario
Angelo Fanizza, Referendario, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/10/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)