TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, n. 178, del 24 aprile 2014
Modificazioni genetiche.Norma regionale per la coltivazione di mais OGM
Il sistema delle coltivazioni transgeniche come delineato dai principi europei, trasfusi nella legislazione italiana e regionale, consente la coltivazione di mais transgenico a certe condizioni, in particolare sulla base di un'autorizzazione rilasciata a livello europeo, e d'altra parte consente da un lato agli Stati membri di intervenire in caso emergano nuove nozioni scientifiche e nuovi pericoli, e d'altro lato ammette una legislazione dei singoli Stati riguardante la coesistenza fra diverse tipologie di coltura. L’atto regionale impugnato del 31 ottobre 2013 non impedisce affatto la coltivazione di mais transgenico, in quanto si limita a prevedere alcuni accorgimenti in fase di raccolta idonei a evitare la commistione di piante di varia origine. Si tratta di una norma specifica finalizzata ad evitare commistioni e comunque emanata in attesa della predisposizione dei piani di coesistenza. La stessa data di raccolta del mais è finalizzata evidentemente a evitare successive commistioni di culture, che sarebbero altamente probabili in caso di maturazione eccessiva del mais medesimo. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00178/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00378/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 378 del 2013, proposto da:
Fidenato Giorgio titolare dell’Azienda Agricola "In Trois", rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Longo, con domicilio eletto presso la Segreteria Generale del T.A.R. in Trieste, piazza Unita' D'Italia 7;
contro
La Regione Friuli-Venezia Giulia Direzione Centrale Attivita' Produttive, Comm., Coop., Risorse Agric., e Forestali, rappresentata e difesa dall'avvocato Daniela Iuri, domiciliata in Trieste, piazza Unita' D'Italia 1;
nei confronti di
Oscar Chiandussi;
per l'annullamento
con contestuale istanza cautelare:
-dell'ordine imposto dalla Direttiva del Servizio del Corpo Forestale Regionale prot. n. 1867 del 31.10.2013 al sig. Giorgio Fidenato di cui alla nota 31.10.2013 di cui al prot. n. SCFR/8112/27212 nonchè dell'ordine 20.11.2013 prot. SCFR/8.12/n. 32868, notificato il 20.11.2013;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Friuli Venezia Giulia Direzione Centrale Attivita' Produttive, Comm., Coop., Risorse Agric., e Forestali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2014 il dott. Umberto Zuballi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente, imprenditore agricolo conduttore di una serie di terreni, intende coltivare mais OGM MON 810 conformemente alla normativa comunitaria e in particolare al regolamento 1821 del 2003 nonché alla direttiva 18 del 2001. La sua attività sarebbe stata ostacolata sia dallo Stato sia dalla regione che in concreto inibiscono il suo diritto a coltivare il mais.
Contesta in particolare l'ordine imposto dal direttore di servizio del corpo forestale regionale del 31 ottobre 2003 nonché l'ordine del 20 novembre 2013.
Con il primo dei due provvedimenti la Regione subordina il diritto di coltivare il tipo di mais a condizioni talmente radicali da impedirne in concreto la coltivazione; in particolare il provvedimento incide sulle operazioni di raccolta del prodotto; il divieto di raccolta e movimentazione si spinge fuori dal campo delle operazioni di trebbiatura limitando e disciplinando in modo particolare le operazioni di scarico del serbatoio della mietitrebbiatrice, le modalità di raccolta e di utilizzo dei macchinari, il trasporto del materiale sulla viabilità agricola oltre che altre modalità di semina e di raccolta. Con il secondo provvedimento impugnato si ordina in sostanza l'estirpazione di quanto coltivato.
Tutte le condizioni poste dalla Regione non trovano riscontro normativo e in sostanza impediscono l'esercizio dell'attività di coltivazione del mais.
Ad avviso dell’instante la posizione della Regione contrasterebbe poi con il pronunciamento della Corte di giustizia dell'unione europea del 6 settembre del 2012 e con l'ordinanza della Corte dell'8 maggio del 2013 con cui in sostanza si riconosce il diritto a coltivare il mais citato.
L'11 aprile 2013 le autorità italiane hanno inviato alla commissione una richiesta con cui si chiedeva di introdurre misure d'urgenza ai sensi dell'articolo 34 del regolamento 1829 del 2003.
In data 17 maggio 2013 la commissione ha risposto ritenendo che non fosse accertata l'urgenza di adottare misure sulla base degli articoli 53 e 54 del regolamento 178 del 2002.
Il ricorrente aveva messo a cultura nel giugno del 2013 il tipo di mais sopra citato.
In data 12 luglio del 2013 il Ministero della salute ha emesso un proprio decreto che vietava la coltivazione di detto mais per un periodo di 18 mesi dalla data di emanazione; tale decreto è stato impugnato dal ricorrente con apposito ricorso al Tar del Lazio.
Il giorno 24 giugno il ricorrente ha comunicato all'autorità amministrativa l'avvenuta semina; in seguito la Regione ha chiesto ulteriore documentazione e informazioni in particolare per quanto riguarda la comunicazione agli altri coltivatori vicini dell'intervenuta semina. Il ricorrente faceva presente che la legge regionale su cui si fonda la richiesta della regione sarebbe contrastante con l'articolo 37 del trattato europeo.
A questo punto interveniva la Direzione regionale con i due provvedimenti in questa sede impugnati in cui si prescriveva e si ordinava al ricorrente di effettuare onerose e irragionevoli operazioni culturali ordinando con il secondo provvedimento l’effettuazione della raccolta del mais entro il 30 novembre del 2013.
A sostegno deduce i seguenti motivi di diritto:
1. Violazione degli articoli 11, 131 e 117 della Costituzione nonché degli articoli 1, 6, 13, 19, 22 della direttiva europea 18 del 2001, del regolamento 1829 del 2003, della direttiva 53 del 2002, dell'articolo 23 della Costituzione, travisamento dei fatti, carenze istruttorie, violazione dell'articolo 3 della legge 241 del 1990 nonché dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.
Gli atti regionali qui impugnati contrastano con il diritto a coltivare mais geneticamente modificato iscritto negli appositi registri comunitari. Il ricorrente sostiene che il decreto legislativo 212 del 2001 non ha connessione con la direttiva europea 18 del 2001.
Fa presente come per coltivare mais geneticamente modificato è necessario produrre una copiosa documentazione. Di fatto la Regione imporrebbe una nuova autorizzazione oltre che per la coltivazione anche per la commercializzazione del mais, il che non è previsto dalla direttiva comunitaria. Inoltre, non sono consentite prescrizioni ulteriori rispetto a quelle già indicate nell'iscrizione del mais nei registri comunitari. La direttiva comunitaria prevede che gli Stati possono adottare le misure opportune per evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altri prodotti, senza peraltro potersi opporre in via generale alla messa in cultura sul loro territorio di tali organismi.
La decisione della commissione europea del 2 settembre 2003 precisa che le coltivazioni di mais autorizzato devono essere consentite negli Stati membri. In particolare l'articolo 22 della direttiva 18 del 2001 prevede che gli Stati non possono vietare, limitare o impedire l'immissione in commercio di organismi geneticamente modificati conformi alla direttiva.
L'articolo 23 della medesima direttiva prevede che uno Stato membro, sulla base di nuove informazioni disponibili dopo la data dell'autorizzazione riguardanti i rischi ambientali ovvero di nuove conoscenze scientifiche, ove ritenga che l'organismo geneticamente modificato rappresenti un rischio per la salute umana e l'ambiente, può temporaneamente limitarne a vietarne l'uso o la vendita sul proprio territorio. Sostiene il ricorrente che tali dati nel caso sono affatto mancanti. Le limitazioni imposte dalla Regione sono tali da impedire di fatto la coltivazione. Osserva poi come l'autorità europea per la sicurezza alimentare ha precisato nel settembre del 2013 che non ci sono evidenze che possono supportare l'idea di un danno o pericolo di danno alla salute derivante dal mais.
Sottolinea poi l'inerzia dell'amministrazione nel fissare le misure di coesistenza, la cui inesistenza rende illegittimi provvedimenti impugnati. A sostegno parte ricorrente cita una copiosa giurisprudenza a livello europeo.
2. Violazione degli articoli 11 e 117 della Costituzione, dell'articolo 267 del trattato europeo per violazione dell'articolo 20 del regolamento 1829 del 2003, degli articoli 23 e 26 della direttiva 18 del 2001, della direttiva 53 del 2002 e travisamento dei fatti.
Nessuno Stato membro può vietare la coltivazione di un prodotto autorizzato dal regolamento europeo se non per particolari motivi, inesistenti nel caso in esame. Le restrizioni possono avvenire solo per effetto delle misure di coesistenza senza peraltro opporsi in via generale alla messa a cultura sul suo territorio del mais autorizzato a livello europeo. Non si possono quindi imporre delle misure come quelle previste dalla Regione sostenendo che sono una misura volta ad evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altre culture.
3. Violazione degli articoli 11 e 117 della Costituzione, dell'articolo 34 del regolamento 1829 del 2003, dell'articolo 267 del Trattato per violazione degli articoli 53 e 54 del regolamento 178 del 2002, travisamento dei fatti.
Gli Stati membri possono adottare misure cautelari solo qualora la commissione non abbia agito ai sensi del citato articolo 53, cosa che invece è avvenuta. Lo Stato italiano aveva chiesto di adottare misure di urgenza nei confronti del mais modificato ma la commissione si è pronunciata precisando l'assenza di elementi di pericolo derivanti dall’impiego di tale mais. La corte di giustizia ha affermato nella sentenza 8 settembre 2011 che le espressioni di grave rischio devono riferirsi non a un rischio generico ovvero a mere supposizioni, ma a elementi nuovi fondati su dati scientifici attendibili. Le conclusioni dell'ente europeo sulla sicurezza alimentare sono nel senso che non ci sono allo stato dati scientifici che comportano l'esistenza di un rischio per la salute derivante dalla coltivazione del mais modificato.
Resiste in giudizio la Regione che contesta l’intero ricorso concludendo in conformità.
Parte ricorrente replica con apposta memoria alle deduzioni avversarie.
Infine nella pubblica udienza del 23 aprile 2014 la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
1. Oggetto del presente ricorso sono due ordini emanati dalla Regione nei confronti del ricorrente, l'uno del 31 ottobre 2013 e l'altro del 20 novembre successivo riguardanti la raccolta del mais transgenico.
Premesso che il ricorrente risulta autorizzato alla coltivazione di un particolare tipo di mais OGM consentito dalla normativa europea, appare opportuno delineare la vicenda normativa e giurisprudenziale concernente la fattispecie.
2. Deve evidenziarsi che l'ordinamento italiano, con il D.Lgs. 24 aprile 2001, n. 212 (Attuazione delle Direttive 98/95/CE e 98/96/CE concernenti la commercializzazione dei prodotti sementieri, il catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole e relativi controlli) prevede che la messa a coltura dei prodotti sementieri sia soggetta ad una specifica autorizzazione (art. 1, comma 2), che mira a garantire i prodotti sementieri tradizionali dal contatto con quelli geneticamente modificati, e che questi ultimi non arrechino danno biologico all'ambiente circostante, tenuto conto delle peculiarità agro-ecologiche, ambientali e pedodimatiche. Si tratta di un provvedimento di competenza del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e con quello della salute, previo parere della Commissione per i prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate (art. 1, comma 3).
Questa Commissione, in particolare, deve indicare le condizioni tecniche da seguire nella messa a coltura di sementi OGM.
3. La direttiva 2001/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio disciplina le forme di utilizzo e di circolazione degli OGM in quanto tali (come prodotto da sperimentare in campo aperto, o come semente destinata prima alla vendita e poi alla semina), esclusi soltanto l'impiego di microrganismi GM in ambiente confinato e la circolazione sul mercato di OGM già raccolti, costituenti alimenti in quanto tali o ingredienti di altri alimenti. Tale normativa persegue le finalità di garantire la tutela dell'ambiente, della vita e della salute di uomini, animali e piante, e di assicurare che la remissione in campo aperto e la vendita di un prodotto autorizzato in quanto conforme alla disciplina medesima non possano essere impedite posto che, fino a prova contraria, tale prodotto non deve essere considerato un pericolo.
Gli Stati membri possono opporsi alla circolazione dei soli organismi non autorizzati secondo la direttiva e ad essi - sotto il profilo del rischio ambientale e sanitario - è vietato impedire o anche soltanto limitare la immissione in commercio o l'emissione nell'ambiente di un OGM, se non nei casi previsti dalla c.d. "clausola di salvaguardia" (art. 23 della direttiva), secondo cui, "Qualora uno Stato membro, sulla base di nuove o ulteriori informazioni divenute disponibili dopo la data dell'autorizzazione e che riguardino la valutazione di rischi ambientali o una nuova valutazione delle informazioni esistenti basata su nuove o supplementari conoscenze scientifiche, abbia fondati motivi di ritenere che un OGM come tale o contenuto in un prodotto debitamente notificato e autorizzato per iscritto in base alla presente direttiva rappresenti un rischio per la salute umana o l'ambiente, può temporaneamente limitarne o vietarne l'uso o la vendita sul proprio territorio. Lo Stato membro provvede affinchè, in caso di grave rischio, siano attuate misure di emergenza, quali la sospensione o la cessazione dell'immissione in commercio, e l'informazione del pubblico. Lo Stato membro informa immediatamente la Commissione e gli altri Stati membri circa le azioni adottate a norma del presente articolo e motiva la propria decisione, fornendo un nuovo giudizio sulla valutazione di rischi ambientali, indicando se e come le condizioni poste dall'autorizzazione debbano essere modificate o l'autorizzazione debba essere revocata e, se necessario, le nuove o ulteriori informazioni su cui è basata la decisione".
I principi fissati dalla citata direttiva sono stati recepiti, in Italia, con il D.Lgs. 8 luglio 2003, n. 224.
4. La Commissione Europea, poi, con i regolamenti nn. 1829/2003 e 1830/2003, ha completato la disciplina contenuta nella direttiva del 2001, stabilendo ulteriori regole che condizionano e rendono più rigorosa l'autorizzazione e la successiva presenza degli OGM sul mercato, senza tuttavia mutare il principio di armonizzazione che fa prevalere la libera circolazione delle merci, alla quale gli Stati, in presenza di un prodotto conforme alla normativa comunitaria, non possono opporsi.
L'art. 26 bis della Direttiva 2001/18/CE (introdotto dal Regolamento CE 1829/2003) prevede, però, la possibilità per gli Stati membri di adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati (OGM) in altri prodotti (c.d. misure di coesistenza), in particolare per evitare la presenza di OGM in altre colture, come le colture convenzionali o biologiche; prevenire l'impatto della eventuale commistione, che non consentirebbe ai produttori ed ai consumatori di scegliere tra produzione convenzionale, biologica e geneticamente modificata; prevenire la potenziale perdita economica che verrebbe indotta dalla presenza involontaria di OGM in altri prodotti.
5. Con la raccomandazione 2003/556/CE del 23 luglio 2003, la stessa Commissione ha invitato gli Stati membri ad adottare ogni misura opportuna per limitare gli effetti economici connessi alle potenzialità diffusive degli OGM, evitando per quanto possibile che essi contaminino colture diverse.
Viene altresì in rilievo per quanto qui interessa il punto 1.1 degli orientamenti allegati alla raccomandazione del 23 luglio 2003, intitolato «Il concetto di coesistenza», ove si spiega che la coltivazione di OGM nell'Unione europea non sarà priva di implicazioni sull'organizzazione della produzione agricola. Da un lato, la possibile presenza accidentale (involontaria) di colture transgeniche in colture non geneticamente modificate e viceversa induce a interrogarsi su come si potrà garantire ai produttori la facoltà di scegliere tra le diverse filiere di produzione. In linea di massima gli agricoltori dovrebbero poter scegliere liberamente quale tipo di coltura praticare, convenzionale, transgenica o biologica e nessuna di queste forme di agricoltura dovrebbe essere esclusa nell'Unione europea.
D'altro canto, questa problematica è legata anche alle scelte dei consumatori: per offrire ai consumatori europei una reale possibilità di scelta tra cibi transgenici e non transgenici, è necessario non solo poter contare su un sistema efficace di etichettatura e di tracciabilità, ma anche su un settore agricolo in grado di fornire questi diversi tipi di prodotti. La capacità dell'industria alimentare di offrire un'ampia possibilità di scelta ai consumatori va di pari passo con la capacità del settore agricolo di mantenere filiere di produzione separate.
La coesistenza si riferisce alla possibilità per i conduttori agricoli di praticare una scelta tra colture geneticamente modificate, produzione convenzionale e biologica, nel rispetto degli obblighi regolamentari in materia di etichettatura o di standard di purezza.
6. Il legislatore nazionale, con il D.L. 22 novembre 2004, n. 279, convertito dalla L. 28 gennaio 2005, n. 5, ha fissato la disciplina interna per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica, prevedendo, anzitutto, l'obbligo di adottare "piani di coesistenza" tra le diverse colture, "al fine di non compromettere la biodiversità dell'ambiente naturale e di garantire la libertà di iniziativa economica, il diritto di scelta dei consumatori e la qualità e la tipicità della produzione agroalimentare nazionale" (art. 1, comma 1).
7. La Raccomandazione 2003/556/CE è stata abrogata e sostituita dalla Raccomandazione 2010/C 200/01 del 13 luglio 2010, che, alla stregua del principio di coesistenza, ha ribadito la necessità di "combinare il sistema di autorizzazione dell'Unione europea, basato sulla scienza, con la libertà per gli Stati membri di decidere se autorizzare o meno la coltivazione di OGM nel loro territorio", cosicchè è proprio a livello di Stati membri che devono essere stabilite le misure per evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche.
8. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 116 del 2006, ha dichiarato l'illegittimità del D.L. n. 279 del 2004, artt. 3 e 4, e art. 6, commi 1 e 2, artt. 7 e 8, (disposizioni che attribuivano allo Stato la competenza ad adottare le norme-quadro alle quali le singole Regioni avrebbero dovuto attenersi per redigere i piani di coesistenza), affermando che la disciplina degli OGM appartiene alla competenza legislativa residuale esclusiva delle Regioni, perchè non è riconducibile agli elenchi di cui all'art. 117 Cost., commi 2 e 3, non rientrando nè nella competenza statale esclusiva (tutela dell'ambiente), nè nella competenza concorrente (tutela della salute).
La Corte ha, in ogni caso, fatto salvo il principio di coesistenza, affermando che le diverse colture (tra cui gli OGM) devono essere praticate senza reciprocamente compromettersi, in modo da tutelare le peculiarità e le specificità produttive di ciascuna e da evitare commistioni tra sementi, e senza pregiudizi per le attività agricole preesistenti (che non debbono trovarsi costrette a modificare o adeguare le loro tecniche di coltivazione e allevamento), assicurando agli agricoltori, agli operatori e ai consumatori la possibilità di scelta attraverso la separazione delle rispettive filiere.
9. La giurisprudenza amministrativa, preso atto di tale quadro complessivo, evidenzia che il diritto dell'Unione, da un lato, ha inteso regolare ogni aspetto incidente sulla circolazione degli OGM, dall'altro, ha lasciato agli Stati membri la facoltà di "adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti", facendo intendere che, fra quelle misure, vi sono anche le regole tecniche agronomiche volte ad evitare la commistione del materiale genetico tra le diverse colture (T.A.R. Lazio - Roma, Sez. 2 ter, n. 2378/2010).
La disciplina comunitaria, dunque, consente alla normativa interna la possibilità di adottare le misure più opportune per limitare gli effetti connessi alle potenzialità diffusive degli OGM e, quindi, non compromettere la biodiversità dell'ambiente naturale, in modo da garantire la libertà di iniziativa economica, il diritto di scelta dei consumatori e la qualità e la tipicità della produzione agroalimentare nazionale. In altri termini, è lasciata alla legislazione degli Stati membri la possibilità di adottare ogni misura preventiva in grado di evitare commistioni fra prodotti, individuando le modalità più idonee in grado di far convivere tra loro le tre filiere (agricoltura transgenica, convenzionale e biologica).
10. Con la sentenza sez. 6, 19 gennaio 2010, n. 183 il Consiglio di Stato ha dato atto dell'immanenza, in ambito nazionale, del principio di coesistenza di derivazione comunitaria (seppure in una controversia avente ad oggetto il silenzio dell'amministrazione). Si è, in particolare, precisato che "il rilascio dell'autorizzazione alla coltivazione non può essere condizionato alla previa adozione dei piani di coesistenza" e che non si può ritenere che in attesa dei c.d. piani di coesistenza regionali, venga meno l'obbligo di istruzione e conclusione dei procedimenti autorizzatori disciplinati da fonti legislative (e regolamentari) diverse dal D.L. n. 279 del 2004.
11. Secondo questo Collegio, alla stregua delle chiare enunciazioni della disciplina europea e interna e delle argomentazioni svolte dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa, deve, dunque, ribadirsi che esiste in ambito europeo e nazionale il "principio di coesistenza" e che il D.L. n. 279 del 2004, artt. 1 e 2, attua i principi comunitari, i quali tendono a salvaguardare l'agricoltura (anche) tradizionale e a mettere i consumatori nelle condizioni di potere effettuare scelte in maniera oculata. Restano, dunque, demandati agli Stati membri, nel quadro della coesistenza, gli aspetti dell'economia connessi alla commistione tra colture transgeniche e non transgeniche.
12. La Regione Friuli Venezia Giulia con la legge regionale 6 del 2013 ha modificato la precedente legge regionale 5 del 2011 individuando tra l'altro sistemi per approvare le misure per evitare la presenza involontaria di culture geneticamente modificate rispetto a quelle convenzionali e biologiche.
Conviene riprodurre i due articoli della legge regionale n. 6 del 2013 che qui rilevano:
ARTICOLO N.2
Misure per evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche
1. Al fine di evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche, con regolamento regionale, sono approvate le misure di cui alla raccomandazione della Commissione europea del 13 luglio 2010 recante orientamenti per l’elaborazione di misure nazionali in materia di coesistenza per evitare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche.
2. Le misure di cui al comma 1 tengono conto, in particolare, dei seguenti fattori: le condizioni naturali, le condizioni climatiche che influenzano l’attività degli impollinatori e la dispersione di polline attraverso l’aria, la topografia, i modelli produttivi, le strutture aziendali comprese le strutture circostanti e i sistemi di rotazione delle colture.
3. Le misure di cui al comma 1 possono prevedere appositi requisiti, prescrizioni tecniche e limitazioni per la coltivazione di OGM, fra cui l’esclusione della coltivazione di OGM da aree del territorio regionale in presenza delle seguenti condizioni:
a) in tali aree non è possibile raggiungere un livello sufficiente di purezza con altri mezzi;
b) le misure restrittive sono proporzionali rispetto all’obiettivo di tutela delle esigenze specifiche degli agricoltori che operano secondo metodi convenzionali o biologici.
4. Al fine di evitare la potenziale perdita di reddito da parte dei produttori biologici e di specifiche tipologie di produttori convenzionali, nonché al fine di tutelare particolari tipi di produzioni, le misure di cui al comma 1 possono prevedere il raggiungimento di livelli di commistione inferiori allo 0,9 per cento.
5. Il regolamento di cui al comma 1 può prevedere il pagamento di una tariffa, proporzionale alla superficie coltivata, finalizzata a copertura forfettaria dei costi sostenuti dall’ERSA per gli accertamenti tramite campioni nei terreni di cui all’articolo 7, comma 1.
6. Il regolamento di cui al comma 1 è approvato in via preliminare dalla Giunta regionale sentito il tavolo tecnico di cui all’articolo 7, comma 2, ed è comunicato alla Commissione europea ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 98/34/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione. Il regolamento è emanato a seguito della conclusione dell’esame da parte della Commissione europea.
7. Resta ferma l’osservanza delle misure adottate dagli organi dello Stato, nell’ambito delle proprie competenze in materia di tutela della salute umana, della salute degli animali e dell’ambiente, ai sensi dell’articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio o ai sensi dell’articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati.
ARTICOLO N.11 bis
Norme transitorie
1. Nelle more della costituzione del tavolo tecnico di cui all’articolo 7, comma 2, il regolamento di cui all’articolo 2 è approvato in via preliminare da parte della Giunta regionale previa consultazione degli enti, delle associazioni e dei soggetti previsti dall’articolo 7, comma 2.
2. Fino a quando le misure di cui all’articolo 2 non sono approvate in via definitiva, in caso di accertata coltivazione di OGM e in caso di accertato pericolo che tale coltivazione possa determinare la presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche, il Servizio competente in materia di Corpo forestale regionale ordina al conduttore del fondo l’adozione dei possibili accorgimenti necessari a evitare la presenza involontaria di OGM, secondo modalità tecniche stabilite dall’ERSA nel rispetto della raccomandazione della Commissione europea del 13 luglio 2010 e di quanto previsto dall’articolo 2, commi 2 e 4.
3. Qualora il conduttore non ottemperi entro il termine prescritto, l’attuazione degli accorgimenti di cui al comma 2 è eseguita dal Servizio competente in materia di Corpo forestale regionale direttamente o tramite terzi, con oneri a carico del conduttore.
13. Ciò premesso, va innanzitutto evidenziato come gli accorgimenti ordinati dalla Regione al ricorrente riguardino unicamente la fase della raccolta del mais, senza occuparsi della fase della semina e coltivazione. La Regione ha poi richiamato espressamente negli atti gravati il fatto che la Commissione europea in data 13 luglio 2000 ha preso come parametro tecnico scientifico le indicazioni fornite dall'ufficio europeo di coesistenza in un documento tecnico del 2010 riguardante le pratiche migliori per evitare la commistione di varie culture.
14. Con la prima censura il ricorrente si sofferma sull’impossibilità per gli Stati membri di assoggettare le colture transgeniche a una procedura di autorizzazione nazionale quando tale cultura sia già autorizzata a livello europeo.
La doglianza non coglie nel segno, in quanto la Regione non interviene affatto nella fase autorizzativa, in quanto il mais coltivato dal ricorrente risulta già autorizzato livello europeo e non è possibile applicare la salvaguardia di cui all'articolo 23 della direttiva 18 del 2001. L'intervento della Regione riguarda solo la fase della raccolta, non già quella della semina e dell'autorizzazione e la coltivazione de qua non viene affatto proibita dal Regione medesima.
15. Il secondo motivo di ricorso riguarda una presunta violazione della normativa europea come interpretata dalla Corte di giustizia laddove non consente agli Stati membri di negare un’autorizzazione qualora essa sia stata già concessa a livello comunitario, come nel caso.
Anche su questa censura va osservato come le indicazioni per la raccolta non rientrano tra le misure di coesistenza di cui all'articolo 26 bis della direttiva 18 del 2001, ma consistono in accorgimenti volti ad evitare la presenza involontaria dell'organismo geneticamente modificato in altre culture.
Ciò vale anche per la terza censura con cui si assume la violazione degli articoli 53 e 54 del regolamento 178 del 2002 oltre che dell'articolo 34 del regolamento 1829 del 2003. I provvedimenti impugnati invero non risultano adottati ai sensi degli articoli citati ma semplicemente sulla base della disciplina transitoria di cui all'articolo 11 bis della legge regionale 5 del 2011, in attesa che vengano approvati i piani di coesistenza.
16. In sostanza tutte e tre le censure sollevate dal ricorrente partono da un presupposto errato, che cioè la Regione abbia inteso vietare ovvero assoggettare a un’autorizzazione ulteriore rispetto a quella già rilasciata in sede europea la coltivazione del mais transgenico. Invece, da una semplice lettura dei due atti impugnati, emerge come la Regione abbia inteso disciplinare unicamente la fase di raccolta del mais, applicando direttamente all'articolo 11 bis della legge regionale 5 del 2011 e quindi il principio di coesistenza.
A ben leggere, tutte le dettagliate disposizioni contenute nei due ordini impugnati in questa sede riguardano accorgimenti necessari per evitare la commistione delle culture, questo vale sia per le modalità di raccolta, sia di trasporto e di utilizzo dei macchinari. Le stesse disposizioni riguardanti la data di raccolta mirano a evitare che l'eccessiva maturazione delle spighe renda maggiormente probabile la commistione delle colture. Anche le disposizioni criticate dal ricorrente riguardanti la natura e la rimozione del terreno hanno lo scopo evidente di evitare che rimangano nel terreno stesso piante geneticamente modificate, con il rischio di contaminazione dei terreni limitrofi.
17. In sostanza, tutte le singole disposizioni previste dai due provvedimenti regionali, tra l'altro adottate sulla base delle indicazioni di un organo tecnico, rientrano in quelle misure transitorie previste dall'articolo 11 bis della legge regionale. Tale articolo peraltro, che prevede una disciplina transitoria in attesa dell'emanazione di un regolamento regionale sulla coesistenza di colture, risulta anch'esso conforme alla disciplina europea che demanda ai singoli Stati, e nel caso dell'Italia alle regioni, la normazione in materia di coesistenza, il che per sua natura implica la possibilità di coltivazione di mais transgenico autorizzato a livello europeo. La questione quindi di costituzionalità sollevata dal ricorrente in merito alla normativa regionale appare manifestamente infondata, posto che la Regione non ha inteso affatto proibire la coltivazione di mais transgenico.
Tra l'altro la normativa regionale e i due provvedimenti in questa sede di discussione costituiscono l'applicazione del noto principio europeo di precauzione, pacifico soprattutto quando si tratta di tutela della salute umana e animale.
18. Concludendo: il sistema delle coltivazioni transgeniche come delineato dai principi europei, trasfusi nella legislazione italiana e regionale, consente la coltivazione di mais transgenico a certe condizioni, in particolare sulla base di un'autorizzazione rilasciata a livello europeo, e d'altra parte consente da un lato agli Stati membri di intervenire in caso emergano nuove nozioni scientifiche e nuovi pericoli, e d'altro lato ammette una legislazione dei singoli Stati riguardante la coesistenza fra diverse tipologie di coltura. Nel caso in esame i principi europei risultano rispettati.
Va peraltro osservato come nel provvedimento impugnato emesso dalla Regione vi è un riferimento espresso al documento dell'istituto europeo per le prospettive tecnologiche, il quale al punto 3.4 si occupa della raccolta del mais.
19. In altri termini, l’atto regionale impugnato del 31 ottobre 2013 non impedisce affatto la coltivazione di mais transgenico, in quanto si limita a prevedere alcuni accorgimenti in fase di raccolta idonei a evitare la commistione di piante di varia origine. Si tratta di una norma specifica finalizzata ad evitare commistioni e comunque emanata in attesa della predisposizione dei piani di coesistenza. La stessa data di raccolta del mais è finalizzata evidentemente a evitare successive commistioni di culture, che sarebbero altamente probabili in caso di maturazione eccessiva del mais medesimo.
Per le ragioni sopraindicate il ricorso va rigettato, anche se la novità delle questioni induce il Collegio a compensare le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Umberto Zuballi, Presidente, Estensore
Enzo Di Sciascio, Consigliere
Manuela Sinigoi, Primo Referendario
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IL PRESIDENTE, ESTENSORE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)