TAR Lazio (RM) Sez. II n. 32176 del 8 settembre 2010
Ambiente in genere. Interventi soggetti a VIA statale
Aldilà del chiaro dato testuale dell'art. 7, c. 5 del d.lgs. n. 152/2206, deve affermarsi la diretta competenza del Ministro in materia di interventi soggetti a VIA statale, non potendosi al contrario invocare in modo meccanico e formalistico il criterio di riparto tra indirizzo politico e gestione indicato nell’art. 4 del Dlg 30 marzo 2001 n. 165.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 32176/2010 REG.SEN.
N. 00942/2010 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 942/2010 RG, proposto dal COMUNE DI ROSOLINA (RO), in persona del sig. Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Luigi BRASCHI e Luigi MIGLIORINI, con domicilio eletto in Roma, v.le Parioli n. 180,
contro
- il MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE ed il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, in persona dei rispettivi sigg. Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici si domiciliano in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e
- la REGIONE VENETO, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, rappresentata e difesa dagli avv. Andrea MANZI ed Ezio ZANON, con domicilio eletto in Roma, via F. Gonfalonieri n. 5 e
nei confronti di
della ENEL PRODUZIONE s.p.a., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, controinteressata, rappresentata e difesa dal prof. Giuseppe DE VERGOTTINI e dall’avv. Cesare CATURANI, con domicilio eletto in Roma, via A. Bertoloni n. 44,
per l'annullamento
A) – del decreto prot. n. DSA-DEC 2009/0000873 del 24 luglio 2009, pubblicato nella G.U. n. 189 del successivo 17 agosto, con cui il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale sul progetto proposto dalla Società controinteressata per la realizzazione d’una centrale termoelettrica da 1980 Mw ed alimentata a carbone e biomasse vergini nella misura massima del 5% su due gruppi, ubicata nel Comune di Porto Tolle (RO), in luogo dell’esistente centrale ad olio combustibile; B) – del parere favorevole reso dalla Commissione tecnica VIA-VAS n. 285 del 29 aprile 2009 e del successivo parere espresso dal Comitato di coordinamento della Commissione reso nella seduta del 9 luglio 2009; C) – del parere favorevole reso dal MIBAC in data 16 marzo 2009; D) – ove occorra, del decreto n. 194/2008 del 23 giugno 2008, con cui il Ministro dell’ambiente ha proceduto alla quasi totale rinnovazione dei componenti della predetta Commissione;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all'udienza pubblica del 26 maggio 2010 il Cons. dott. Silvestro Maria RUSSO e uditi altresì, per le parti, gli avvocati BRASCHI, MANZI e CATURANI, il prof. DE VERGOTTINI e l’Avvocato dello Stato GUIDA;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Il Comune di Rosolina (RO) rende noto che, nel territorio comunale di Porto Tolle (loc. Polesine Camerini) e sita nel delta del Po –ancorché attualmente al di fuori del perimetro provvisorio del relativo Parco–, esiste da vari decenni una centrale termoelettrica finora funzionante ad olio combustibile.
Detto Comune dichiara altresì che, con istanza in data 31 maggio 2005, l’ENEL PRODUZIONE s.p.a., corrente in Roma, ha chiesto al Ministero dell’ambiente il rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 1, c. 2 del DL 7 febbraio 2002 n. 7 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2002 n. 55), con contestuale pronuncia di compatibilità ambientale ex art. 6 della l. 8 luglio 1986 n. 349. Tanto con riguardo al progetto di realizzazione d’una centrale termoelettrica da 1980 Mw ed alimentata a carbone e biomasse vergini nella misura massima del 5% su due gruppi, in luogo della predetta centrale ad olio combustibile.
Detto Comune fa presente pure che la Commissione VIA nazionale del Ministero dell’ambiente espresse in un primo tempo una decisione interlocutoria, comunicata alla Società istante il 13 agosto 2007, di segno sfavorevole alla richiesta de qua. E ciò in relazione sia alla qualità peggiore delle emissioni in atmosfera d’una CTE a carbone rispetto a quelle d’una CTE alimentata a metano, sia all’irrilevanza in sé della vetustà dell’impianto esistente e del suo mantenimento in un’area delicata qual è il delta del Po.
Il Comune di Rosolina, il quale per dimostrare la propria legittimazione alla presente impugnazione dichiara d’esser stata indicato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Rovigo quale soggetto offeso dal reato in un procedimento penale inerente l’impianto de quo, assume che la trasformazione di quest’ultimo sarebbe in contrasto con l’art. 30 della l. reg. Veneto 8 settembre 1997 n. 36 e che, nel frattempo, detta norma sarebbe stata oggetto di tentativi di modifica poi frustrati. È intervenuto tuttavia l’art. 5-bis del DL 10 febbraio 2009 n. 5 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2009 n. 33), in virtù del quale la Commissione nazionale VIA ha espresso, in data 29 aprile 2009, il proprio parere favorevole al progetto di riconversione della Società istante. Sono seguiti poi la deliberazione n. 2018 del 7 luglio 2009 –con cui la Giunta regionale del Veneto ha recepito il parere favorevole della Commissione VIA regionale– , nonché il decreto prot. n. DSA-DEC 2009/0000873 del 24 luglio 2009, pubblicato nella G.U. n. 189 del successivo 17 agosto, con cui il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale sul progetto de quo.
Avverso tali atti è allora insorto il Comune di Rosolina, con gravame straordinario, deducendo in punto di diritto sette articolati mezzi d’impugnazione. A seguito di richiesta di trasposizione di tal gravame in sede giurisdizionale, il Comune ricorrente, con atto depositato innanzi a questo Giudice il 29 gennaio 2010, ha riassunto la causa in questa sede ribadendo tutte le questioni già dedotte. Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate, che concludono per l’infondatezza della pretesa attorea. Pure la controinteressata ENEL PRODUZIONE s.p.a. resiste in giudizio, eccependo articolatamente sia la legittimazione del Comune ricorrente, sia, nel merito, la stessa fondatezza delle doglianze di questo.
Alla pubblica udienza del 26 maggio 2010, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1. – È all’odierno esame del Collegio l’impugnazione, qui spiegata dal Comune di Rosolina (RO) a seguito della trasposizione d’identico gravame straordinario, avverso i provvedimenti ministeriali ed i relativi pareri inerenti alla trasformazione dell’alimentazione della centrale termoelettrica di Porto Tolle (RO), da olio combustibile a carbone.
Si può prescindere da ogni considerazione sull’ammissibilità del ricorso in epigrafe, in quanto esso non ha pregio e va disatteso, per le ragioni qui di seguito indicate.
2. – Con il primo mezzo di gravame, il Comune ricorrente si duole dell’incompetenza del Ministro dell’ambiente nell’emanazione, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, del decreto con cui, a seguito d’una lunga ed articolata istruttoria sul progetto de quo (a sua volta modificato su vari aspetti), se n’è accertata la compatibilità ambientale, di cui, a suo dire, si sarebbe dovuta occupare la dirigenza ministeriale.
Tale tesi, tuttavia, è smentita dal chiaro dato testuale dell’art. 7, c. 5 del Dlg 3 aprile 2006 n. 152, nel testo da ultimo introdotto dall’art. 1, c. 1 del Dlg 16 gennaio 2008 n. 4. In base a siffatta disposizione, infatti, <<… in sede statale, l'autorità competente è il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare…>>, nel caso di VIA <<… di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, che collabora alla relativa attività istruttoria…>>.
Ora, il precedente art. 5, c. 1, lett. p), nel fornire le definizioni fondamentali in materia, indica quale <<autorità competente>>, la P.A. cui spetta, <<…l'adozione… dei provvedimenti conclusivi in materia di VIA, nel caso di progetti…>>, mentre poi è l’art. 7 a specificare (commi 5/7) i soggetti istituzionali competenti ai vari livelli di governo. Solo per lo Stato, però, la legge direttamente individua nell’organo ministeriale siffatta competenza, per l’evidente ragione che sussiste in materia uno specifico interesse pubblico, generale e strategico all'incremento della produzione energetica della Repubblica, in disparte l’impossibilità ex art. 123 Cost. per la norma statale d’ ingerirsi nell’organizzazione interna in via immediata delle Regioni. Soccorre al riguardo sia il modo d’attuazione del principio di sussidiarietà indicato nell’art. 3-quinquies, c. 3 del Dlg 152/2006, per cui spetta allo Stato d’interviene in questioni ambientali i cui obiettivi, in ragione delle loro dimensioni e dell'entità dei relativi effetti, non possano essere sufficientemente realizzati da altri livelli di governo. Va inoltre rammentato, in materia di VIA, il potere sostitutivo stabilito dal successivo art. 26, c. 2 e spettante al Consiglio dei ministri –peraltro applicabile anche ai livelli di governo inferiori fin quando non intervengano norme regionali ad hoc–, ossia una norma il cui significato, in quanto afferente alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (cfr. C. cost., 23 luglio 2009 n. 234), evidenzia la natura generale, strategica ed essenziale per l’ ordinamento generale della Repubblica della VIA.
Sicché nella specie ben può predicarsi, aldilà del chiaro dato testuale del ripetuto art. 7, c. 5, la diretta competenza del Ministro in soggetta materia, non potendosi al contrario invocare in modo meccanico e formalistico il criterio di riparto tra indirizzo politico e gestione indicato nell’art. 4 del Dlg 30 marzo 2001 n. 165.
Pare al Collegio che l'introduzione, fin dal 1993 e in progressivo divenire mercè l’implementazione di numerosi apporti normativi, di tal criterio nella concreta e variegata realtà dell’organizzazione amministrativa non esaurisca ogni questione circa l'individuazione dell'organo competente per atti o provvedimenti non espressamente rientranti nel novero di quelli considerati dal citato art. 4, c. 1 , ma aventi indubbi riflessi politici di carattere generale.
Invero, l’elenco degli atti indicati nella norma citata s’appalesa non già tassativo, ma meramente esemplificativo di quelli di sicuro aventi rilievo politico e, come tali, attribuiti ai titolari della potestà d’indirizzo. Il criterio di riparto esprime perciò un principio aperto ed elastico, di natura tendenziale ma non esaustiva o esclusiva, circa la generale attribuzione delle competenze alla dirigenza amministrativa. Queste ultime, quindi, non comprendono, per il sol fatto di non esser in modo preciso elencate in capo alla dirigenza politica, l'adozione di atti aventi fondamentali ed oggettivi tratti di politicità desumibili dall'ampiezza e dalla rilevanza degli interessi coinvolti, dall'ampia discrezionalità strategica delle valutazioni da effettuare e dall'incidenza sociale degli interventi. Deve allora il Collegio concludere che la VIA assume indubbi tratti d’esercizio di politica ambientale, quando con essa , aldilà dell'aspetto tecnico, si valuti a fini ambientali la localizzazione di progetti di importanti opere pubbliche e si cooperi ad un'attività di pianificazione e di programmazione, propria dell'organo politico. E gli stessi artt. 23/26 del Dlg 152/2006, nel tratteggiare il procedimento di VIA, ne dimostrano la peculiare complessità appunto per la necessità di mediazione fra interessi articolati e variegati, degli enti locali e dell' Amministrazione centrale, che coinvolge interessi costituzionalmente protetti (all'ambiente ed allo sviluppo sostenibile) e rende necessaria una valutazione politica.
E che tali principi riguardino pure la proposta trasformazione della centrale termoelettrica di Porto Tolle, non par dubbio, posto che essa s’inserisce nella strategia d’incremento dell’offerta energetica, a fronte del crescente deficit energetico nazionale, per il quale è ragionevolmente prevedibile l’insufficienza degli impianti esistenti e di quelli ancora in costruzione. E l'interesse pubblico alla produzione elettrica (in genere, energetica) è certo un interesse di natura primaria, strettamente legato allo sviluppo economico e sociale di tutta la Repubblica e, quindi, esclude che tal trasformazione sia da reputare un problema di rilevanza meramente locale, mentre va visto nell'ottica dei bisogni d’approvvigionamento energetico nazionale. In tal caso, il congiunto giudizio su necessità energetiche nazionali e presupposti ambientali implica una ponderazione complessa, che coinvolge profili tecnici e profili di vera e propria opportunità, tali da trascendere l’aspetto prettamente gestionale tipico della competenza dirigenziale e da rientrare tra i poteri di indirizzo politico-amministrativo.
È appena da osservare che, in disparte il mantenimento di competenze amministrative in capo al titolare della potestà d’indirizzo (p. es., per tutti gli atti d’alta amministrazione, ecc.), tutto ciò non implica certo la sottrazione della statuizione così assunta alle garanzie del procedimento o d’ogni tipo di controllo. A differenza dell’attività d’indirizzo propriamente detta –che normalmente tende ad inverarsi in atti politici inerenti alle scelte fondamentali dei corpi rappresentativi o di governo–, i compiti amministrativi rimasti in capo alla dirigenza politica si procedimentalizzano ed assumono le forme giuridiche del pubblico potere, ossia quelle del provvedimento. Anche questo, come in tutti i casi di discrezionalità mista a valutazioni tecniche –o in quelli in cui la valutazione è coessenziale alla scelta–, si basa sull’adeguata mediazione e sulla ponderazione di tutti gli interessi fondamentali introdotti nel procedimento, che l’organo decidente gerarchizza secondo criteri di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza rispetto all’obiettivo da raggiungere. Da ciò discende l’evidente soggezione pure di tal provvedimento allo scrutinio di legittimità da parte di questo Giudice, anche quando tal statuizione coinvolga ampi ed articolati profili di discrezionalità e di accertamenti tecnici sofisticati, negli ovvi limiti che la giurisdizione incontra sul punto.
3. – Neppure convince il secondo motivo, con il quale il Comune ricorrente lamenta l’omessa applicazione, nella specie e relativamente al mancato svolgimento dell’inchiesta pubblica ex art. 7, c. 2 del DPCM 27 dicembre 1988 (secondo il principio ex art. 6, c. 9 della l. 8 luglio 1986 n. 349), dell’All. IV) al predetto DPCM, recante le procedure per i progetti termoelettriche a turbogas.
Com’è noto, il complesso delle regole poste dall'art. 1 del DL 7 febbraio 2002 n. 7 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2002 n. 55) previde un'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio di impianti d’energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, rilasciata dal Ministero delle attività produttive in sostituzione delle autorizzazioni, concessioni e atti di assenso comunque denominati previsti dalla legislazione vigente. La disciplina de qua, che trovò conferma dal Giudice delle leggi (cfr. C. cost., 13 gennaio 2004 n. 6), riguardò la concentrazione in una con l’accelerazione, in capo allo Stato, di funzioni amministrative in una materia affidata sì alla legislazione concorrente, ma per la salvaguardia della necessaria unitarietà dell'esercizio di tali compiti prevista dall'art. 118 Cost. per esigenze d’integrità dei bisogni energetici della Repubblica. Sicché l'eccezionale compressione delle competenze delle amministrazioni regionali e locali fu giustificata dalla celerità con cui, per evitare il pericolo dell’interruzione della fornitura d’energia elettrica su tutto il territorio della Repubblica, furono concentrate in capo allo Stato le predette funzioni amministrative per la costruzione o il ripotenziamento di impianti di energia elettrica di particolare rilievo, da svolgersi con l’intesa con le Regioni e delle Amministrazioni locali interessate. In tale ottica –inerente alla necessità d’immediato potenziamento del quadro energetico nazionale–, fu reputata costituzionalmente legittima pure la disposizione dell’art. 1, c. 5 del DL 7/2002, che previde, tra l’atro, la sospensione fino <<… al 31 dicembre 2003 (del)l'efficacia dell'allegato IV al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 1989…>>.
Siffatta disposizione, ben prima della scadenza del termine colà previsto, è stata dichiarata ultrattiva dall’art. 1-sexies, c. 8 del DL 29 agosto 2003 (convertito, con modificazioni, dalla l. 27 ottobre 2003 n. 290), così stabilizzando la disciplina dell’art. 1 del DL 7/2002, ab origine solo transitoria, a causa dell’attuale permanenza delle esigenze di sicurezza del sistema elettrico nazionale.
Né varrebbe obiettare che, in fondo, tal art. 1-sexies, c. 8 non avrebbe espressamente stabilito detta stabilizzazione anche in contrario avviso all’All. IV) al DPCM 27 dicembre 1988.
È materialmente vero che l’art. 34, c. 1, ult. per. del Dlg 152/2006 ha mantenuto ferma, nelle more dell'emanazione delle norme tecniche sulla valutazione ambientale <<… l'applicazione di quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988…>>. Tuttavia, tal regola va intesa nel senso che, ferme l’autorizzazione unica ex art. 1 del DL 7/2002 e la stabilizzazione dell’intero sistema colà recato grazie al predetto art. 1-sexies, c. 8 –che v’ha fatto integrale rinvio recettizio–, la permanenza delle esigenze energetiche giustifica l’attualità del sistema semplificato, ma non per questo meno garantistico, rispetto al sistema dettato dal ripetuto DPCM, incentrato sul più obsoleto ed ormai superato metodo dello studio d’impatto ambientale – SIA. Sicché il richiamo al ripetuto DPCM al più riguarda l’utilizzabilità delle regole tecniche colà contenute e non può prescindere da un giudizio di compatibilità con il principio di semplificazione procedurale di cui al successivo c. 7. In altre parole, fuori dalle regole tecniche colà esistenti –e solo in quest’accezione il Ministero intimato ebbe modo di richiamare le norme dell’art. 6 del ripetuto DPCM nel corso del lungo procedimento preparatorio al decreto VIA–, il procedimento è e resta soltanto quello evincibile dalla ratio dell’art. 1 del DL 7/2002, secondo la lettura all’uopo resa dal Giudice delle leggi. Si deve lasciare, quindi, alla nuova fonte regolamentare la scelta discrezionale di quale e quanta partecipazione pubblica può esser assicurata, de futuro ed oltre all’apporto dei i corpi rappresentativi locali titolari di funzioni e potestà ambientali, nei singoli procedimenti di VIA.
4. – Da rigettare è anche il terzo motivo, concernente il difetto di reale ed immediata efficacia precettiva da riconoscersi, secondo il Comune ricorrente, alle prescrizioni contenute nell’impugnato decreto VIA.
Asserisce detto Comune che l’assenza di tal efficacia ben possa evincersi dall’uso del vocabolo <<dovrà>>, che talvolta l’impugnato decreto adopera nel fissare le prescrizioni di volta in volta imposte al soggetto attuatore.
Ebbene, se la censura s’appunta solo su tale aspetto, allora è manifestamente speciosa, giacché l’uso del tempo futuro non è che una tecnica redazionale della clausola, il cui adempimento non è che sia rimesso alla volontà meramente potestativa del soggetto attuatore, ma non può che esser realizzato in un momento per forza successivo all’emanazione del decreto. Se la censura concerne invece l’attività che il soggetto attuatore è tenuto a svolgere con la necessaria collaborazione di terzi (p.es., nel caso prospettato, mercè un protocollo con l’ARPAV), allora essa a più forte ragione è priva di pregio, in quanto, da una serena lettura della relativa clausola, s’appalesa in capo a tal soggetto un’obbligazione di risultato, all’uopo non bastando per l’adempimento la sola presentazione del protocollo stesso. Se ancora detta censura vuol adombrare che il soggetto attuatore si sarebbe potuto liberare dai suoi obblighi grazie ad un qualunque contenuto di tal protocollo, con ogni evidenza il ricorrente non s’avvede che la clausola impone a priori <<…anche un presidio con personale dell’agenzia che supervisionerà tutte le operazioni di manutenzione…>>, per cui già la mancanza o l’insufficienza di tali aspetti, inerenti al controllo sulla manutenzione, implica di per sé un inadempimento. Non nega il Collegio l’infelicità semantica di una frase, contenuta nella clausola de qua e così formulata <<… il proponente dovrà presentare un progetto che prevedendo l’impiego delle migliori tecnologie disponibili, POSSA dimostrare la POSSIBILITÀ (sic !) che la concentrazione delle polveri (ecc.) …>>. Per quanto sgrammaticata, tal clausola vuol dire solo e più semplicemente che il soggetto attuatore è tenuto a produrre un progetto idoneo a dimostrare, allo stato dell’arte e della tecnica, una concentrazione di polveri nei fumi emessi non superiore alla media giornaliera di 7 mg/Nm³, non valendo come adempimento né un progetto qualunque, né uno che non dimostri quanto prescritto.
Già in base a queste brevi considerazioni, non può il Collegio esimersi dall’osservare come la più parte delle censure contenute nel motivo in esame s’appuntino, in maniera alquanto pedante, sul modo di redigere le clausole usate a mo’ d’esempio.
Ma tale modalità di scrittura, per quanto se ne voglia predicare la probabile sciatteria, è ben lungi dall’esser oscura o dal rinviare a vicende future ed incerte o alla volizione meramente potestativa l’oggetto delle prescrizioni colà contenute. Siffatte clausole, al contrario, pongono modi e termini di adempimenti complessi, nonché obblighi facoltativi nell’ipotesi in cui, non potendosi realizzare il presupposto generale (p. es., nella prescrizione A25, l’uso della Busa di Tramontana per l’ordinario movimento merci) a causa di eventi imprevedibili e non altrimenti rimediabili (nello stesso esempio, le condizioni meteomarine avverse), l’adempimento può (non deve) esser convertito in uno di pari significato (nell’esempio, l’accesso attraverso il Po di Levante e per vicende di mera emergenza). Vi sono, per vero, clausole parzialmente condizionate, come in quei casi (p. es., la prescrizione A20) in cui s’impongano modalità di limitazione del funzionamento della centrale termoelettrica nell’EVENTUALITÀ (e NON nella certezza a priori, nel qual caso il decreto sarebbe illegittimo) che essa (nell’esempio) superi il limite normativo per le polveri fini, e così via. Tanto non volendo considerare il chiaro disposto dell’art. 28, c. 1 del Dlg 152/2006, in virtù del quale il decreto VIA <<… contiene ogni opportuna indicazione per la progettazione e lo svolgimento delle attività di controllo e monitoraggio degli impatti…>>.
Quest’ultimo <<… assicura, anche avvalendosi del sistema delle Agenzie ambientali, il controllo sugli impatti ambientali significativi sull'ambiente provocati dalle opere approvate, nonché la corrispondenza alle prescrizioni espresse sulla compatibilità ambientale dell'opera…>>. Come si vede, l’imposizione di svariate ed articolate clausole, con prescrizioni e condizioni, non solo serve, per evidenti ragioni d’economicità dell’azione amministrativa e di leale collaborazione tra i soggetti del procedimento di VIA, a manifestare tutte le ragioni capaci di superare ogni ipotersi di dissenso sul progetto proposto e ad evidenziare le varie criticità di gestione dell’impianto ed i rimedi acconci. Essa costituisce altresì l’insieme dei parametri con il quale la P.A. è tenuta ad esercitare la vigilanza ed il controllo successivo sull’impianto stesso, del cui potere essa, a’sensi del citato art. 28, non si spoglia sic et simpliciter con l’emanazione dell’autorizzazione condizionata contenuta nel decreto di VIA. E ciò appunto al fine d’individuare <<… tempestivamente gli impatti negativi imprevisti e di consentire all'autorità competente di essere in grado di adottare le opportune misure correttive …>>, dal che la possibilità di un’autorizzazione a struttura aperta con prescrizioni a priori e condizioni successive in relazione alla complessità della vicenda condizionante e, quindi, pure la possibilità di ritenere non avverata la condizione apposta nel caso d’inadempimento degli obblighi di volta in volta imposti (cfr. il successivo art. 29, c. 3).
È appena da osservare che il Comune ricorrente, nella memoria conclusionale depositata il 19 maggio 2010, alle pagg. 6/8 si profonde in numerose questioni sull’erroneità delle indicazioni delle località di Busa di Tramontana e del Po di Levante ai fini della movimentazione delle chiatte di trasporto del carbone per l’alimentazione dell’impianto de quo, proponendo, però, nuove e diverse questioni non specificamente affrontate nel gravame introduttivo, come tali inammissibili.
5. – Non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire con riguardo alla falsa applicazione, di cui s’occupa il quarto motivo di gravame, dell’art. 5-bis del DL 10 febbraio 2009 n. 5 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2009 n. 33), con riguardo alle regole ex art. 30 della l. reg. Veneto 8 settembre 1997 n. 36.
Ora, l’art. 5-bis del DL 5/2009 stabilisce, con applicazione anche ai procedimenti in corso, che <<… per la riconversione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al fine di consentirne l'alimentazione a carbone o altro combustibile solido, si procede in deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di localizzazione territoriale, purché la riconversione assicuri l'abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della parte II dell'allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152…>>. Tal norma è stata introdotta, con efficacia dal 12 aprile 2009, dalla legge di conversione n. 33/2009, donde la pacifica sua applicabilità al procedimento di VIA inerente all’impianto per cui è causa e, quindi, sul punto nulla quaestio.
Se ne predica, da parte del Comune ricorrente, la necessità, nella specie ed ai fini della legittimità del decreto VIA impugnato, perché senza la norma stessa i Ministeri intimati non avrebbero potuto “superare” la pretesa preclusione derivante, nei confronti dell’impianto de quo, dall’art. 30 della l.r. 36/1997, in base al quale, nel territorio dei Comuni interessati dal Parco del Delta del Po, <<… gli impianti di produzione di energia elettrica dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minor impatto ambientale…>>.
In realtà, per un verso la “necessità” del citato art. 5-bis è tutta da dimostrare, posto che l’art. 30 della l.r. 36/1997 non impone per forza l’alimentazione a gas metano per le centrali elettriche, all’uopo bastandone una che assicuri un <<…pari o minor impatto ambientale…>>, sicché occorre verificare, IN CONCRETO e rispetto al gas metano, l’impatto ambientale complessivo della scelta dell’alimentazione per la proposta trasformazione della centrale di Porto Tolle. Per altro verso, non v’è neppure la sicurezza circa la scelta prioritaria, da parte della norma regionale, a favore del solo gas metano, delle cui maggior sicurezza ed appropriatezza, ai fini dell’alimentazione dell’impianto, non v’è sicura prova rispetto a quanto dedotto nel decreto impugnato, a parte ogni considerazione sull’impianto ambientale in sé del metanodotto occorrente a tal alimentazione. Per altro verso ancora, la perentoria asserzione del Ministero intimato, in data 13 agosto 2007 e per la quale è <<… comunque peggiore, allo stato attuale della tecnologia e in termini generali, il quadro emissivo di una CTE a carbone rispetto a quello di un corrispondente impianto alimentato a metano…>>, non è conducente alla tesi attorea perché, se adoperata così, s’appalesa mera petizione di principio circa i <<termini generali>> ed è affermazione basata rebus sic stantibus (2007) e senza richiamo di dati scientifici seri, precisi e concordanti nella situazione attuale (2010) per quanto riguarda l’evoluzione tecnologica.
Da ciò discende la possibilità della localizzazione dell’impianto per cui è causa anche in base all’art. 30 della l.r. 36/1997, indipendentemente dal jus superveniens del 2009. Tanto in disparte il parere della Commissione regionale VIA del Veneto che, prima dell’entrata in vigore dell’art. 5-bis del DL 5/2009, concluse nel senso che <<… complessivamente, con la situazione prospettata, la modifica proposta soddisfa l’art. 30 della L.R. 8 settembre 1997…>>. Né mette conto confutare in modo puntuale, sotto il profilo del calcolo delle quantità delle emissione ed al contrario di ciò che fa la Società controinteressata –che invece offre un serio principio di prova sull’inesistenza di siffatte condizioni peggiorative–, l’assunto attoreo circa la peggior qualità ambientale d’un impianto a carbone rispetto a quello alimentato a gas metano, posto che il Comune ricorrente non riporta, neppure in sede conclusionale, dati scientifici certi e seri per corroborare detto assunto.
6. – Non può esser condiviso il quinto motivo d’impugnazione, con cui il Comune ricorrente si duole dell’illegittima composizione della Commissione tecnica VIA-VAS, in quanto il Supremo Consesso (sez. VI), con decisione n. 8253 del 17 dicembre 2009 da cui il Collegio non ha alcun motivo di discostarsi, ha integralmente riformato la sentenza di prime cure che aveva a suo tempo annullato la nomina di tal Commissione, di talché sul punto nulla quaestio.
Parimenti da respingere è il sesto motivo, giacché il parere della Regione Veneto è, per interventi soggetti a VIA statale quale quello per cui è causa, meramente consultivo/collaborativo, non certo vincolante, giusta quanto evincesi dall’art. 36, c. 4 del Dlg 152/2006 circa l’esclusiva competenza del Ministero intimato sulla questione. È da osservare che, mentre l’impugnato parere della Commissione VIA è stato emanato il 29 aprile 2009, il parere della Commissione regionale veneta è stata rilasciata solo il successivo 30 giugno, per cui il Comitato tecnico di coordinamento s’è dato carico di tal documento regionale, provvedendo ad inserire alcune delle prescrizioni colà contenute nel testo definitivo del decreto VIA.
7. – In definitiva, il ricorso in epigrafe va respinto, ma la novità e la complessità della questione e giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. II, respinge il ricorso n. 942/2010 RG in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 26 maggio 2010, con l'intervento dei sigg. Magistrati:
Luigi Tosti, Presidente
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Stefano Toschei, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/09/2010